Licenza d’uso, abitabilità, agibilità: ecco come orientarsi


Licenza d’uso, abitabilità, agibilità e ora segnalazione certificata di agibilità: come orientarsi.
Licenza d’uso, abitabilità, agibilità: ecco come orientarsi

Licenza d’uso, abitabilità, agibilità e ora segnalazione certificata di agibilità.

Come orientarsi fra le diverse denominazioni e nei procedimenti amministrativi oggetto di ripetute riforme?

Per anni l’agibilità di un edificio è stata provata attraverso un apposito certificato, appunto il certificato di agibilità, la cui introduzione risale agli artt. 220 (abrogato) e 221 del R.D. n. 1265/1934 modificato dal D.P.R. n. 425/1994 ora abolito. Oggi la disciplina dell’agibilità trova collocazione nel D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico sull’Edilizia) che all’art. 24 stabilisce che questa connota gli edifici dove sussistono le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico valutati secondo quanto dispone la normativa vigente. Inizialmente, in realtà, se ne parlava come di un requisito che un immobile doveva avere ai soli fini sanitari e non anche come un concetto legato all’edilizia.[1]

Di fatto dal 1934 fino alla emanazione della Legge Ponte del 1967 non si sono avute modifiche sostanziali di questa concezione. Fu solo con la L. 765/1967 che si iniziò a parlare della “dichiarazione di abitabilità o di agibilità” dal solo punto di vista edilizio legandola alla demolizione e ricostruzione degli immobili. Al D.P.R. 425/1994 spettò invece il compito di inserire l’obbligo per le opere indicate dal predetto art. 220 R.D. 1265/1934 (costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti) di allegare alle domande di abitabilità la documentazione adatta a consentirne il rilascio.[2]

In passato l’abitabilità e l’agibilità erano due certificazioni diverse. Questa differenza terminologica è continuata anche successivamente evidenziando, però, un’altra differenza tra i due vocaboli. L’agibilità edilizia era legata alla disciplina generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile (specie in riferimento agli immobili non residenziali) mentre l’abitabilità era collegata ai requisiti dell’immobile rispetto alle specifiche destinazioni d’uso, in particolare l’uso abitativo. Per questo motivo le due potevano essere revocate sia singolarmente che contemporaneamente.

Anche se le prime avvisaglie risalgono al R.D. 1265/1934 dove, oltre a non distinguersi sulla destinazione d’uso non vi era differenza nemmeno sull’autorità che avrebbe dovuto rilasciarli, è stato il D.P.R. 380/2001 a sopprimere il dualismo fra i due termini di “agibilità” e “abitabilità” i quali, oggi, vengono entrambi assorbiti nel medesimo concetto.[3]

Anche il Tribunale amministrativo del Lazio ha confermato questa impostazione con la sentenza n. 180 del 12 gennaio 2012 in cui i giudici hanno affermato che il legislatore ha provveduto a ricondurre ad unità i termini di agibilità edilizia e abitabilità spesso utilizzati indifferentemente nella normativa precedente e che le due espressioni di abitabilità e agibilità edilizia - seppur diversamente utilizzate - sono di fatto omogenee e non richiedono procedimenti amministrativi diversi. A dimostrazione di quanto detto, i giudici hanno fatto notare come il corredo di documenti e le indagini tecniche preliminari per il rilascio dell’agibilità edilizia o dell’abitabilità non cambiassero anche in presenza di immobili a destinazione differente fatta salva, ovviamente, l’esigenza di valutare la presenza di requisiti igienico-sanitari diversi in ragione dell’uso previsto. [4]

Il certificato di agibilità assolveva alla funzione di attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto disponeva la vigente normativa (art. 24 co. 1 TU Edilizia). Ai fini del rilascio del certificato assumevano pertanto rilievo tutti quegli aspetti (sicurezza, igiene e sanità, risparmio energetico) che generalmente concorrono a rendere utilizzabile l’opera.

Si parla al passato di tale certificato perché, con il D. Lgs. 222/2016 questo è stato eliminato completamente per essere sostituito dalla “Segnalazione Certificata di Agibilità”.[5]

In seguito alle modifiche introdotte dal “Decreto del Fare” (D.L. 69/2013 convertito poi nella L. 98/2013) la previsione di un comma aggiuntivo all’art. 24 del D.P.R. 380/2001 (comma 4 bis) aveva fatto sì che il certificato di agibilità potesse essere richiesto e ottenuto:

  • per singoli edifici o singole porzioni della costruzione purché funzionalmente autonomi qualora fossero state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e fossero state completate e collaudate le parti strutturali connesse nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

  • per singole unità immobiliari purché fossero completate e collaudate le opere strutturali connesse, fossero certificati gli impianti e fossero state completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale.[6]

In altre parole con il decreto del fare si era ufficializzata quella pratica già in uso presso gli enti del “Certificato di Agibilità Parziale”. Si ricorda, infatti, che la possibilità di richiedere l’agibilità parziale era una prassi seguita solo da alcuni Comuni e tale impostazione si coordinava con quanto previsto dall’art. 26 del D.P.R. 380/2001 che prevedeva espressamente la possibilità di una revoca parziale del certificato lasciando intuire che la restante porzione sarebbe rimasta agibile.[7]

La Segnalazione Certificata di Agibilità - introdotta nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 222/2016 il quale ha modificato l’art. 24 del D.P.R. 380/2001 - è la certificazione attualmente necessaria a provare l’agibilità di un immobile. Secondo il testo dell’articolo sopracitato essa attesta «la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente nonché la conformità dell’opera al progetto presentato».[8]

La normativa odierna prevede infatti che l’agibilità dell’immobile non sia più certificata dal Comune a seguito della presentazione di tutta la documentazione necessaria ma che la stessa venga certificata dal Tecnico Abilitato previo recupero ed accertamento di tutti i documenti attestanti le condizioni di sicurezza, salubrità e conformità rispetto la normativa vigente.

I soggetti legittimati a presentare allo Sportello Unico la Segnalazione Certificata di Agibilità sono il soggetto titolare del Permesso di costruire, i suoi successori o aventi causa e chiunque abbia un interesse giuridicamente apprezzabile ad utilizzare l’edificio al quale il titolo abilitativo si riferisce.[9]

In precedenza l’iter di rilascio della certificazione (Certificato di agibilità) constava di due fasi:

  1. presentazione della richiesta di rilascio del certificato entro quindici giorni dalla comunicazione di fine lavori corredata da tutta la documentazione impiantistica, strutturale e catastale inerente l’immobile per i seguenti interventi:

  • nuove costruzioni;

  • ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

  • ristrutturazione edilizia “pesante” (ovvero con modifica ai parametri edilizi della volumetria complessiva della superficie, del prospetto, della sagoma, ecc.), che abbia influito sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico dell’edificio, degli impianti installati;

  • ristrutturazione edilizia “pesante”, su edificio esistente che abbia portato a una trasformazione, totale o parziale, dello stesso, anche legata all’adeguamento sismico;

  • ampliamenti volumetrici, sottotetti, ecc;

  • cambio di destinazione d’uso rilevante;

  • altri casi secondo la disciplina regionale e gli strumenti urbanistici comunali;

  1. rilascio del certificato di agibilità da parte dell’Ufficio Pubblico entro trenta giorni oppure comunicazione con richiesta di integrazioni o documenti mancanti.[10]

Il nuovo iter prevede invece la presentazione della segnalazione certificata di agibilità entro quindici giorni dalla comunicazione di fine lavori corredata da tutta la documentazione impiantistica, strutturale e catastale inerente l’immobile e il trascorrere di trenta giorni di tempo per il controllo della documentazione da parte dell’ufficio comunale preposto a richiedere eventuali integrazioni o precisazioni. La novità sostanziale è, quindi, nella maggiore responsabilità data al direttore dei lavori o al professionista tenuto ad attestare la sussistenza dei requisiti di legge con un’autocertificazione (fermo restando l’obbligo di conformare l’immobile alle eventuali prescrizioni stabilite dagli organi e dalle amministrazioni competenti).[11]

In realtà già nel periodo in cui era in vigore il certificato di agibilità costoro risultavano responsabili per quanto dichiarato ma solo quando non veniva percorsa la strada ordinaria, quella che prevedeva appunto l’intervento del Comune. Qui non vi era bisogno di garantire quanto visionato in vista del preventivo controllo dell’Ente. Giacché invece nella Segnalazione Certificata di Agibilità si parla di un controllo successivo che non necessariamente porta ad un provvedimento d’approvazione (caso in cui si concretizza il silenzio-assenso) è necessario sopperire alla mancanza di controlli preventivi tramite forme di auto-responsabilizzazione da parte di chi ha visionato i lavori ed ha le competenze tecniche per stabilire l’agibilità dell’immobile.

Non a caso la segnalazione certificata di agibilità presentata dal tecnico deve essere sempre accompagnata dal certificato di collaudo statico che, però, per interventi minori quali riparazioni e interventi locali sulle costruzioni esistenti, può essere sostituito da una “Dichiarazione di Regolare Esecuzione” firmata dal direttore dei lavori. Per effetto del D. Lgs. Scia 2 (D. Lgs. 222/2016 appunto) - il deposito del certificato di collaudo statico equivale al certificato di rispondenza dell'opera alle norme tecniche per le costruzioni (art. 62 del D.P.R. 380/2001).

In aggiunta a quanto sopra esposto va fatto notare inoltre che la presentazione della segnalazione certificata di agibilità non impedisce in alcun modo l’esercizio del potere da parte del soggetto competente di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso (art. 26 D.P.R. n. 380/01, art. 222 T.U. 27 luglio 1934, n. 1265) qualora vengano meno le condizioni necessarie per l’agibilità (es. in caso di eventi sismici) o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. In tal caso, se la revoca comporta pregiudizi in danno ai soggetti direttamente interessati, l’art.21 quinquies della L. 241/1990 prevede al massimo l’obbligo indennizzo da parte dell’amministrazione.[12]

Quanto alla sussistenza delle condizioni di Agibilità dell’immobile nel periodo successivo alla sua richiesta, in caso di controlli, bisognerà conservare copia della segnalazione certificata di agibilità presentata dal tecnico abilitato con indicazione del numero di protocollo rilasciato dagli uffici comunali. In genere con l’emanazione di una nuova norma tecnica gli edifici già costruiti diventano automaticamente fuori norma ma ciò non può comportare la revoca dell’agibilità in quanto la struttura è stata realizzata seguendo le norme in vigore all’atto della presentazione del progetto al comune, e risulta, pertanto, regolare.[13]

La mancata presentazione della segnalazione comporterà l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria che va dai 77 ai 464 euro (art. 24, comma. 3, del D.P.R. n.380/01).[14]

Secondo la legge una casa è inagibile «quando il suo degrado non è superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ma solo con interventi di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione edilizia».[15] Questo vuol dire che l’immobile in questione è diroccato, pericolante o fatiscente. Si riscontra ciò in più casi:

  • strutture orizzontali (solette, solai, tetti) a rischio di crollo;

  • strutture verticali (pareti, muri portanti) a rischio di crollo parziale o totale;

  • caratteristiche tali da far sì che l’immobile possa essere dichiarato da demolire o da ripristinare;

  • mancata compatibilità all’uso per il quale era destinato;

  • mancanza di infissi o di allacciamento alle opere di urbanizzazione primaria;

  • precarie condizioni igienico sanitarie.[16]

Per decretare in ognuno di questi casi l’inagibilità saranno poi necessarie - alternativamente - una perizia dell’Ufficio Tecnico Comunale, del Comando dei Vigili del Fuoco o dell’Asl o un’autocertificazione ai sensi della L. 15/1968 del proprietario dell’immobile il quale, una volta ottenuta la dichiarata inagibilità dell’immobile, potrà richiedere una riduzione dell’imposta sulla casa pari al 50%. Se poi, per le sue condizioni, l’immobile viene classificato come collabente, cioè pressappoco un rudere, la prima cosa da fare è andare al catasto affinché la casa venga classificata nella categoria F/2, cioè come priva di rendita. In questo modo si potrà avere l’esenzione totale dall’IMU.

Quanto al rapporto con le certificazioni d’agibilità l’art. 26 del D.P.R. 380/2001 rubricato “Dichiarazione di inagibilità” stabilisce che l’approvazione della certificazione di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso. La dichiarazione di inagibilità è infatti un atto con il quale il Comune, su istanza degli interessati e a seguito di sopralluogo, verifica condizioni di precarietà e di insalubrità dell'edificio subentrate successivamente alla data di rilascio della certificazione.[17]

Quanto alla questione del condono questo non può essere concesso ad un immobile inagibile. Lo ha affermato il TAR Campania con la sentenza n. 1917/2015 nella quale i giudici hanno spiegato che l’agibilità non indica solo che l’immobile è conforme ai requisiti igienico sanitari ma anche che risponde ai requisiti edilizi, urbanistici e paesaggistici.

Nel caso preso in esame nello specifico un Comune aveva prima rilasciato e poi annullato il permesso di costruire in sanatoria concesso per un cambio di destinazione d’uso da cantinola ad abitazione. Per l’annullamento erano state rilevanti le considerazioni espresse dalla Asl che, sulla base del regolamento edilizio comunale, aveva giudicato la superficie complessiva e le finestre insufficienti a garantire l’abitabilità dell’immobile. Il TAR ha spiegato che in base alla legge Nicolazzi sul condono edilizio (L. 47/1985) la concessione in sanatoria può essere rilasciata anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari purché le opere sanate non contrastino con le disposizioni in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi ed infortuni. Dal momento che l’agibilità riflette sia l’idoneità alle norme igienico sanitarie sia il rispetto dei requisiti edilizi, urbanistici e paesaggistici, se l’immobile non è agibile - ha concluso il TAR - non può essere rilasciato il permesso di costruire in sanatoria.[18]

Le opere abusive che possiedono i requisiti necessari ad essere dichiarate agibili possono, su richiesta del privato, essere dichiarate tali. L’interessato dovrà allegare all’istanza tutti gli atti prescritti dalla vigente normativa, a eccezione di quelli che sia impossibile produrre a motivo del carattere abusivo dell’opera. L’impossibilità di presentare tutta la documentazione prescritta, tuttavia, comporterà l’inoperatività del silenzio-assenso.

In passato la mancanza del certificato rendeva nullo il contratto. Oggi, invece, le cose sono cambiate. Ecco cosa può verificarsi:

  • l’immobile non è in regola e quindi mancano i requisiti per ottenere l’agibilità (si pensi al caso di un abuso edilizio), in tal caso il contraente (locatore, acquirente) può chiedere la risoluzione del contratto (ossia il suo annullamento), il risarcimento dei danni e la restituzione delle somme già corrisposte (per es. la caparra);

  • nel caso l’abitazione sia idonea all’agibilità ma non sia mai stato chiesto il certificato (o non è mai scattato il silenzio-assenso) è obbligo del venditore presentare la domanda al Comune pagando tutte le conseguenti spese. Se non lo fa, il compratore può ottenere la riduzione del prezzo della casa e un risarcimento commisurato al deprezzamento dell’immobile in conseguenza dell’assenza del certificato. Nel compimento di tali verifiche non assumono rilievo valutazioni di natura urbanistica. Sulla base di questo presupposto essenziale la giurisprudenza ritiene che anche l’opera abusiva in possesso delle condizioni igieniche e sanitarie allo scopo necessarie debba essere dichiarata abitabile o agibile.

Vi è da aggiungere poi che il titolo abilitativo e il certificato di agibilità non sono atti tra loro collegabili. Questo è stato stabilito anche dal Consiglio di Stato con la sentenza 4309/2014. In particolare la Corte ha spiegato che è il solo titolo abilitativo ad accertare il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche.

Al contrario, dal certificato di agibilità si evince solo se un immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene e risparmio energetico. Tra l’altro gli accertamenti igienici e sanitari finalizzati al rilascio del certificato di abitabilità o di agibilità costituiscono l’occasione per la verifica della legittimità delle opere realizzate sotto il profilo urbanistico. La rilevazione di eventuali abusi comporterà la mera attivazione delle relative procedure sanzionatorie ma il procedimento per il rilascio del certificato di abitabilità/agibilità e quello per l’applicazione delle sanzioni urbanistiche seguiranno tuttavia percorsi del tutto autonomi, in corrispondenza con la diversità degli interessi tutelati.

Dopo aver fatto questa premessa, il Consiglio di Stato ha chiarito che non si può negare l’agibilità se l’immobile è stato realizzato non rispettando il progetto approvato. Allo stesso tempo, non si può usare il mancato rilascio del certificato di agibilità come prova di un abuso edilizio da sanzionare.

Nel caso preso in esame dal Consiglio di Stato, durante le trattative per una compravendita erano sorte delle difficoltà con la società venditrice, legate ad irregolarità edilizie e all’agibilità.
Dagli accertamenti condotti sulla DIA era emerso che il titolo abilitativo in sé non presentava irregolarità ma il progetto era stato realizzato in modo difforme da quanto assentito. Sulla base di queste considerazioni il Comune aveva giudicato improcedibile la domanda per il rilascio dell’agibilità. Il Consiglio di Stato ha invece dato torto al Comune affermando che i due provvedimenti hanno conseguenze disciplinari non sovrapponibili e che l’Amministrazione non può in alcun modo negare l’agibilità ad un immobile realizzato in difformità rispetto al titolo abilitativo.
[19]

L’unico problema che - a livello dottrinario - potrebbe porsi sta piuttosto nel fatto che il rilascio del certificato di agibilità per l’edificio abusivo in possesso di tutti i caratteri necessari a definirlo agibile sta nell’apparente contrasto con i principi di univocità e coerenza dell’azione amministrativa. Si fa bene tuttavia a definirlo un contrasto “apparente” perché l’opera abusiva, in quanto tale, è già stata realizzata e non si pongono quindi quelle esigenze di raccordo presenti per le opere ancora da eseguire.[20]

La responsabilità della conformità delle opere realizzate alle normative urbanistiche e alle previsioni progettuali grava in capo al committente, al costruttore e al Direttore dei Lavori, come disposto dall’art. 29 del D.P.R. 380/01, dall’art. 1669 c.c. e dal principio esposto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 8700/2016.

In questa sentenza in particolare un condominio citava il costruttore per il risarcimento dei danni da infiltrazioni; danni che quest’ultimo riteneva ascrivibili esclusivamente alla responsabilità del progettista-direttore dei lavori. Il Tribunale condannava in solido il costruttore e il progettista-direttore dei lavori ma la Corte di Appello riformava integralmente la decisione osservando che il diritto al risarcimento nei confronti del costruttore si era prescritto e che poteva ritenersi accertata in giudizio l'assenza di responsabilità (di natura extra-contrattuale) del progettista-direttore dei lavori. Il condominio proponeva allora ricorso per Cassazione che lo accoglieva e cassava la sentenza impugnata.

A questa decisione si è arrivati in vista di quanto espresso dall’attuale normativa la quale prevede che il progettista, all'atto della presentazione di domanda per il rilascio del permesso di costruire, asseveri, tra le altre cose, la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie. Una asseverazione che, però, deve essere resa solo se - dice il D.P.R. - la verifica di tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali. I requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici sono infatti stabiliti da appositi decreti ministeriali del Ministero della Salute e a questi il progettista deve rifarsi senza possibilità alcuna di valutazioni soggettive.

A fronte di quanto sopra esposto per il Direttore lavori esiste la possibilità di essere escluso da ogni forma di responsabilità solo in due casi:

  1. Se contesta agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni e le difformità (anche parziali) del progetto comunicando motivatamente all’ufficio tecnico comunale la violazione;

  2. Se contesta agli altri soggetti la difformità dell’immobile dal progetto originario con contestuale dimissione dall’incarico mediante stessa comunicazione.

Salvo tali casi - anche in tema di agibilità - la conformità dell’opera diviene oggetto di espressa dichiarazione su istanza del richiedente (committente) per ottenerne il rilascio (art. 25 c. 1 lett. b).[21]

In proposito una recente sentenza del Tribunale di Perugia, la 1313/2016, ribadisce come il direttore dei lavori sia tenuto a vigilare, per conto del committente, sulla corretta esecuzione dei lavori, e come, di fronte a difetti di costruzione, non possa giustificarsi sostenendo di essere stato estromesso dall’appaltatore. Il direttore dei lavori ha infatti, in ogni caso, l’obbligo di mettere il committente al corrente degli eventi.

Quindi è compito del direttore dei lavori accertarsi della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. Sulla base di tali principi, più volte affermati dalla Corte di Cassazione, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente.[22]

Quanto agli effetti derivanti dalla presentazione della segnalazione occorre considerare che questa certifica l’abitabilità legale dell’immobile. Non assume alcun rilevo giuridico sanante la circostanza che, nonostante il mancato ottenimento dell’agibilità, l’immobile sia stato concretamente adibito ad abitazione da parte del suo proprietario. Ecco perché, in caso di vendita, una casa deve essere agibile anche se il notaio non richiede la materiale allegazione del certificato. L’assenza dell’agibilità incide infatti sul corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita ma non sulla validità del contratto stesso.

Nonostante numerose sentenze facciano riferimento alla incommerciabilità degli immobili sprovvisti di agibilità, in nessuna di queste pronunce è mai stata effettivamente posta in contestazione la validità del negozio concluso. Ciò anche in vista del fatto che - costituendo l’agibilità un elemento caratterizzante del bene - il difetto della stessa comporta una rilevante limitazione del godimento dell’immobile da parte del suo titolare ma non comporta la nullità dell’atto giacché l’agibilità non incide sulla commerciabilità dell’immobile.[23]

Il tema è stato trattato dalla Cassazione con la sentenza 2294/2017. Nel caso di specie la parte acquirente rilevava l’esistenza di una forte umidità al piano terra dell’immobile tale da impedire il rilascio del relativo certificato di agibilità. In ragione di ciò la parte agiva in giudizio, decisa a ottenere dall’alienante una somma pari alle spese derivanti dai lavori necessari al rilascio del suddetto certificato.

Ciò anche in considerazione del fatto che nel contratto di compravendita lo stesso venditore si era impegnato ad effettuare ogni pagamento necessario all’ottenimento del relativo certificato. Il Tribunale, aderendo alla ricostruzione operata dagli attori e ritenendo l’alienante inadempiente in ragione della mancata dotazione dell’immobile del certificato di agibilità ha condannato il convenuto. Si rinveniva nello specifico un’ipotesi di vendita aliud pro alio - e non di vizio della cosa venduta - stante la mancanza in capo all’immobile di un requisito giuridico essenziale con possibilità in capo ai soggetti lesi di agire entro il termine decennale di prescrizione.

La controversia giungeva infine, dopo la Corte di Appello, in Cassazione la quale rigettava il ricorso dell’alienante ritenendo i motivi addotti dallo stesso del tutto privi di fondamento e confermando quanto stabilito in primo grado dal Tribunale.

Si può dunque affermare che la sentenza sopracitata rinviene nella mancata consegna del certificato di agibilità un inadempimento integrante una vendita aliud pro alio a prescindere dal fatto che ciò derivi da una semplice inerzia del venditore o da caratteristiche intrinseche dell’immobile. Il bene oggetto della compravendita risulta in tal caso solo economicamente incommerciabile non essendo idoneo ad assolvere la sua tipica funzione economico-sociale.

Da ciò deriva che non sussistono invece ostacoli giuridici alla sua circolazione e che questo è quindi “giuridicamente” commerciabile. A sostegno di tale lettura, è opportuno osservare che in alcune pronunce si parla di “ridotta commerciabilità del bene” o di “problemi di commerciabilità” rilevando come il difetto di agibilità comporti problemi alla “normale commerciabilità” del bene e ponendo al centro i concreti bisogni che inducono il compratore all’acquisto. Se dunque il bene, pur con maggiore difficoltà, può circolare, ne deriva che i relativi negozi saranno validi.

Sulla base di quanto affermato è agevole concludere che un immobile sprovvisto dell’agibilità non è incommerciabile, subendo esclusivamente un deprezzamento rispetto al valore che avrebbe in caso contrario, sia in relazione all’impossibilità di pieno godimento dello stesso, che in considerazione delle spese che si renderanno eventualmente necessarie al fine dell’ottenimento dell’agibilità.

L’assenza del documento di agibilità, pur non comportando la nullità dell’atto, potrebbe comunque dare adito a una richiesta di risarcimento danni. Nel caso di contratto di locazione, ad esempio, la mancanza del documento può giustificare la richiesta di risoluzione del contratto o di riduzione del canone. In sede di stipulazione del contratto di compravendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità, inoltre, le parti possono espressamente convenire di trasferire il bene a prescindere dall’esistenza di tale qualità. In tal caso l’acquirente dovrà valutare l’opportunità di procedere all’acquisto del bene nella consapevolezza dell’assenza dell’agibilità in considerazione dei vantaggi derivanti dalla conclusione del negozio a prescindere dalla presenza di tale elemento.

Sorgerà, tuttavia, una forma di responsabilità contrattuale in capo all’alienante qualora lo stesso, pur in presenza del siffatto accordo, abbia garantito la sussistenza dei requisiti astrattamente necessari per l’ottenimento dell’agibilità dell’immobile e questi risultino invece mancanti.

Il venditore-costruttore ha dunque l’obbligo di consegnare all’acquirente dell’immobile il certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio. L’inadempimento di tale obbligo comporta non solo il legittimo e giustificato rifiuto del promissario acquirente alla stipula del contratto definitivo di compravendita, ma anche un danno emergente in caso di acquisto definitivo. Il danno consisterebbe nel disagio anche economico subito dall’acquirente il quale si troverebbe di fronte all’alternativa di ritenere un immobile non agibile e quindi non utilizzabile secondo l’uso desiderato e non commerciabile (se non ad un prezzo inferiore) oppure di provvedere a proprie spese al rilascio del certificato di agibilità.

Il certificato di agibilità assume dunque rilevanza con riguardo agli interessi dell’acquirente e quindi alla sua volontà di contrarre perché rappresenta un elemento necessario per poter godere dell’immobile destinato all’uso pattuito: proprio perché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale che gli è propria e a soddisfare i bisogni che lo inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, la mancanza del certificato di agibilità ben può legittimare il rifiuto della stipula del rogito.

In ogni caso, spetta all’agente immobiliare e al notaio verificare che l’immobile sia dotato del certificato di agibilità e poi informare l’acquirente. Se non lo fanno possono essere ritenuti responsabili e chiamati ai danni.[24]

È noto che per aliud pro alio, nella compravendita, si intende la consegna di un bene completamente diverso da quello pattuito. In tale circostanza il compratore non è tutelato con le azioni edilizie ma in base alla ordinaria azione di risoluzione o, in alternativa, tramite l’azione di esatto adempimento, non trovando applicazione l’art. 1495 c.c. e i termini di prescrizione e decadenza in esso previsti.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente distingue poi nettamente la consegna di cosa diversa rispetto alla mancanza di qualità. Sul punto, tra le sentenze più attinenti, quella della Cassazione civile, Sez. II, n. 76305 del 31/03/06 secondo la quale ricorre l’aliud pro alio non solo quando il bene sia totalmente difforme da quello dovuto e tale diversità sia di importanza fondamentale e determinante ai fini del contratto ma anche quando la cosa appartenga ad un genere del tutto diverso dal bene oggetto della compravendita o si presenti priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente. Il soggetto leso avrà diritto di agire per l’adempimento o per la risoluzione ex art. 1353 c.c., nonché di eccepire l’inadempimento ex art. 1460 c.c.

In tema di aliud pro alio in riferimento alla vendita di immobili e, in particolare, con riferimento agli immobili destinati ad abitazione, si è giunti a riconoscere che la mera difformità rispetto al progetto approvato inizialmente non è sufficiente ad integrare l’ipotesi della consegna di aliud pro alio essendo necessario, a tal fine, che manchi della licenza di abitabilità oppure che non sussistano le condizioni per ottenerla a causa di insanabili violazioni della legge urbanistica.

Quando non sia questo il caso (e quindi si tratti di mera mancanza documentale del certificato di agibilità) la risoluzione non potrebbe essere pronunciata; bensì si dovrebbe verificare l'importanza e la gravità dell'omissione (a questo punto rilevante solo alla luce di quanto previsto nell'art. 1477, co. 3°, c.c.) in concreto, in relazione al godimento, alla commerciabilità del bene e alle specifiche esigenze del compratore. Il certificato di abitabilità costituisce dunque il requisito giuridico essenziale del bene compravenduto in quanto la cosa, pur essendo identica a quella pattuita, è priva di quei caratteri che consentono di identificarla come appartenente alla categoria oggetto di compravendita.

In relazione alla possibilità di ottenere la risoluzione del contratto, risulta tuttora discusso se la valutazione circa la rilevanza dell’adempimento debba essere effettuata con riferimento al caso concreto - gravando in capo all’acquirente l’onere di provare che l’inadempimento non è stato di scarsa importanza - o se la gravità sussista in re ipsa, essendo desumibile dall’assenza dell’agibilità a prescindere dalle cause di tale mancanza. La giurisprudenza negli anni ha assunto una posizione ondivaga sul punto il quale risulta fondamentale al fine di valutare la responsabilità dell’alienante qualora l’agibilità venga ottenuta successivamente all’avvio del giudizio.

Relativamente a tale ipotesi, si è infatti sostenuto che, nonostante il divieto di adempimento successivo alla proposizione dell’azione di risoluzione, di cui all’art. 1453.3 c.c., il successivo ottenimento dell’agibilità è idoneo a incidere sulla valutazione della gravità dell’inadempimento, costituendo riprova dell’assenza di impedimenti ad integrare tale elemento.[25]

Anche laddove l'omessa consegna del certificato non sia idonea a fondare la risoluzione del contratto, poi, potrà comunque ravvisarsi un danno risarcibile (il quantum andrà commisurato al deprezzamento che l'immobile ha subito a causa del mancato rilascio della certificazione) potendo un pregiudizio conseguire anche solo per avere ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità. Viceversa, qualora la mancanza del certificato di abitabilità dell'immobile sia imputabile ad una non rispondenza alle prescrizioni edilizie, il risarcimento dovrà essere parametrato alle spese presuntivamente necessarie per compiere gli adempimenti necessari ad ottenere il certificato stesso.[26]

In conclusione l'obbligo della consegna della certificazione di agibilità sorge al momento della consegna della res, giusta il disposto di cui al comma 3° dell'art. 1477 c.c. in relazione alla vendita definitiva. La medesima norma è applicabile al contratto preliminare con consegna anticipata. Il requisito dell'agibilità, sia sotto il profilo sostanziale sia sotto il profilo formale, è una circostanza endogena all'autonomia delle parti le quali possono considerare tale aspetto come una qualità essenziale o meno dell'oggetto del contratto purché l'immobile non sia abusivo. Per tali ragioni sarebbe consigliabile che le parti regolamentino tali fattispecie. Per converso, l'obbligo di procurare l'ottenimento del certificato incombe sull'alienante configurandosi il trasferimento di immobile non munito dei requisiti per ottenere l'agibilità come un trasferimento di aliud pro alio con conseguente esperibilità dell'azione di risoluzione ex art. 1453 c.c. entro il termine di prescrizione decennale.[27]

La compravendita di un immobile privo dell’agibilità di per sé non è ritenuta, dalla normativa vigente, un illecito ma può costituire, per chi acquista una casa, motivo di risoluzione del contratto qualora il venditore ne abbia dichiarato l’agibilità o l’impegno ad ottenere il relativo rilascio. Se invece si decide di vendere un immobile dichiaratamente privo del certificato di agibilità, è necessario regolare i rapporti tra le parti e i relativi oneri già in occasione della stipula del contratto preliminare.

Se il venditore o costruttore non consegna il certificato di agibilità dell’immobile, il promissario acquirente può legittimamente rifiutare di firmare il rogito anche qualora abbia già stipulato il contratto preliminare. Ciò è stato confermato da una recente sentenza della Cassazione, la n. 2438 del 8/2/2016, che, in linea con l’interpretazione maggioritaria, attribuisce al certificato di agibilità particolare rilievo ai fini della conclusione del contratto di compravendita immobiliare.

A tale riguardo la Corte di Cassazione ha infatti precisato che la sussistenza di carenze igienico-sanitarie con conseguente rifiuto del certificato di agibilità o comunque l’impossibilità di ottenerlo, costituiscono causa di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di compravendita non potendosi ritenere superato l’obbligo di garanzia incombente sul promittente venditore ai sensi dell’art. 1497 del Codice civile dalla pattuizione negoziale di una clausola di stile secondo cui il bene viene alienato “nello stato di fatto e di diritto” in cui si trova. Nel caso di specie, insomma, la mancanza del certificato di agibilità funge da motivo di risoluzione del contratto per inadempimento dove l’inadempimento è riferito all’obbligo di consegna dei titoli relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta.[28]

Ai sensi della Direttiva 92/57/CEE del Consiglio del 24 giugno 1992 si definisce “tecnico” qualsiasi persona fisica o giuridica incaricata della progettazione e/o dell’esecuzione e/o del controllo dell’esecuzione dell’opera per conto del committente. Il Decreto del Fare ha dato la possibilità di ottenere il certificato di agibilità anche rivolgendosi al Direttore dei Lavori oppure proprio al tecnico incaricato. Si tratta di una autocertificazione, che comunque ha bisogno della preparazione da parte del richiedente dei seguenti documenti:

  • ricevuta che attesti l’avvenuta richiesta di accatastamento;

  • dichiarazione da parte dell’azienda che ha realizzato e installato gli impianti, che dichiari la conformità e l’omologazione degli stessi;

  • relazione che riguarda l’accessibilità e la presenza o meno di barriere architettoniche;

  • relazione che si occupa invece di attestare la sussistenza delle condizioni igieniche e sanitarie minime richieste dalla legge.

Se prima la responsabilità ricadeva sull’Ufficio del Comune in caso di errore nella documentazione non rilevato per disattenzione dell’impiegata ora la totale responsabilità ricade sui tecnici certificatori che - in caso di dichiarazione falsa - dovranno assumersi tutti i rischi previsti dalla legge.

È il direttore dei lavori, o in sua assenza un professionista abilitato, ad asseverare l'agibilità e la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, di salubrità e di risparmio energetico degli edifici e degli impianti installati. Nell'asseverazione il professionista incaricato per l'agibilità assicura anche che l'opera realizzata sia conforme al progetto presentato.[29] Il tecnico ha, in ogni caso, l’obbligo di mettere il committente al corrente degli eventi. In caso di danno a terzi, poi, sussiste la responsabilità di natura extra-contrattuale a suo carico (ex art. 1669 c.c.). Essa può concorrere con quella del committente e dell'appaltatore se le azioni od omissioni hanno dato un contributo causale a produrre il danno.

La Corte di Cassazione nella sentenza del 27 marzo 1965 n. 1520 afferma che il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire.

La Corte specifica poi anche che il direttore dei lavori deve sovrintendere i lavori con la diligenza prevista per professionista intellettuale. Si può notare tuttavia come però, anche se il direttore dei lavori ha un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in realtà il suo ambito di competenza sia comunque piuttosto ampio. Egli è infatti coinvolto, nei limiti della sua competenza, all'individuazione ed eventuale correzione di carenze progettuali che emergono nel corso dei lavori e precludono una buona esecuzione dell’opera da realizzarsi. Inoltre è tenuto al controllo dei lavori, al controllo della conformità delle opere con il progetto, al controllo del rispetto di tutte le normative previste per il caso specifico durante l’esecuzione dei lavori, alla verifica della correttezza tecnica delle lavorazioni eseguite e alla verifica contabile-amministrativa per quanto riguarda la correttezza degli atti contabili e la corrispondenza delle liquidazioni rispetto ai lavori.[30]

 

[1] Gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità.
Il proprietario, che contravvenga alle disposizioni del presente articolo, è punito con l’ammenda da lire duecento a duemila (comma abrogato dall’art. 136 DPR 380/01).

[2] C. PAGLIAI, Dotare un vecchio immobile della necessaria Agibilità è abbastanza complesso e merita una attenta analisi delle normative vigenti e pregresse, Studiotecnicopagliai.it

[3] C. PAGLIAI, Op. Cit.

[4] Abitabilità-agibilità edilizia: esiste differenza fra i termini?, Ediltecnico.it, 2014

[5] Certificato agibilità immobile 2018: rilascio e autocertificazione, Guidaalfisco.it

[6] C. PAGLIAI, Op. Cit.

[7] Certificato agibilità immobile 2018: rilascio e autocertificazione, Guidaalfisco.it

[8] P. MAZZELLA, Segnalazione certificata di agibilità: tutto quello che occorre sapere, Ingegneri.info

[9] P. MAZZELLA, Ut Ubi

[10] Addio al certificato di agibilità: arriva la segnalazione certificata di agibilità, biblus.acca.it

[11] C. RIZZI, Segnalazione Certificata Agibilità, cos’è cambiato e di chi è la responsabilità, Ediltecnico.it, 2017

[12] Agibilità anche se l’immobile non rispetta il titolo abilitativo, Edilportale.com, 2014

[13] M. BARLETTA, La Segnalazione certificata di agibilità, dal 30 giugno, soppianta il certificato. Pronto il modulo unico, Professioneaarchitetto.it, 2017

[14] Addio al certificato di agibilità: arriva la segnalazione certificata di agibilità, biblus.acca.it

[15] Art. 31, co. 1, lettere c) e d), Legge n. 457/1978

[16] Casa inagibile: cosa fare?, Laleggepertutti, 2016

[17] Casa inagibile: cosa fare?, Laleggepertutti, 2016

[18] P. MAMMARELLA, Sanatoria edilizia impossibile senza l’agibilità, Edilportale.com, 2015

[19] P. MAMMARELLA, Agibilità anche se l’immobile non rispetta il titolo abilitativo, Edilportale.com, 2016

[20] Il certificato di agibilità prima e dopo il TU, Sicuring.it

Articolo del:


di Dott.ssa Francesca Pedace

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