Search Engine Results Page tra diritto all'oblio e deindicizzazione


I limiti entro i quali il Garante per la protezione dei dati personali tutela il diritto all'oblio
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Secondo nozione di comune esperienza la tecnologia applicata ai sistemi di comunicazione digitale fonda un’esigenza di tutela dell’identità personale legata alle diffusione, tendenzialmente illimitata, dei contenuti e della rintracciabilità degli stessi da parte di una comunità potenzialmente indeterminata di persone. Per tali motivi potrebbe tuttavia crearsi una confusione tra il “Diritto all’oblio”, ossia il diritto di essere sostanzialmente cancellati alla conoscenza che altri ne possano avere, anche rispetto alla produzione precedente all’intervento giurisdizionale, e “la deindicizzazione”, ossia l’operazione tecnologica mediante la quale, stante la rimozione dalla piattaforma informatica dei link veicolo dell'informazione on line, si ottiene di risultare sostanzialmente irrintracciabili sul web unitamente ai contenuti con i quali vi si era stati inseriti.

Questa distinzione ha identificato il Tribunale di Milano, nella sentenza 7846 del 05 settembre 2018, nel dirimere la controversia tra Google LLC e Google Italy srl contro il Garante per la protezione dei dati personali, con riferimento al provvedimento 557 del 21 dicembre 2017 con il quale l’Autorità Garante aveva ordinato «la rimozione del motore di ricerca Google di una lista di link (…) contenenti notizie asseritamene false e lesive della dignità e reputazione del ricorrente».

La posizione di Google era molto chiara: l’ordine di deindicizzazione globale oltrepassava i limiti propri della Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, impedendo di «operare quel bilanciamento tra diritto all’oblio e libertà di informazione, che doveva avvenire sulla base delle leggi applicabili in ciascuno stato membro». Alla base di questa vicenda è il concetto di SERP acronimo di Search Engine Results Page ossia la pagina di risultati prodotti dal motore di ricerca: la SERP offre la totalità dei riferimenti che, attraverso anche solo l’inserimento di un nome, consente agli utenti di essere successivamente reindirizzati a tutti i contenuti informativi disponibili connessi a quel nome.

L'originario ricorrente al Garante ha «richiesto al motore di ricerca di rimuovere i contenuti (...) dall’elenco dei risultati generati durante la ricerca con nome e cognome dell’interessato, e dopo aver ricevuto una risposta parzialmente negativa, ha fatto valere le proprie istanze anche nei confronti del Garante» che lo ha invece pienamente accontentato. Il Tribunale di Milano, chiamato a decidere, chiarisce che il motore di ricerca «non persegue interessi pubblici ma (come, condivisibilmente scrive la Corte di Giustizia nella sentenza» n. 131 del 13 maggio 2014 (Google Spain e Google In. Contro Agenzia Espanola de Proteccion de datos (AEPD) e Mario Costeja Gonzalez) «un semplice interesse economico e non può, pertanto, esercitare compiti di bilanciamento di diritti di rango costituzionale, quali il diritto all’onore e il diritto alla libertà di espressione». A fronte di tutto ciò il diritto all’identità personale «piuttosto che un autonomo diritto della personalità sub specie di diritto all’oblio costituisce un aspetto del diritto all'identità personale, segnatamente del diritto alla dis-associazione del proprio nome da un dato risultato di ricerca. Il c.d. ridimensionamento della propria visibilità telematica, difatti, rappresenta un aspetto funzionale del diritto all’identità personale, diverso dal diritto ad essere dimenticato, che coinvolge e richiede una valutazione di contrapposti interessi: quello dell’individuo a non essere (più) trovato on line e quello del motore di ricerca (nel senso poco sopra specificato)».

In tema di bilanciamento degli interessi coinvolti, nel caso deciso dal Tribunale di Milano, è rimasto accertato «l’interesse pubblico alla conoscenza di vicende relative ad un docente universitario candidato alle elezioni politiche» e, specificamente, «candidato alle ultime elezioni politiche nel Centro e nel Nord America» avuto riguardo al fatto che «le esternazioni negative e i commenti personali spiacevoli» nei confronti del candidato medesimo non potevano «ritenersi inesatte in termini reali» come anche emerso da inchieste giornalistiche rispetto a «numerosissime circostanze che non consentono di escludere – prima di un’attenta verifica in sede giudiziaria – la sussistenza dei requisiti previsti dalla disciplina in materia di trattamento dei dati personali». Per effetto di questa ricostruzione, in fatto e in diritto, con la chiara distinzione tra diritto all'identità personale e diritto all'oblio, da una parte, e deindicizzazione globale, dall’altra, il Tribunale di Milano ha disposto la revoca del provvedimento adottato del Garante ritenendo infondata la deindicizzazione globale così come originariamente richiesta dall’interessato.

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di Giuseppe Mazzotta

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