Educazione violenta e maltrattamenti in famiglia


I metodi violenti nell’educazione dei figli integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello meno grave di abuso dei mezzi di correzione
Educazione violenta e maltrattamenti in famiglia
Con la sentenza n. 30436 del 14 luglio 2015, la Corte di Cassazione Penale ha confermato la decisione con cui la Corte d’Appello di Trieste aveva condannato un padre alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, per aver ripetutamente maltrattato il proprio figlio minore con schiaffi, insulti e umiliazioni.

L’uomo era ricorso dinanzi ai giudici di legittimità sostenendo che le condotte poste in essere nei confronti del figlio fossero finalizzate ad educarlo, e che pertanto non costituissero veri e propri maltrattamenti, potendosi inquadrare nella fattispecie di reato - meno grave - di abuso dei mezzi di correzione.

La Cassazione Penale invece ha rigettato la tesi difensiva dell’uomo, sostenendo che l’uso della violenza da parte di un genitore contro un minorenne non può mai essere giustificato dalla finalità educativa, alla luce di due ragioni. La prima è che oggi il minore non è più considerato dalla legge un oggetto di protezione da parte degli adulti, essendo ormai valutato come soggetto pienamente titolare di diritti; la seconda è che il mezzo violento si pone in netto contrasto con il fine di garantire al minorenne il raggiungimento di uno sviluppo armonico della personalità, e pertanto non può essere invocato in funzione pedagogica.

Per questo, si legge nella sentenza, non conta se chi utilizza la violenza lo faccia con l’intenzione soggettiva di correggere: tale convinzione personale non è idonea a far rientrare la condotta aggressiva nella fattispecie di reato meno grave - e meno severamente punita - di abuso dei mezzi di correzione, configurando invece appieno il più grave delitto di maltrattamenti in famiglia, disciplinato dall’art. 572 c.p.

Quest’ultimo risulta integrato, infatti, da condotte di prevaricazione che abbiano carattere abituale, ossia che vengano reiterate nel tempo. La previsione del reato di maltrattamenti pertanto è posta a tutela della famiglia - sia essa fondata sul matrimonio o su un semplice rapporto di fatto - contro ogni genere di comportamenti vessatori e violenti, proteggendo l’incolumità psichica e fisica dei suoi membri. Secondo l’intepretazione dell’art. 572 c.p. fornita dalla giurisprudenza, gli atti di vessazione per costituire maltrattamenti devono essere stati fonte di disagio e sofferenza per la vittima: dopodiché le condotte di sopraffazione possono essere di natura eterogenea, ledendo l’onore, il decoro o l’integrità psico-fisica della persona e, pur dovendo essere ripetute nel tempo, possono tuttavia essere intervallate da periodi di quiete.

Non v’è dubbio, allora, che comportamenti come quelli giudicati dalla sentenza della Cassazione, consistenti in umiliazioni, rimproveri per futili motivi, offese e minacce, nonché violenze fisiche perpetrate dal genitore ai danni del figlio minore, possano qualificarsi a pieno titolo come reato di maltrattamenti in famiglia.

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di Avv. Domenico Attanasi

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