“Motivati si nasce o si diventa?”


Siamo nati per essere motivati, abbiamo una serie di motivi innati da scoprire e da conoscere...la sfida sta nel conoscerli e svilupparli!
“Motivati si nasce o si diventa?”

Oggi si parla molto di motivazione, non solo in ambito psicologico, in cui è proprio oggetto di studio, di ricerca, tanto da essere stati creati test e proposte teorie diverse per spiegarla, ma anche nel self helping, difatti in libreria si trovano miriadi di libri sull’argomento.  Questo dimostra che, a livello di marketing, è molto sentito dal pubblico; io stessa per anni ne ho letto libri con lo scopo di trovare quella frase che facesse aprire la mente e svoltare una volta per tutte, simile alla folgorazione che ebbe san Paolo di Tarso sulla via di Damasco!

 

 


Che cos’è la motivazione?

La motivazione è una spinta endogena, che muove l’individuo verso il raggiungimento di obiettivi specifici, è alla base delle azioni che l’individuo compie nell’ambiente in cui vive.

Secondo Rolls (1994) è uno stato interno che implica processi consapevoli ed inconsapevoli, che spingono all’azione.
In questa prospettiva avrebbe origine da una modificazione delle condizioni interne dell’organismo, appunto una spinta endogena, promotrice di un determinato comportamento operante nell’ambiente.
Richiama molto il concetto di pulsione, cioè quella sorta di tensione/eccitazione fisiologica che muove l’individuo ad attuare condotte idonee per favorirne la scarica. Pertanto la teoria pulsionale della psicanalisi è una teoria della motivazione.

Secondo Freud la variazione dei livelli di tensione deriverebbe da modificazioni di natura fisiologica che producono l’interruzione dell’omeostasi; il comportamento messo in atto dall’individuo ha così l’obiettivo di ridurre lo stato di tensione e ripristinare l’omeostasi stessa. Ad esempio: quando abbiamo fame, sete… sperimentiamo una mancanza di equilibrio interno, sono diminuite alcune sostanze fondamentali per sostenere il corretto funzionamento del nostro organismo.
Lo squilibrio interno e la tensione/eccitazione ad esso associata inducono l’individuo ad adottare comportamenti finalizzati all’assunzione di cibo; si pensi al bambino piccolo che ha fame e vuole il latte materno: continuerà a piangere finché non avrà ciò per cui piange.
Di conseguenza, si può dire che la motivazione è alla base dell’assunzione di condotte che promuovono l’esistenza stessa dell’individuo.

Finora si è parlato dei bisogni di base, non si deve tralasciare il fatto che la motivazione sostenga anche comportamenti volti al soddisfacimento di bisogni più complessi, ad esempio: l’appartenenza ad un gruppo, l’autonomia, il voler realizzare le proprie potenzialità ed aspirazioni…
A questo punto non si può non ricordare la piramide dei bisogni di A. Maslow (1954), che propose un modello motivazionale dello sviluppo umano legato alla gerarchia dei bisogni, cioè una serie di bisogni che partono da quelli fisiologici (fame, sete, sonno, termoregolazione…), a quelli della sicurezza (protezione, tranquillità, prevedibilità, soppressione di ansie e paure), all’appartenenza (essere amato, amare, far parte di un gruppo, cooperare…), alla stima ( essere stimato, rispettato, riconosciuto approvato…) e per finire all’autorealizzazione (realizzare la propria identità, in base ad aspettative e potenzialità, avere un ruolo sociale, quindi sfruttare al meglio le personali qualità mentali e fisiche).
Il comportamento dell’uomo, quindi, vede alla base il soddisfacimento di bisogni di natura biologica e di natura psicologica; inoltre, soltanto la realizzazione di quelli fisiologici consente l’emersione di quelli di ordine superiore, fino ad arrivare al vertice della scala.
Mentre quelli fondamentali, una volta soddisfatti, tendono a non ripresentarsi, quelli di natura sociale e relazionale invece, possono ripresentarsi con nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere.
Questo spiega come mai l’insoddisfazione, sia nella vita pubblica che in quella privata e sul lavoro, sia così dilagante e può trovare una sua causa nella mancata realizzazione delle proprie potenzialità.

Per Maslow l’autorealizzazione richiede una serie di caratteristiche di personalità, competenze sociali e capacità tecniche.
Il suo modello è fortemente centrato sul meccanismo di autodeterminazione dell’individuo, per cui le spinte motivazionali nascono da fattori interni, ignorando l’interazione tra l’individuo e l’ambiente esterno. Risulta una certa rigidità nello schema, perché non è detto che il soggetto debba passare attraverso tutti livelli della scala gerarchica. In più Maslow esclude che un individuo possa essere spinto da più bisogni contemporaneamente, anche se con diversa intensità.

Il significato etimologico di “bisogno” è “prendersi cura di…”, quindi abbiamo bisogno di essere motivati, perché è molto difficile agire in assenza di motivazione ed assolutamente più piacevole e costruttivo muoversi avendo ben chiari: scopi, ragioni, obiettivi, anche se molte volte non ne siamo del tutto consapevoli.

 


Quindi motivati si nasce o si diventa?

Entrambi, nella misura in cui attraverso il movimento ed il divenire si fanno passi, scalate o voli. La motivazione si scopre e si crea ogni giorno e va “rimpolpata”, perché soggetta a variazione di livelli.

Molto interessante è il collegamento tra la teoria della motivazione e quelle dell’attaccamento di Bowlby, secondo cui il bambino, fin dai primi mesi di vita, è alla ricerca di una base sicura, di un punto di riferimento stabile, da cui partire per esplorare il mondo. Questa “base sicura” dovrebbe essere capace di dare risposta ai bisogni affettivi del piccolo con sollecitudine e continuità. Quando questo avviene si realizza un attaccamento sicuro, cioè ha interiorizzato un sistema di sicurezza, sente che può partire per esplorare il mondo, soddisfacendo le sue pressioni di autonomia che la crescita impone e propone, sapendo di poter tornare e che ci sarà qualcuno ad accoglierlo. Non solo un ritorno fisico, l’abbraccio della madre o del padre all’uscita da scuola, ma anche il senso di sicurezza interna e di fiducia in sé che accompagna il giovane adolescente o l’adulto dopo le sue prime conquiste nello studio e nel lavoro nel ritornare a casa cioè a sé, attraverso l’autoriflessione.

Purtroppo il bambino molte volte non riesce a sviluppare un attaccamento sicuro e si trova a vivere situazioni differenti, che portano ad un attaccamento evitante, caratterizzato dal continuo timore di essere rifiutati. Può essere che gli adulti di riferimento abbiano mancato con una certa frequenza il dare risposta alle esigenze di “esserci”, cioè di soddisfare le necessità di nutrimento, soprattutto psicologico, del bambino, per cui ha imparato ad aspettarsi più un rifiuto che l’accoglienza.

Altro stile disfunzionale è quello ambivalente, in cui talvolta ha trovato risposte positive, altre volte molto meno, questo ha fatto sì che sviluppasse un sistema d’incertezza ed insicurezza, fonte certa d’ansia, la domanda inconscia di fondo che si pone è “quando tornerò, troverò qualcuno ad accogliermi?”

La teoria afferma che il tipo di attaccamento vissuto e percepito durante l’infanzia influenzi alcuni aspetti di natura motivazionale, quali: la curiosità, il comportamento di esplorazione dell’ambiente, l’apertura, la fiducia in sé, che sono tutti frutto di una buona/discreta interiorizzazione di una base sicura.
Si capisce, così, che non abbiamo solo bisogno di amore, ma anche di sicurezza per favorire la nostra crescita e per sostituire le paure ataviche, che ci bloccano, con la speranza.

L’adulto che nei primi anni di vita ha vissuto stili di attaccamento più disfunzionali può riappropriarsi delle esperienze che gli sono state negate, come dice lo stesso Rogers con la teoria dell’amore incondizionato, secondo cui nelle persone si trova il bisogno imprescindibile di essere accolte per ciò che sono e non per come dovrebbero essere, essere amate come persona in divenire e non per ciò che fanno, o hanno fatto.

 


Qual è il rapporto tra emozione e motivazione?

La motivazione e l’emozione rappresentano le due facce della stessa medaglia: con la motivazione arriviamo a comprendere il perché si attiva un determinato comportamento, mentre grazie all’emozione comprendiamo il come: l’espressione e il vissuto che inevitabilmente accompagnano il soggetto durante la realizzazione delle sue azioni, ostacolandone o facilitandone il successo. Basti pensare che tutto ciò che è piacevole è motivante, per cui si innescano meccanismi avvicinamento; ciò che è spiacevole è demotivante, quindi si hanno meccanismi di allontanamento.

In quest’ultimo caso ciò che rende sopportabile lo svolgimento di un compito che non ci piace o non ci interessa è il tornaconto, il guadagno che otteniamo. Quindi in vista di qualcos’altro che ci si aspetta, perché altri ce l’hanno promesso o noi ce lo concediamo, si arriva ad essere motivati anche non piacevolmente.
Non appena il compito smetterà di essere piacevole o verrà a mancare un'aspettativa lo si abbandonerà!

 

 

Come si fa a motivare una persona?

Erroneamente tutti, o la stragrande maggioranza delle persone, io per prima, finché non sono giunta a certi studi, pensano che il motivatore sia una persona esterna, qualcuno che ti dica qualcosa che ti porti a raggiungere determinati risultati. Intendo il classico “Dai, dai che ce la fai! Sei il migliore, come te non c’è nessuno…!”

In realtà, come la stessa psicologia spiega, non c’è nessuno che possa motivare un’altra persona, eventualmente la si può far ragionare su determinati argomenti, comunque la spinta motivazionale parte dall’individuo stesso, è una scelta personale perseguire determinati obiettivi, rispetto ad altri.

 


La motivazione è una sola?

La motivazione si divide in motivazione interna, la più forte e più potente, ad esempio: voglio prendere la laurea in fisica, perché mi piace l’argomento, sto bene quando sento esprimere certi concetti, perché capisco il funzionamento di tante cose…Questi sono esempi di motivi del tutto soggettivi.

Esiste anche la motivazione esterna, cioè legata a fattori esterni al soggetto, quali: la considerazione degli altri, il ritorno economico, vantaggi…, talvolta capita che venga così interiorizzata da diventare motivazione interna. Esempio: mi voglio laureare in medicina perché mi piace come mi guardano le persone quando lo indosso, perché i medici hanno un’aurea di potere intorno a loro…

A tutti è capitato di svolgere un compito che ci piace e di perdere il senso del tempo che passa e non sentiamo la fatica. Ebbene quando siamo altamente motivati e proviamo emozioni positive entriamo in uno stato flow, in cui siamo tutt’uno con ciò che stiamo facendo, niente ci distrae, siamo totalmente presenti a noi stessi. Non solo, ma il nostro “locus of control” è totalmente interno, per cui siamo attenti al più piccolo dettaglio, per cui se stiamo facendo una gara molto importante e vediamo una buccia di banana o un buco sul pavimento, non ci andremo certamente sopra! Anzi! I nostri sensi sono tutti indirizzati a portare a casa il risultato che abbiamo prefissato.

In conclusione siamo nati per essere motivati, abbiamo una serie di motivi innati da scoprire e da conoscere, la sfida sta nel conoscerli e svilupparli!
Abbiamo anche una serie di “motivazioni” che si costruiscono, di certo un clima di paura, alimentato da ricorrenti timori, tipo: non essere capace, non valere, non essere all’altezza, non aiutano la costruzione e la crescita.
E’ importante scegliere di rimotivarsi ogni giorno, nonostante l’ambiente influenzi in negativo: per farlo bisogna avere ben chiari i propri perché e come.

 

Articolo del:


di Anita Alberti

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