Mala fede del conduttore nel rapporto di locazione commerciale


Non può essere accolta la richiesta di risoluzione del contratto e il risarcimento danni se chi li richiede non è in buona fede
Mala fede del conduttore nel rapporto di locazione commerciale

Il codice civile prevede, agli artt. 1453 c.c. e seguenti, la risoluzione del contratto, ovvero un istituto che consente la cessazione degli effetti di un contratto anche se al momento della stipula era privo di vizi formali o sostanziali (che genererebbero, invece, la nullità o l’annullamento del contratto).

La risoluzione può avvenire per tre motivi: la risoluzione per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità.   

In questo articolo vorrei soffermarmi sul primo dei tre motivi e, soprattutto, sui risvolti legali di una richiesta di risoluzione di un contratto di locazione dettata dalla malafede della parte conduttrice.

 

La risoluzione del contratto per inadempimento

La risoluzione per inadempimento è un istituto che può essere applicato nei contratti con prestazioni corrispettive, ovvero quando entrambe le parti si obbligano ad adempiere ad una prestazione di fare (o non fare) nei confronti della controparte.
Il dispositivo dell’art. 1453 c.c. prevede, però, che “quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”.

In altre parole, se una delle due parti effettua la sua prestazione e la controparte non lo fa, chi adempie può chiedere alla controparte di effettuare quanto dovuto oppure può richiedere che il contratto si sciolga, salvo avere il risarcimento per la prestazione già effettuata.

Ciò poiché il codice civile prescrive che “Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede” (ex art. 1375 c.c.).

Ma cosa accade se chi chiede la risoluzione lo fa in malafede? Ovvero, cosa accade se si chiede la risoluzione del contratto quando non ve ne sarebbe il motivo per farlo?

Il nostro ordinamento prevede, all’art. 1455 c.c., che “Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”, ma la malafede nella richiesta di risoluzione è ben altra cosa.

In quest’ultimo caso, la risoluzione viene chiesta sapendo consapevolmente che non ci sono i motivi fondati per richiederla.
Un caso a tal proposito è quello che vengo ad esporvi e che ha riguardato la difesa stragiudiziale e giudiziale di un proprietario di un fondo commerciale che aveva stipulato un contratto di locazione con un conduttore per l’esercizio di una attività di ristorazione.

 

Malafede del conduttore: un caso nei contratti di locazione commerciale

Il tutto ha avuto inizio con la stipula di un contratto di locazione di un fondo commerciale destinato a ristorante, con l’immissione in possesso del conduttore sei mesi prima della decorrenza del pagamento del canone di locazione, al fine di permettere al conduttore, a sue spese, di adeguare il fondo alla propria attività commerciale. Le parti davano atto di queste circostanze nel contratto di locazione, dove veniva precisato che il locale era in buono stato di manutenzione ed adatto all’uso.
Il conduttore, pagato il primo canone di locazione, al settimo mese successivo alla stipula del contratto, contestava al proprietario l’inidoneità ab origine del fondo locato, in quanto, secondo lo stesso, era affetto da danni da infiltrazioni di una fossa biologica, che a dire del conduttore erano stati taciuti dal proprietario.
Così in realtà non era, poiché il problema legato alla fossa biologica è emerso in data ben successiva alla stipula del contratto. Inoltre, a fronte dell’evento imprevisto, il locatore interveniva tempestivamente per la risoluzione del disagio, conclusosi in pochi mesi successivi alla contestazione. Contemporaneamente, il locatore (visto l’imprevisto), stipulava una scrittura privata con il conduttore in cui le parti concordavano la sospensione del pagamento del canone di locazione per 6 mesi.
Nonostante il problema non esistesse alla data della stipula del contratto di locazione, nonostante l’intervento tempestivo del locatore per porre rimedio all’imprevisto e nonostante l’ulteriore proroga del pagamento dei canoni, il conduttore richiedeva comunque la risoluzione del contratto con diffida ad adempiere nel termine di 15 giorni e con contestuale richiesta di risarcimento danni.
In più, la richiesta di risoluzione veniva inviata quando ancora la scrittura privata di sospensione dei pagamenti era valida ed efficace.
Altro punto di controversia tra locatore e conduttore è stato il quantum del risarcimento richiesto da quest’ultimo, risultato abnorme, non documentato e non in linea con la proposta transattiva stragiudiziale inizialmente valutata tra le parti.

Tutti gli elementi elencati possono certo indicare la malafede del conduttore nel voler risolvere un contratto senza motivazione e nella richiesta di danni superiore alle spese realmente sostenute.

In primo grado, il Tribunale ha rilevato infatti che l’aver richiesto la risoluzione del contratto, con diffida ad adempiere nel termine di 15 giorni, è stato un comportamento non in linea con gli impegni contrattuali assunti dalle parti ribadendo che, secondo l’art. 1375 c.c. “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”.

Il giudice di merito, inoltre, ha affermato come il principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 della Costituzione “esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte”.

Il Tribunale rileva, quindi, che la raccomandata inviata dal conduttore - quando era ancora valida ed efficace la scrittura privata che sanciva la sospensione del pagamento dei canoni di locazione, imponendo il ripristino della funzionalità delle fogne entro 15 giorni - segna un radicale mutamento di linea del conduttore rispetto alle trattative in corso.

Il conduttore, che era a conoscenza dei reali tempi di ripristino della fossa biologica (che gli erano stati comunicati dal locatore) ben sapeva che entro 15 giorni non sarebbe stato possibile ultimare i lavori. Infatti, proprio perché a conoscenza del fatto che i lavori sarebbero stati eseguiti di lì a pochi mesi, aveva richiesto un’ulteriore sospensione del pagamento dei canoni.

Pertanto, la raccomandata con la messa in mora del locatore costituiva un’ingiustificata rottura degli accordi presi con il contratto di locazione commerciale prima, e con la scrittura privata poi.

Il Tribunale stabiliva, dunque, che il comportamento del conduttore, “non rispondeva ad una condotta improntata a buona fede nelle esecuzioni del contratto”.

In secondo grado, la Corte di Appello giungeva alle stesse conclusioni del Tribunale, enfatizzando, invece, “la buona fede” del locatore.

A fronte dell’emersione della mala fede del conduttore, i giudici di merito di primo e secondo grado hanno respinto sia la richiesta di risoluzione del contratto, sia il risarcimento dei danni formulato dal conduttore.

 

Articolo del:


di Avv. Daniela Paoletti

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