Tempi di permanenza dei figli con i genitori e mantenimento diretto
I figli hanno l'indisponibile diritto al mantenimento, che è diretto se inteso nella sua qualità di maggior garanzia delle loro esigenze ad un sano ed equilibrato sviluppo psicofisico.
D’alta parte il carattere diretto del mantenimento riconduce ad una condizione di famiglia unita, i cui componenti convivono, condividendo le risorse nella loro disponibilità e spontaneamente cooperando nel miglio utilizzo delle stesse.
L’ingresso della famiglia nella vicenda della separazione o del divorzio altera questo quadro, introducendovi atri e diversi elementi di forte condizionamento dell'equilibrio sopra descritto.
La separazione dei genitori verosimilmente aumenta le esigenze economiche degli stessi nell’ambito della stessa dotazione patrimoniale esistente in epoca precedente a quella della frattura del legame famigliare.
Tutto ciò renderà necessario stabilire, anche giudizialmente, laddove i genitori non si accordino in favore dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, un nuovo equilibrio nel riparto delle suddette risorse economiche, considerando che tali si ritengono essere tutte le risorse a disposizione dei genitori, non potendosi limitare alla liquidità disponibile agli Stessi l’ambito dei mezzi sui quali i figli, che la famiglia sia unita o meno, devono poter contare.
Nel contesto che si è appena descritto si iscrive l’art. 337 – ter del Codice civile ove è stabilito [commi 04, 05, 06] che:
«Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore;
L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».
Questo il quadro completo delle regole dettate dal Codice civile.
Nello specifico, nell'interesse dei figli è la tendenziale riduzione, sino all’auspicabile neutralizzazione, della forbice che divarica i tempi di permanenza degli stessi presso i genitori; e questo avverrà nel quadro di un processo graduale, in armonia con la crescita dei figli e con la loro, fisiologica, sempre maggiore autotomia dalle esigenze di accudimento che, in tenera età, certamente consigliano la prevalente permanenza presso la madre.
Laddove non esistano tra i genitori significative differenze economiche (la cui valutazione tenga conto di tutte le disponibilità mobiliari, immobiliari e logistiche facenti capo ad essi), l’eventuale permanenza, nella stessa misura, dei minori presso ciascun genitore, viene sovente ritenuta un motivo alla base del mantenimento diretto, con conseguente inutilità dell’assegno perequativo in favore di uno dei genitori ed a carico dell’altro. Ma, più esattamente, questa condizione è essa stessa una forma di mantenimento diretto che già si realizza proprio in conseguenza dell’eguale misura dei tempi di permanenza.
Non solo. Laddove in questa circostanza (che si realizza ad esempio quando i minori trascorrano con i genitori settimane alterne) si insista nel mantenere l’assegno, pur in assenza di significative differenze di disponibilità economica, questo si tradurrà in un ingiustificato depauperamento, in quota parte corrispondente all’assegno, del patrimonio del soggetto obbligato, il quale, pur avendo i figli minori con sé a settimane alterne, in quelle settimane dovrebbe poter contare su di una disponibilità ridotta, evidentemente a tutto danno del figlio, salvo ritenere che il coniuge beneficiario dell’assegno lo utilizzi in modi e forme tali da riequilibrare la situazione descritta. Ipotesi, questa, che, oltre ad essere illogica, andando a costituire una sorta di regresso della funzione perequativa dell’assegno, appara prima facie anche assai poco plausibile. A differenza di quanto accade per le spese straordinarie, infatti, l’assegno da genitore a genitore soddisfa l’esigenza di un mantenimento slegato da specifiche voci di spesa, il che lascia ritenere che, una volta entrato nella sfera di controllo del genitore beneficiario, esso si perderà in mille rivoli (pur nel generale interesse dei minori) lasciando inalterata la situazione di svantaggio nella quale è venuto trovarsi il genitore obbligato a corrisponderlo.
Nella recentissima Ordinanza della Corte di Cassazione, 05 giugno 2023, n. 15693 sono chiaramente riepilogati i principi e le regole essenziali in ordine all’argomento in esame.
Ripercorriamone i passaggi che più direttamente affrontano il tema del rapporto tra tempi di permanenza e mantenimento diretto.
Al § 3.3 si ricorda preliminarmente che «La modalità primaria di adempimento dell'obbligo predetto è, ragionevolmente, quella del mantenimento diretto. La disgregazione della famiglia conseguente alla separazione, al divorzio ed all'interruzione della convivenza, tuttavia, può far sorgere la necessità di ristabilire la misura della proporzionalità contributiva dei genitori nei confronti della prole. In altri termini, se entrambi potranno continuare a provvedere alle esigenze ed alle spese connesse alla crescita dei figli, in via diretta, quando li hanno con sé, nondimeno si potrà verificare la necessità di riequilibrare la proporzionalità degli oneri che su ciascuno debbono gravare attraverso la previsione di un assegno di mantenimento»;
Al § 3.5. si opera una considerazione critica e di metodo laddove si spiega che «La debenza dell'assegno indiretto/perequativo, peraltro, non è automatica: il dovere di mantenimento dei figli, infatti, potrebbe essere pienamente e adeguatamente assolto anche solo in via diretta. La corresponsione di un importo perequativo diviene necessaria, invece, allorquando, stante il divario reddituale e patrimoniale tra i genitori, considerati i costi connessi al mantenimento diretto della prole anche in relazione ai tempi di permanenza dei figli presso ciascuno di essi, si renda necessario riequilibrare la proporzionalità degli oneri di spesa a carico degli stessi».
Al § 3.5.1. si affronta il tema dei criteri di determinazione del contributo al mantenimento dei figli, precisandosi che «Non esiste un criterio fisso, predeterminato, diretto a stabile ex ante la misura dell'assegno cui il genitore sia tenuto. Il sistema normativo non prevede (diversamente da quanto avviene in altri ordinamenti) che una quota fissa dei redditi dell'obbligato sia destinata al mantenimento della prole» e si opera un riferimento all’art. 337 – ter del Codice civile al quale ci siamo riportati all’inizio e che «individua quali primari parametri di riferimento ai fini della quantificazione dell'assegno predetto, tra gli altri, le "attuali esigenze del figlio" ed il "tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori"».
Al § 3.5.3. entriamo nel merito specifico dei tempi di permanenza presso ciascun genitore poiché essi costituiscono «altri parametri idonei ad influire sulla misura dell'assegno indiretto»
così come lo sono
«le risorse economiche di entrambi i genitori" e "la valenza economica dei compiti domestici e di cura assicurati ai figli da ciascun genitore", dovendosi sottolineare che la valenza dell'espressione "risorse economiche" è di ampio respiro, sicché il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale, se prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, dovendo, in caso di specifica contestazione di una di esse, effettuare i dovuti approfondimenti rivolti ad un pieno accertamento delle rispettive risorse economiche di ciascun genitore (incluse eventuali disponibilità monetarie, investimenti in titoli obbligazionari e azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di benessere e di fondate aspettative per il futuro [cfr. Cass. n. 6652 del 2023; Cass. n. 9915 del 2007]».
D’altra parte, statuisce ancora la Cassazione, «L'assegno assolve, allora, ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l'età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione».
Infine «l'entità dell'assegno di mantenimento, inoltre, dipende anche dal tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei genitori, dal momento che la frattura familiare conseguente alla dissoluzione della convivenza non deve incidere negativamente sui figli compromettendone la qualità di vita che deve rimanere "tendenzialmente" analoga».
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