Dieta e Psiche. Dimagrire è una questione di testa


Quanto conta l'atteggiamento mentale nel dimagrimento o nel sovrappeso? E' sufficiente attenersi a rigide diete ipocaloriche, alla moda, vegane...?
Dieta e Psiche. Dimagrire è una questione di testa
Mangiamo in fretta, male, cose poco genuine (in attesa di capire cosa succederà con gli OGM, gli alimenti geneticamente modificati...) è vero; ma è altrettanto vero che mangiamo...di continuo! Quando siamo nervosi o troppo calmi, per uscire con gli amici od il partner, per rimanere meglio in compagnia di noi stessi o per ammazzare la solitudine e la noia, per "spezzare" la giornata o per concretizzare obiettivi di lavoro, per fare contenta la mamma anche se scontentiamo noi stessi! Insomma ogni scusa è buona per mangiare; anzi, meglio sarebbe dire, ingurgitare, ingoiare ancora qualcosa, anestetizzandoci rispetto a tutto quello che in quei momenti di ansia o di noia, di vuoto o di pieno, di amarezza o di felicità potrebbe saltarci in mente. Quello che di più sorprende è che spesso anche la capacità di lavorare per ore, in maniera concentrata, attenta, silenziosa può essere scambiata per un tratto "insolito", un segno di un qualche "squilibrio" o malattia; e il cibo è il modo più semplice per "distrarci" da ciò che stiamo facendo, da ciò che stiamo vivendo e provando. "Vieni a prendere un caffè?"; "Dai che si esce con gli altri per una pizza"..."Hai mangiato abbastanza...come farai a lavorare con così poco nello stomaco?". Tutto ciò che è vuoto viene inevitabilmente associato a debolezza, incapacità, rischio, malattia, assenza ecc. Eppure nelle pratiche di digiuno i partecipanti riferiscono costantemente di avvertire crescita dell’attenzione, accentuazione e affinamento delle capacità percettive, addirittura miglioramenti nella sensazione e percezione legate alla sfera della sessualità. Insomma, è come se, soprattutto in Occidente, il cibo fosse divenuto un ulteriore esempio del sottile processo, innescatosi secoli fa, di omologazione delle coscienze (oltreché dei corpi), di annullamento delle differenze individuali. Mangiamo non solo negli stessi modi ma con gli stessi tempi, negli stessi locali e con i medesimi ritmi e gusti; ed anche quando crediamo di essere "alternativi" scopriamo .....di essere in tanti ad avere fatto la stessa scelta. E’ quella che Galimberti definisce la "violenza del corpo sociale"; la quale se da un lato fa sentire tutti partecipi di un unico modo di vivere (appartenenza) dall’altro ci colpevolizza per la nostra "fame" di individuazione, di specificità. Ma se questi processi sono fuori del nostro controllo, ciò che non lo è è la consapevolezza di ciò che stiamo facendo mentre mangiamo. E la consapevolezza nasce dal rendersi conto che, al di là degli standards e dei condizionamenti sociali (che vogliono corpi efficienti, "scolpiti", lisci e glabri, possibilmente abbronzati ecc.) ognuno di noi ha già una sua propria forma corporea, fin dall’inizio. Nessun embrione conosce l’Anoressia, la Bulimia, l’Obesità o il Sovrappeso. Nessun embrione conosce il giudizio che verrà immediatamente espresso una volta terminata la gestazione che lo avrà trasformato in un essere umano; "è sovrappeso, è sottopeso, è gracile, è robusto " ecc. La statistica non conosce nulla dell’embrione, di quell’embrione che porta con sé un progetto di forma corporea, di senso corporeo e di rapporto con il mondo che proprio quella forma permetterà di sviluppare. Peccato che immediatamente, in pochissimi mesi e poi anni, si sovrappongano a questo progetto svariati e diversissimi "progetti alimentari" che quasi mai riescono a conoscere e/o rispettare questo senso preesistente, questa "forma originale", questo "seme" che comincia subito ad essere seppellito da tonnellate di desideri di estranei che lo vedono bene se ingrassa e lo vedono male se non lo fa o se addirittura perde peso; salvo poi notificargli più avanti, al fine di evitare malattie cardiocircolatorie, renali ecc., che deve sottoporsi a una bella (e ferrea..) dieta permanente.
Per usare una metafora; passiamo la vita a diventare anche corporeamente "bruchi" ben pasciuti e inseriti salvo poi accorgerci che non ha alcun senso essere bruchi "più magri" se non si diviene mai la farfalla che era scritto divenissimo. Una volta divenuti quella farfalla la sua forma verrà da sé.

Insomma, se mente e corpo sono, come da ogni parte si sente dire, veramente un unico processo, come è possibile cambiare forma corporea senza mutare in nulla la propria forma mentis?
Dott.Mario Bianchini

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di Mario Bianchini Psicologo Psicoterapeuta

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