Diffamazione online: cos'è e come difendersi


La vastità dell'uso dei social network impone la necessità di riconoscere i requisiti e i limiti della diffamazione online e di come difendersi dagli attacchi subiti
Diffamazione online: cos'è e come difendersi

Negli ultimi anni i social network hanno invaso le nostre vite, ritagliandosi uno spazio sempre più importante e determinante della quotidianità. I social network, oltre allo scopo ludico, hanno oggi un ruolo pregnante come strumento di ricerca di informazione di attualità, di pubblicità e persino di attività lavorative. Avere una buona reputazione online rappresenta oggi quasi una necessità stante il largo uso delle piattaforme virtuali. Trovarsi in questi luoghi significa comunicare con gli amici, ma anche incontrarne di nuovi, divenendo quasi il cuore delle relazioni sociali, importantissime per permettere a un individuo di vivere in modo dignitoso e soddisfacente.

La vastissima diffusione e il grande utilizzo dei social network hanno fatto sì che alcune problematiche si spostassero online, come appunto la diffamazione, sempre più praticata dai cosiddetti haters.

Vediamo allora di capire in cosa consiste il reato di diffamazione e quali sono le modalità per difendersi dagli attacchi.

La diffamazione è un reato che si verifica quando la reputazione di un soggetto viene lesa in pubblico, mentre l’interessato non è presente per potersi in qualche modo difendere alle offese.

E' utile sottolineare subito che, si tratta di una ipotesi diversa dall’ingiuria, da poco depenalizzata, che si verifica quando le offese vengono fatte direttamente al soggetto interessato. In tal caso il legislatore ha considerato il comportamento meno grave, visto che il soggetto può reagire prontamente. Dal 2016, infatti, chi commette tale illecito può essere punito soltanto civilmente.

Un individuo viene diffamato sia che le voci “messe in giro” siano vere, sia che siano false. Non è rilevante infatti che l’argomento sia vero, ma il fatto che riesca ad innescare il dubbio su altri, rovinando e deteriorando i rapporti sociali di un individuo.

L’art. 595 del codice penale, infatti, sottolinea che:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Possono, dunque, verificarsi situazioni diverse:

  • lesione della reputazione attuata parlando direttamente con le persone, face to face; 
  • lesione della reputazione attuata utilizzando mezzi di comunicazione, quindi la stampa, il web e i social.

Ad ogni modo, perché si possa parlare di atti diffamatori ci devono essere i seguenti requisiti:

  • assenza dell’offeso: il soggetto passivo non deve assistere al reato nel momento in cui si consuma. Il fatto di non potersi difendere, infatti determina la gravità della situazione e distingue tale ipotesi da quella dell’ingiuria;
  • offesa alla reputazione: ovvero un atteggiamento in grado di ledere un diritto tutelato dalla Costituzione, quindi un reato di pericolo. Ciò che viene valutato è la reale offensività della condotta, anche potenziale;
  • comunicazione con più persone: sia face to face, che attraverso mezzi di comunicazione, tra i quale anche la diffamazione sui social.

La diffamazione sui social, o più in generale attuata attraverso dei mezzi di comunicazione è considerata un’aggravante del reato, considerato la vastità di utenti che si può coinvolgere, che necessita dunque di una punizione più severa.
Risulta ovvio che una frase detta tra colleghi o amici, nel posto di lavoro o in un locale, ha un peso diverso rispetto a quella pubblicata online su Facebook o Instagram. In realtà anche la diffamazione sui social può avere un grado di gravità differente. Ad esempio scrivere un post su Facebook, visibile solo agli amici, può restare ristretto all’interno di una determinata cerchia, sebbene possa essere condiviso e prendere strade imprevedibili.
Se si tratta di Instagram, però, la situazione è da subito più grave, dato che inserendo un hashtag è possibile rendere il post subito di grande portata mediatica.

Ad ogni modo, come precisa l’art. 595 c.p: "Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro".

Ciò significa che la legge considera la diffamazione sui social alla pari di quella a mezzo stampa, quindi potenzialmente molto più pericolosa.

Tale legge, comunque, in alcuni casi potrebbe entrare in conflitto con il cosiddetto diritto di cronaca, che fonda le proprie basi sulla libertà di stampa, sancita dall’art. 21 della Costituzione, come segue: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

A questo punto, viene spontanea una domanda. Se un soggetto è libero di esprimersi, perchè viene condannato per diffamazione sui social o con altri mezzi?

Il diritto di cronaca deve operare rispettando dei requisiti specifici, per evitare di sfociare nella diffamazione, ossia:

  • verità: le fonti devono essere attendibili 
  • continenza: si devono usare parole non offensive
  • pertinenza: possono essere diffuse soltanto informazioni di interesse pubblico
  • attualità: i fatti devono essere recenti, per rispettare il cosiddetto diritto all’oblio

Il diritto di critica, e la satira, invece possono spingersi oltre, dato che per loro stessa natura possono essere soggettive e più estreme.

Ma, proviamo a vedere nei dettagli come è possibile distinguere un semplice e innocuo attacco da un vero e proprio reato.

Avviene un reato di diffamazione su Facebook, quando ci sono i seguenti presupposti:

  • indicazione di un soggetto preciso: non necessariamente riportando il nome e il cognome, è sufficiente infatti comunicare delle informazioni tali per riuscire a capire di chi si tratta
  • consapevolezza di utilizzare un linguaggio atto ad arrecare un’offesa grave: quindi fatto con dolo
  • la comunicazione deve coinvolgere più persone: particolarmente grave sui social, in quanto le informazioni si possono diffondere velocemente, diventando virali e incontrollabili

In una sentenza del 2015 la Cassazione ha riconosciuto il reato di diffamazione per alcune frasi offensive pubblicate sulla bacheca di Facebook, considerandole un’aggravante del reato stesso in quanto il mezzo è potenzialmente in grado di coinvolgere moltissimi utenti, rendendo quasi impossibile bloccate le informazioni.

D’altro canto, però, sempre la Cassazione ha sottolineato la necessità che le frasi pubblicate siano concretamente offensive e lesive della reputazione, quindi non bastano alcuni commenti provocatori in una discussione per determinare il reato. Le offese devono essere davvero gravi e tali da rovinare la qualità della vita della vittima, compromettendo l’ambito personale, lavorativo o sociale.

In alcune particolari circostanze, anche se ci sono delle offese, non si tratta di diffamazione su Facebook, in particolare se si tratta di risposte a provocazioni e se viene esercitato il diritto di critica.  

Come difendersi dagli attacchi online

Preliminare è la richiesta di eliminare i post offensivi nel minor tempo possibile, si può contattare l’assistenza del social network stesso, segnalando l’abuso. Ad esempio è possibile inviare una email a abuse@facebook.com, spiegando la situazione e segnalare l’utente responsabile direttamente dalla piattaforma, all’interno del suo profilo personale. 

Successivamente è consigliabile sporgere una querelaentro tre mesi dalla vicenda. I fatti devono essere descritti in modo chiaro e preciso, fornendo tutti i dettagli, anche quelli che apparentemente sembrano essere irrilevanti.In seguito si avvierà la prima fase del procedimento penale, ovvero le indagini preliminari che hanno lo scopo di recuperare materiale a supporto dell’accusa. Se ci sono elementi sufficienti il caso verrà rinviato a giudizio ed avrà luogo un vero e proprio processo penale, volto ad accusare il colpevole di diffamazione sui social.

È opportuno precisare che la vittima può agire anche come parte civile, chiedendo un risarcimento danni per quanto ha subito.

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di Avv. Antonella Mazzone

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