Quale responsabilità per i membri del collegio sindacale?


Quali sono gli esatti confini della responsabilità del collegio sindacale per omesso controllo o condotta inerte a fronte di illeciti dell’organo amministrativo?
Quale responsabilità per i membri del collegio sindacale?

 

 

 

 

 

 

 

 

La responsabilità del collegio sindacale

La Cassazione è di recente intervenuta a delineare gli esatti confini della responsabilità dei componenti del collegio sindacale per l’omesso controllo e/o la condotta inerte a fronte dei comportamenti illeciti dell’organo amministrativo della società di capitali.

I chiari principi di diritto espressi dai Supremi Giudici possono servire da guida – e insieme da monito – per l’attività di controllo svolta dai sindaci, ai quali la legge demanda il compito di vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società nonché sul suo concreto funzionamento, esercitando inoltre il controllo contabile nel caso in cui sia loro attribuita anche la funzione di revisione legale dei conti (art.2403 c.c.).

Come è noto, l’art. 2407 del codice civile impone l’adempimento dei loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico e ne prevede la responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

Analizziamo dunque, nel dettaglio, i principi espressi dalla Suprema Corte.

 


La funzione di controllo

Premesso che nelle società di capitali l'obbligo di controllo accomuna una pluralità di soggetti ed organi (fra i quali pure l'organismo di vigilanza di cui al D.lgs. n. 231 del 2001), delineando così un sistema composito teso ad ottenere una garanzia rafforzata in merito all’osservanza delle regole di corretta amministrazione, la condotta omissiva del soggetto tenuto ad esercitare un controllo sull'agire altrui è, per fatto proprio, colpevole.

Invero, esclusa ogni forma di responsabilità oggettiva, sarà sempre necessario riscontrare il requisito della colpevolezza della condotta e il nesso causale con il danno.

 


La condotta

I sindaci, dunque, possono rispondere per fatto esclusivamente proprio oppure per concorso omissivo con la condotta degli amministratori, atteggiandosi la loro responsabilità nei confronti della società o di altri soggetti secondo le relative disposizioni, che pure li richiamano, degli artt. 2393-2395 c.c., alla stregua del suddetto art. 2407 c.c..

Come in tutti i casi di concorso omissivo nel fatto illecito altrui – riconosce la Cassazione – occorre innanzitutto l'accertamento degli elementi costitutivi oggettivi della fattispecie, e cioè la condotta, consistente nell'inerzia; l'evento, quale fatto pregiudizievole ed antidoveroso altrui; il nesso causale tra la condotta e l’evento.

Ed è proprio sul metodo di accertamento del nesso causale che si specifica la massima della citata sentenza:

“Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l'illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l'impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell'art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile (Cassazione civile, sez. I 12 luglio 2019 n.18770)”  mediante cioè quel cd. giudizio controfattuale ipotetico che consente di valutare se l'attivazione di una o più fra le molteplici iniziative messe a disposizione dei sindaci avrebbe potuto impedire l'evento, anche con riguardo alla sua protrazione, reiterazione o aggravamento.

I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 c.c. e ss. sono, infatti, configurati con particolare ampiezza e si estendono a tutta l'attività sociale, a tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello dei creditori sociali. Detti doveri, peraltro, non riguardano soltanto il controllo meramente formale sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma si estendono all’acquisizione di informazioni pregnanti sull'andamento generale dell’attività sociale così come su specifiche operazioni, qualora possano suscitare perplessità per le modalità ed esecuzione.

Compito essenziale è, dunque, quello di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione: dovere del collegio sindacale è quello di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la loro scelta di gestione rispettando tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, secondo le circostanze del caso concreto. Ad integrarne la responsabilità, pertanto, può bastare l'inosservanza del dovere di vigilanza allorché i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità.

 


La prova del nesso causale

L’onere della prova del nesso causale grava su chi agisce in responsabilità. Come s’è detto, l'inerzia è causa del danno se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, sempre che il sindaco potesse attivarsi utilmente in quanto disponesse di poteri per contrastare l'illecito altrui.

Invero, il comportamento dei sindaci deve essere ispirato al dovere di diligenza proprio del mandatario ed improntato ai principi di correttezza e buona fede, sicché non si esaurisce nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge ma comporta l'obbligo di adottare - di volta in volta ricercando lo strumento più consono ed opportuno - ogni atto utile e necessario per rendere la vigilanza sulla gestione effettiva e non puramente formale.

La Cassazione esige cioè, a fini dell'esonero dalla responsabilità, che il sindaco abbia esercitato o tentato di esercitare l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.

Da un lato, al sindaco non è consentito di rimanere acriticamente legato alle scelte dell'amministratore quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, essendo invece chiamato ad un più penetrante controllo mediante attività informative e valutative, quali la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c.; d'altro lato, egli dovrà fare ricorso a tutti gli altri strumenti previsti dall'ordinamento, come:

1.    i reiterati inviti a desistere dall'attività dannosa;

2.    la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, anche ex artt. 2446 e 2447 c.c.);

3.    il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite (ai sensi di tali disposizioni);

4.    i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime;

5.    l'impugnazione delle deliberazioni viziate;

6.    il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c.;

7.    la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all'autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative.

In ogni caso, non va trascurato che la condotta omessa va valutata nel contesto delle concrete circostanze del caso di specie.

In mancanza delle suddette reazioni, i sindaci concorrono nell'illecito commesso dagli amministratori per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge.

 


L'elemento soggettivo

Nell'azione di responsabilità promossa ai sensi dell’art.146 della Legge Fallimentare l'onere di provare l'assenza di colpa grava sull'organo sociale.

L'elemento della colpa rileva sotto il duplice profilo della colpa nella conoscenza e nell'omessa attivazione. Sotto il primo profilo, la S.C. specifica che la colpa può consistere nell’omessa rilevazione di “segnali d’allarme” (come la soggezione della società all’altrui gestione personalistica), nel fatto cioè di non avere il sindaco rilevato colposamente l'altrui illecita gestione, non essendo affatto decisivo che nulla traspaia da formali relazioni degli amministratori. Sotto il secondo profilo, il sindaco è tenuto ad attivarsi per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita. L'inerzia, a fronte dell'altrui illecito, è in sé colpevole e il disinteresse è già indice di colpa.

La Cassazione, da ultimo, ha ulteriormente precisato:

a) che l'essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell'illecito non è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, perché l'accettazione della carica comporta comunque l'assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell'adozione delle necessarie misure viene meno perché il fatto sia imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l'incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la pregressa situazione e porvi rimedio;

b) che le dimissioni non appaiono sufficienti ad esimere da responsabilità, quando non siano accompagnate da atti concreti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia.

 


L'onere probatorio

Spetta all'attore allegare l'inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all'esistenza di segnali d'allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull'avviso. Assolto tale onere, l'inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l'onere di provare di non aver avuto invece nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale di cui sopra s’è detto.

Ne risulta in definitiva esaltata la funzione di garanzia sostanziale e non meramente formale dell’organo di controllo, sottoposto – come recita la massima giurisprudenziale – al ragionamento controfattuale ipotetico circa l'attivazione dei poteri-doveri propri della carica che, ragionevolmente, avrebbero evitato l'illecito.

 

Articolo del:


di Avv. Roberto Croce

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