Quando sono validi ed efficaci gli accordi sul mantenimento dei figli


La legge stabilisce le condizioni alle quali i genitori, concordando le modalità di mantenimento dei figli, lo facciano anche mediante il trasferimento di immobili
Quando sono validi ed efficaci gli accordi sul mantenimento dei figli

Negli accordi finalizzati al mantenimento del figlio, minorenne o maggiorenne non autosufficiente, possono rientrare clausole aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili con la finalità, per chi opera il trasferimento, di restare conseguentemente esonerato dall'obbligo della corresponsione periodica dell’assegno di mantenimento.

La Cassazione (Ordinanza 11 gennaio 2022 sul ricorso 16670/2017) è tornata a pronunciarsi su questo argomento in epoca alquanto recente, partendo da un caso nel quale era stata avanzata una domanda volta ad ottenere il riconoscimento di un assegno mensile di mantenimento per il figlio minore nato da convivenza more uxorio col convenuto, «stante il mancato mutamento delle condizioni economiche delle parti in data successiva alla stipula, il 30/10/2012, di un accordo, valido ed eseguito, in forza del quale il padre aveva trasferito al figlio la proprietà di un immobile, ottenendo in cambio l'esonero da obblighi di contribuzione "salve spese scolastiche e di abbigliamento"».

In primo grado la domanda era stata dichiarata inammissibile; leggermente meglio era andata in grado di appello laddove, in parziale riforma della prima decisione, si era stabilito l'obbligo a carico del resistente di contribuire al mantenimento del figlio anche con un assegno mensile di euro 250,00. E questa, nel merito, sarà la decisione finale anche in Cassazione.

Vediamo quali sono i principi regolatori dell'intera materia.

Va precisato che in questo caso l’accordo tra i genitori circa il trasferimento immobiliare, era intervenuto in assenza di un «controllo giudiziario - del tipo di quello che interviene in sede di omologazione della separazione consensuale o di divorzio a seguito di istanza congiunta - necessario a verificarne la conformità all'interesse morale e materiale del figlio». Inoltre l’immobile trasferito era «di consistente valore economico (oltre euro 122.000,00) e potenzialmente produttivo di reddito» ma come tale restava di per insufficiente «a risolvere le maggiori necessità economiche contingenti del minore, ormai in età adolescenziale» in tal modo rendendosi comunque necessaria la corresponsione di un assegno in favore del figlio.

La Cassazione ricorda l’art. 337 ter c.c. laddove è stabilito «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore».

Certamente la determinazione dell’importo del mantenimento è affidata all'autonomia negoziale «e agli accordi dei genitori e, in caso di conflitto, al giudice, sulla base di precisi parametri ora individuati dal legislatore, improntati comunque sempre a fare emergere l'interesse del minore, che rappresenta l'obiettivo vero ed unico da salvaguardare».

E, in ipotesi di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza realizza un «controllo esterno sull'accordo tra i coniugi, in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli, attesa la natura negoziale dello stesso, stante "il superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti", cosicché i coniugi "possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l'affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori" (Cass. 18066/2014)».

L’accordo tra i genitori formalmente rientra nelle previsioni, rispettivamente, dell'art. 155 c.c., comma 7, art. 158 c.c., comma 2 e dell'art. 711 c.c., comma 3 e della l. 898/1970, comma 8 e art. 6 comma 9 ed assicura il mantenimento anziché attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, fondando l’impegno ad attribuire ai figli la proprietà di beni mobili od immobili, non realizzando una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria-compensativa dell'obbligazione di mantenimento e costituisce applicazione del principio, stabilito dall'art 1322 c.c., della libertà dei soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

Va aggiunto altresì che, secondo Cass. 21736/2013 detta convenzione è valida a condizione che «garantisca il risultato solutorio, non essendo in contrasto con norme imperative, con diritti indisponibili».

La giurisprudenza di legittimità valorizza inoltre anche gli accordi che pongano fine o prevengano una lite tra i soggetti potenzialmente obbligati: in base a quanto disposto da Cass. 24621/2015 «l'accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l'omologazione».

Valido è inoltre il patto «stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell'assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l'altro genitore» così come stabilito nella recentissima sentenza Cass. 5065/2021.

E, sempre nel 2021, questa volta le Sezioni Unite, Cass. 21761/2021, hanno confermato la piena validità delle clausole dell'accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, «che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni - mobili o immobili - o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento», principio che l’ordinanza in commento correttamente ritiene applicabile anche ad accordi intervenuti alla cessazione di un rapporto di convivenza di fatto; detta validità deve essere riconosciuta come ad un atto espressivo dell'autonomia privata, pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un'omologazione o controllo giudiziale preventivo, fermo restando che, avendo detto obbligo ad oggetto l'adempimento di obbligo ex lege, l'autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività ed efficacia fra le parti del negozio concluso, nella corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute alle effettive esigenze del figlio, cosicché, correttamente l’ordinanza in commento ricorda come pur «in assenza di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche dei genitori» non sia precluso «al giudice che sia chiamato a valutarne la rispondenza agli obblighi di mantenimento del figlio, e che lo reputi inidoneo o insufficiente allo scopo, di integrarlo e/o di modificarlo».

Criterio di giudizio del Giudice è l'esclusivo interesse morale e materiale della prole (ex art. 337 ter c.c., comma 2); sicché l'adozione dei provvedimenti ritenuti opportuni ad assicurare detto interesse non incontra, come si è già detto, i limiti processuali - costituiti dal dovere di rispetto del principio della domanda e del principio dispositivo - di cui all'art. 112 c.p.c., e, «a maggior ragione, non può ritenersi subordinata alla salvaguardia dei patti liberamente stipulati dai genitori nell'esercizio della loro autonomia negoziale, il cui contenuto e la cui congruità formano per l'appunto oggetto di delibazione».

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di Giuseppe Mazzotta

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