Il senso di inadeguatezza

Il senso di inadeguatezza caratterizza molti di noi in diverse situazioni di interazione.
Ci sentiamo inadeguati quando riteniamo che non saremo in grado di affrontare una determinata situazione, quando ci sentiamo nel posto sbagliato e, in mezzo agli altri, prestiamo continuamente attenzione alla frase da dire, all’azione da compiere.
Ci troviamo intrappolati in dubbi ricorsivi, a provare ansia, tensione, vergonga e disagio che potrebbero essere cosi forti da indurci ad evitare quella situazione, e che comunque ci portano a mettere in atto delle strategie per cercare di essere sempre all’altezza delle aspettative, di compiacere chi ci è vicino.
Insoddisfatti di noi stessi, giudici sempre pronti ad accusarci andiamo alla ricerca della perfezione. Le nostre azioni perdono spontaneità e anche noi stessi. Il senso di inadeguatezza può diventare una gabbia che ci blocca e che ci costringe a confrontarci continuamente con gli altri, a sentirci continuamente esposti al giudizio e alla critica.
Da dove nasce questo vissuto?
L’origine dell’inadeguatezza è la Relazione, si alimenta del confronto che è possibile solo perché esiste un “altro” con cui confrontarsi o con cui si viene confrontati, anche quando questo avviene nei nostri processi di pensiero.
E’ tipico delle interazioni che si articolano sulla polarità “Vincente/Perdente”, e occorre risalire alla storia familiare per individuarne le basi. Infatti, nelle famiglie in cui ci sono aspettative molto elevate, in cui sono presenti il giudizio e la critica, si strutturano dei legami basati sul confronto e la competizione che alimentano il senso di inadeguatezza e la relativa immagine di sè come "Non adatti".
Ma cosa si nasconde dietro l’inadeguatezza, la vergona?
L’obiettivo delle nostre azioni, sarà quello di non deludere le persone a noi care per non perderle, cercheremo di assecondarle a scapito anche dell’espressione delle parti più vere di noi stessi, della nostra individualità, perché in fondo anche noi riteniamo che non valgano molto.
Se questa immagine di noi è scomoda e fonte di malessere è vero anche che può diventare uno scudo dietro cui nascondere le proprie emozioni (la delusione, il dolore) provate sia nelle relazioni familiari che in quelle successive, in cui non ci sentiamo riconosciuti e considerati…Meglio ritenere di "non essere capaci", di "non valere" che sentirsi i “non visti”, come accade nelle situazioni più gravi.
Tutti abbiamo provato questo vissuto; diventa però difficile da gestire quando l’immagine di "se-perdente", diventa cosi rigida e assoluta da essere l’unica griglia con cui leggiamo i segnali che ci rimandano gli altri, per cui ogni relazione si snoderà lungo la logica competitiva (Vincente-Perdente, Vittima/Carnefice).
La totalità e la rigidita’ distorceranno la percezione della realtà e arriveremo a convincerci che la nostra idea sia l’unica possibile. Ecco che tale vissuto diventa il nucleo di varie forme di malessere o disagio (tristezza cronica, bassa autostima, rabbia) o il germe di diversi disturbi come i disturbi dell’umore (Ansia e Depressione), disturbi psichici (DCA, Dipendenze e comportamenti d’abuso) o nella sfera relazionale (Dipendenze affettive), in cui i comportamenti disfunzionali all’inizio danno un senso di onnipotenza e grandiosità, che purtroppo è solo effimero.
Nelle situazioni di maggior disagio e sicuramente nelle situazioni di rilevanza clinica, può essere molto utile il ricorso ad una psicoterapia, e in casi specifici come i DCA, le dipendenze e comportamenti d'abuso meglio la Psicoterapia relazionale, per poter elaborare con un esperto le ferite più profonde nella sfera d’attaccamento e mettere in discussione l’immagine che abbiamo di noi stessi.
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