La vicenda dello scambio di embrioni all'Ospedale Pertini di Roma nell'ordinanza che conferma i principi dell'ordinamento in materia di filiazione
Il caso, assai noto, è quello dei due coppie che, presso l'Ospedale Sandro Pertini di Roma, avevano avuto accesso ad un trattamento sanitario di procreazione medicalmente assistita, ricorrendo al prelievo dalla donna di gameti che, una volta fecondati, per errore del personale medico, sono stati successivamente impiantati in utero di una donna facente parte di un'altra coppia e che, portata felicemente a termine la gravidanza, ha successivamente dato alla luce due gemelli. La coppia dei genitori che aveva inizialmente donato i gameti propone, in via cautelare, un ricorso d'urgenza a tutela del «diritto di incontrare i propri figli genetici minori [Trib. Roma, Sez. I civ., Ord., 2 ottobre 2015]» che «avevano acquisito lo status giuridico di figli della partoriente e del marito e come tali erano stati registrati all'Ufficio di Stato civile [Trib. Roma, cit.]» al fine di «instaurare con gli stessi un rapporto, anche fissando le modalità di esercizio del diritto [Ivi]». Le istanze dei genitori genetici sono state inizialmente respinte dal Tribunale di Roma che aveva assunto a prevalente criterio di giudizio l'interesse «dei minori a rimanere nel contesto famigliare costituitosi con la gestazione e nei primi mesi di vita [Ivi]» (il parto era avvenuto a l'Aquila il 03.08.2014 e i ricorsi venivano notificati in data 26.03.2015 mentre la discussione degli stessi ancora pendeva alla data del 11.09.2015) a fronte delle argomentazioni dei genitori genetici secondo i quali doveva considerarsi, invece, prevalente «l'interesse dei minori alla verità genetica della propria ascendenza e a crescere nel proprio nucleo famigliare e cioè con la coppia che aveva dato luogo al concepimento in via di fecondazione medicalmente assistita [Ivi]» sostenendo anche il diritto dei minori «a conoscere le proprie origini e a sviluppare fin dalla più tenera età il fisiologico rapporto con i genitori genetici [Ivi]». In sostanza i genitori genetici hanno richiesto di «anticipare in via d'urgenza gli effetti di una sentenza, attinente allo stato di figli minori, di natura costitutiva e idonea a determinare i suoi effetti con il giudicato [Ivi]», e già in sede cautelare è possibile procedere previamente indicando le norme mediante le quali nel nostro ordinamento si individua lo status di filiazione dei nati sia rispetto alla madre che rispetto al padre. L'art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, dettante Norme in Materia di Procreazione Medicalmente Assistita, al capo III, recante Disposizioni concernenti la Tutela del Nascituro, all'art. 8 in tema di Stato giuridico del nato, stabilisce che «1. I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 6» ma tale norma «non può riferirsi all'embrione fecondato in vitro [Ivi]» ma, anche alla luce della sentenza 162 del 2014 della Corte Costituzionale «l'impianto dell'embrione nell'utero materno, il suo sviluppo nel corso della gravidanza e la nascita [Ivi]» deve considerarsi «elemento decisivo ai fini dell'acquisto della stato di filiazione [Ivi]» proprio anche dovendosi prendere atto del fatto che l'intervento della scienza, giungendo talvolta a divaricare il momento della fecondazione da quello dell'impianto, pone le basi di potenziali conflitti tra madre genetica e madre partoriente. Per tali motivi la norma da applicare, senza timore di incompatibilità con la legge 40 del 2004, resta l'art. 269, 3° comma del codice civile, dettato in tema di dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità, secondo il quale «la maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre».
Il punto decisivo è rappresentato dal nodo della maternità surrogata ossia il procedimento mediante il quale, con molteplici, a dir poco inquietanti, variabili, sostanzialmente la gestazione viene condotta da una donna diversa rispetto a quella che ha fornito i gameti e una sentenza come quella cui è chiamato il Tribunale di Roma non può legittimare lo status di figlio della madre genetica a colui il quale è nato dal grembo di una mamma diversa da quest'ultima, e ciò solo perché lo scambio di embrioni e la relativa gravidanza, è avvenuta per errore. Di qui alla legittimazione della maternità surrogata il passo sarebbe troppo ed irrimediabilmente breve, o lo ha ben presente il Giudice di Roma il quale ricorda come «il diritto alla filiazione non tolleri la moltiplicazione delle figure genitoriali dal lato materno e si può rilevare come il nostro ordinamento in ogni ipotesi di surrogazione di maternità abbia risposto con la prevalenza della madre partoriente sulla madre genetica e abbia comunque ribadito la contrarietà all'ordine pubblico di ogni progetto di genitorialità disgiunto dal profilo biologico [Ivi]». Se, come è ovvio che sia, la maternità surrogata è vietata non la si può legittimare per l'assenza di una volontà diretta a realizzarla ma si potrà eventualmente ipotizzare un rimedio legislativo a garanzia della verità genetica con meccanismi per i quali si può considerare, tra gli istituti esistenti, quello previsto in materia adozione legittimante all'art. 28, commi 5 e seguenti, della L. 04/05/1983, n. 184, dettata in materia di "Diritto del minore ad una famiglia": Anche rispetto al diritto sovranazionale si rileva come «la tutela della vita famigliare dei minori, per come declinata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, appaia direttamente legata all'interesse dei minori alla conservazione del legame di fatto costituito con la gestante fin dall'inizio della gravidanza e con il marito di lei fin dalla nascita [Ivi]».
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