Acquisto di sostanze dopanti: si rischia l'accusa di ricettazione


L’acquisto di sostanze dopanti attraverso canali diversi dalle farmacie e dai dispensari autorizzati, realizza il reato di ricettazione anche se l'uso è personale
Acquisto di sostanze dopanti: si rischia l'accusa di ricettazione

Rischia una denuncia per ricettazione il soggetto che acquista anabolizzanti al di fuori dai canali legali (ad esempio su internet), anche nel caso in cui l'acquisto è finalizzato a soddisfare un proprio bisogno edonistico di incrementare la massa muscolare.

E' quanto afferma la Suprema Corte di Cassazione, che, superando il precedente e più favorevole orientamento, si è attestata, negli ultimi anni, su un indirizzo interpretativo più restrittivo.

Prima di analizzare l'evoluzione giurisprudenziale, è opportuno fare qualche cenno alla fattispecie incriminatrice in esame.

Cosa si intende per ricettazione?

In base a quanto stabilisce l'art. 648 c.p., la ricettazione è un reato che si configura quando l'agente, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, al quale egli non abbia partecipato, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere e occultare.

Presupposto di tale reato è che anteriormente a esso sia stato commesso un delitto al quale il ricettatore non abbia partecipato.

Scopo della norma è quello di impedire che, una volta realizzato un delitto, persone diverse da coloro che lo hanno commesso traggano vantaggio dalle cose provenienti dallo stesso, evitando, in tal guisa, che, attraverso la successiva circolazione del bene, possa venire ostacolata l'identificazione del colpevole.

Il reato presupposto

Il reato di ricettazione, in base a quanto sopra accennato, presuppone che in precedenza sia stato commesso un altro delitto (c.d. reato presupposto), che non si richiede sia stato accertato con sentenza passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto delittuoso risulti dagli atti del processo e che quindi il compimento di tale delitto si sia esaurito nel momento di inizio della condotta qui esaminata. E' sufficiente che sia stato commesso un qualsiasi delitto di natura dolosa o colposa, con eccezione, quindi, delle contravvenzioni.

Elemento soggettivo

La ricettazione, per unanime ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale, è un reato a dolo specifico, per tale dovendosi intendere quel reato che l'agente commette avendo di mira il raggiungimento di uno scopo, la cui realizzazione, peraltro, non è necessaria per la consumazione del reato.

Il dopo specifico nel reato di ricettazione consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un profitto: la nozione di profitto va intese in senso ampio, in quanto vi si fa rientrare anche quello non patrimoniale, potendo consistere in qualsiasi utilità o vantaggio, persino di ordine morale. Il profitto consiste non solo nell'utilità economica ma anche in qualsiasi soddisfazione (morale o materiale) che l'agente si riprometta dall'impossessamento della cosa.

L'iter argomentativo svolto dalla Suprema Corte

La seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2640 del 19 gennaio 2017, ha, preliminarmente, giudicato corretta l'impostazione seguita dai giudici di merito che avevano individuato il reato presupposto della ricettazione contestata all’imputato nella violazione dell’art. 9 co 7 della Legge n. 376/2000 che punisce chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di cui all’articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente.

La Corte, poi, ha affrontato il tema, dirimente, dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione, costituito, come abbiamo visto, dal dolo specifico, vale a dire l'avere compiuto l’azione al fine di procurare a sé ad altri un profitto.

Ebbene, discostandosi dal precedente e più favorevole orientamento, la Cassazione ha rilevato che "Al fine dell’integrazione del reato non è essenziale l’effettivo conseguimento del profitto in quanto lo scopo dell’incriminazione è quello di reprimere il possesso di una cosa di provenienza delittuosa, quando l’agente sia a conoscenza di tale provenienza e voglia comunque ricavarne dal possesso una qualsiasi utilità o vantaggio e che il bene giuridico tutelato non è la salute, protetta, nel caso di specie dal reato presupposto, bensì l’interesse patrimoniale e l’amministrazione della giustizia, perché l’esigenza sottesa all’incriminazione di ricettazione è quella di vietare la circolazione delle cose di provenienza criminosa".

Sulla base di queste coordinate interpretative, il Supremo Collegio, conformandosi ad un innovativo orientamento già tracciato da una sentenza di poco anteriore (si tratta di Cass. Sez. II n. 15680 del 2016) ha quindi ritenuto che configuri il reato di ricettazione l’acquisto di sostanze dopanti ancorché finalizzato ad un’assunzione personale per finalità meramente estetiche.

Il precedente orientamento giurisprudenziale

Intervenuta su fattispecie analoghe (ricettazione di sostanze dopanti), la Suprema Corte aveva, prima di allora, più volte ribadito che il dolo specifico del fine di profitto, previsto dall’art. 648 c.p. per integrare la condotta di reato, non può consistere in una mera utilità negativa, che si verifica ogni volta l’agente agisca allo scopo di commettere un’azione esclusivamente in danno di sé stesso, sia pure perseguendo una utilità meramente immaginaria o fantastica (Cfr. Cass.,Sez. II, n. 843 del 19.12.2012; Sulla stessa linea: Cass., Sez. II, sentenza n. 28410 del 12.6.2013).

La suddetta tesi riteneva che "Se la latitudine del concetto di profitto può essere estesa a qualsiasi utilità, anche di carattere non patrimoniale, la nozione di utilità, a sua volta non può però essere estesa all’infinito perché altrimenti si perverrebbe ad una interpretazione abrogante del dolo specifico richiesto dalla norma, con la conseguenza che la condotta di acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto sarebbe punibile solo sulla base del dolo generico, vale a dire la semplice conoscenza dell’origine illecita della cosa".

La nozione di utilità, secondo la sentenza in parola, non può essere forzata fino al punto da includervi anche la mera utilità negativa, vale a dire ogni circostanza che, senza ledere diritti od interessi altrui, si risolva in una mera lesione della sfera soggettiva dell’agente. Ha ritenuto pertanto che doveva escludersi che il fine di compiere un’azione in danno di sé stessi (stante gli effetti collaterali delle sostanze dopanti sull’organismo del suo assuntore), sia pure perseguendo un’utilità meramente immaginaria o fantastica (miglioramento delle proprie prestazioni o aspetto fisico), potesse integrare il fine di profitto, previsto dall’art. 648, per la punibilità delle condotte ivi descritte.

Cosa cambia

A seguito del nuovo indirizzo giurisprudenziale, l'ambito di operatività della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 648 c.p. si estende, di fatto, a tutte quelle condotte di acquisto di anabolizzanti al di fuori dei canali legali, a prescindere dal conseguimento o meno di una utilità di carattere patrimoniale.

Sulla base di questa nuova impostazione, si registrano operazioni di Polizia Giudiziaria in tutta Italia, finalizzate al contrasto del traffico/consumo illecito di sostanze e/o farmaci ad azione dopante (steroidi, ormoni, estrogeni, eritropoietina, nandrolone).

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di Avv. Walter Marrocco - Penalista del Foro di Roma

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