Semplicità volontaria: lavorare bene per vivere meglio?


"Lavorare per vivere e non vivere per lavorare" sembra un motto banale, ma al giorno d'oggi tanto viene sacrificato per la carriera, agire in modo differente si può
Semplicità volontaria: lavorare bene per vivere meglio?

Downshifting o semplicità volontaria è il nuovo mantra che sta prendendo piede nella società occidentale, è un movimento alla riscoperta di uno stile di vita votato ai ritmi lenti, all'ecosostenibilità e ai veri valori esistenziali.

Significa ridimensionare il significato e il ruolo dato al lavoro all'interno della vita dell'individuo alla riscoperta degli altri piaceri che riempiono l'esistenza.

Chi opta per la semplicità volontaria?

Il termine downshifting è stato definito dall'Oxford Dictionary come lo “Scambio di una carriera economicamente soddisfacente con uno stile di vita meno faticoso e meno retribuito, ma più gratificante”. In italiano è stato tradotto con la dicitura Semplicità volontaria, ma ad oggi chi adotta questo nuovo stile di vita rientra in categorie poco semplici. Si tratta di professionisti, manager, imprenditori, laureati specializzati che rinunciano a una carriera brillante per inseguire la felicità. I promotori di questo movimento, infatti, puntano tutto sul miglioramento esistenziale con un impatto anche mondiale. Chi vive con semplicità, infatti, è anche bendisposto verso l'ecosostenibilità e il risparmio.

Lo affermava anche Albert Einstein nelle sue “Le tre regole di lavoro”, esci dalla confusione, trova semplicità.

Cosa significa scegliere la semplicità?

La scelta di una vita basata sulla semplicità è una decisione volontaria dai molteplici aspetti che vanno dal rallentamento dei ritmi di vita, ad uno stile di vita più naturale, dedicarsi con passione ad attività che abbiano senso per l'individuo prima che per la società (spesso si tratta di riscoprire attività manuali e artigianali) e smettere di considerare il lavoro la priorità principale della vita. Una scelta di semplicità, ovviamente, ha i suoi costi perché se si guadagna in una vita più lenta e votata ai piccoli piaceri, al momento significa anche vivere da outsider rispetto a una società che della semplicità non sa che farsene. Lavorare nella semplicità potrebbe voler dire anche meno denaro, ma anche meno stress e ansia, i principali problemi della società occidentale.

Chi ha abbracciato tale stile di vita afferma che: “Quando si abbraccia la semplicità volontaria e si segue questa strada per un certo lasso di tempo, diciamo pure qualche anno, la vita fiorisce in tutta la sua bellezza. Si comprende chiaramente che i nostri problemi erano generati dal folle e malato stile di vita che il sistema ci imponeva. Tolti di mezzo tutti i condizionamenti a cui siamo soggetti ecco che la vita, da pesante e difficoltosa, diventa leggera e pacifica”.

La semplicità volontaria è la precisa scelta di spogliarsi da tutto quello che non serve, di non avere ambizioni, ripudiare la gloria personale, il potere, il profitto, l'apparire e il voler prevaricare sugli altri.

Rifiutare il lavoro continuo, distruttivo e alienante per dare spazio a una vita fatta di pochi soldi e più tempo per le cose che contano veramente.

Si alimenta di gesti lenti e pazienti, perché le persone che seguono questa filosofia non si votano alla produzione sfrenata, ma alla crescita interiore. Ricercano la lentezza, la tranquillità e la pace. Non devono dimostrare nulla perché non hanno bisogno di nulla, si accontentano di quello che la vita gli dona, sanno che la natura ha già pensato a tutto e non si preoccupano del futuro vivendo prevalentemente nel presente.

Dal mio punto di vista, per capire meglio questo concetto è utile risalire all’origine del termine semplicità.

La semplicità risiede nell’essenziale, ma cosa vuol dire Essenziale?

L’essenziale è l’anima di ciò che facciamo, il suo profumo, la sua essenza.

Significa eliminare dalle nostre azioni ciò che è superfluo, dal latino super-fluere ossia scorrere sopra, scivolare via, lasciare solo ciò che serve.

Significa diventare leggeri, semplici e perfetti dal latino per-fectus, che è compiuto, che nella composizione dei verbi aggiunge loro l’idea di compimento.

Quindi, ciò che è essenziale è perfetto, non ha niente di più e niente di meno di ciò che gli serve.

Apple, Think Different è uno slogan che rende bene l’idea di ciò che è essenziale e perfetto.

Ma attenzione, non necessariamente ciò che è essenziale è semplice.

Ad esempio, la nona sinfonia di Beethoven, l’autoritratto di Raffaello, il disegno di un bambino o una ragnatela, sono esempio di essenzialità e perfezione, ma non di semplicità.

Ciò che è essenziale non ha niente di troppo e non ha niente di meno del necessario.
Cercare l’essenziale significa eliminare tutto ciò che è inutile e che rende una certa cosa complicata.

Nell’origine latina del termine complicato significa con pieghe, semplificare significa spiegare, eliminare le pieghe o aprire il foglio per vedere bene.

Quando ho eliminato tutto ciò che non serve, non c’è più niente di complicato, non ci sono più pieghe.

Come lo scultore di fronte al blocco di marmo vergine, elimina tutto ciò che imprigiona la forma che vuole portare alla luce e a un certo punto si ferma, è giunto alla sua idea, ha aperto il foglio, può leggere tutto, non può più eliminare nulla, ha raggiunto l’essenza.

In verità è estremamente semplice abbracciare la semplicità perché si stratta solo di smettere di "fare", in tutti i sensi in cui riusciamo a declinare questo concetto. Nella semplicità meno sovrastrutture creiamo nella nostra vita più ci si avvicina all'essenza della vita stessa, visto che questa è una cosa estremamente semplice e risulta complicata proprio perché siamo noi che la rendiamo tale.

Si inizia vedendo tutto da un'angolazione diversa e, per farlo, è sufficiente chiedersi il "perché" delle cose.

Perché lavorare così tanto? Perché desiderare oggetti inutili? Perché voler essere migliori dell'altro? Perché ricercare l'apparire o l'essere diversi da ciò che siamo realmente? Perché ambire al successo, all'essere ammirati, all'instillare invidia nell'altro?

L'aspetto interessante è che non abbiamo nemmeno bisogno di trovare una risposta: nel momento stesso in cui iniziamo a chiederci "perché", nel nostro cuore appare chiaro quanto sia ridicolo desiderare queste cose. La vera difficoltà sta nell'accettare di aver basato, fino ad oggi, la propria vita su vere e proprie sciocchezze, idiozie che ci hanno impedito di vivere felici.

Nel momento in cui abbracciamo il vero significato dell’essenziale dalla sua derivazione latina esse-ens l’essere di una cosa e allontaniamo il mero “fare” questo apre al senso del possibile.

Questo risiede nella capacità di stare meglio in rapporto con sé stessi, riconoscere e governare i propri stati d’animo, migliorare la presenza di sé nel tempo e nello spazio che abito, saper gestire il dialogo interiore è possibile e ci fa stare meglio anche con gli altri con effetti benefici anche sulla nostra salute psichica e fisica.

Da tempo credo che l’asset strategico odierno per le aziende è la qualità delle relazioni prima con se stessi e poi con gli altri.

Migliorare il nostro “saper essere”, al di là del “sapere” e del “saper fare”.

Esiste un “saper essere” naturale che ha fatto sì che fino ad oggi ci siamo affermati come razza superiore alle altre ed è il sapere Essere Umani.

Scelta che crea di certo qualche pregiudizio nei confronti di chi sceglie questo stile di vita
Sono dei pazzi? Degli scansafatiche? Degli irresponsabili? Degli illusi?

Può darsi, ma quanti tra coloro che giudicano chi ha cambiato radicalmente il proprio modo di interpretare la vita e i suoi valori ha mai provato a vivere in questo modo? E allora quando ci si eleva a giudici delle esistenze altrui, su che base lo si fa? Sulle proprie sensazioni, sul fatto che è "ovvio" che vivendo in questo modo le cose non possono andare bene? "Ovvio" è l'aggettivo che usano le persone che credono di aver capito tutto, e che di solito, poi, si dimostrano non aver capito niente.

Di certo non è semplice come bere un bicchiere d’acqua.

Ma come diceva Socrate “Ho gettato via la mia tazza quando ho visto un bambino che beveva al ruscello dalle proprie mani”.

 

Articolo del:


di Mauro Dotta

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