In Italia non diminuisce il costo del lavoro


Molti paesi europei hanno attuato politiche per il rilancio dell'economia. Non così in Italia
In Italia non diminuisce il costo del lavoro
Dal rapporto Ocse sull’Eurozona emerge che il nostro paese è l’unico a non aver ridotto il costo del lavoro. In una nostra precedente circolare, avevamo esposto la nostra proposta alternativa alla riduzione del cuneo fiscale con un taglio significativo degli oneri previdenziali, dando per più incisiva quest’ultima proposta rispetto a quella governativa.

Il motivo è molto semplice: se riduco gli oneri previdenziali, contenendo pari-pari gli sprechi da parte INPS, ho una immediata riduzione del costo del lavoro con contestuale ritorno alla competitività delle imprese.

Riducendo invece il cuneo fiscale, è vero che si da maggiore disponibilità liquida ai lavoratori i quali a loro volta la riverseranno sui vari esercizi commerciali, ma è altrettanto vero che questi ultimi non hanno solo merce italiana, ma ne hanno anche molta di importazione. La conclusione è che il commercio riprende, ma non così immediatamente le industrie manifatturiere italiane.

Si legge nel rapporto che "i costi unitari della manodopera sono fortemente diminuiti in questi Paesi, con la notevole eccezione dell’Italia, ma i prezzi hanno visto un aggiustamento inferiore a quello dei salari". Tra Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Irlanda, il nostro è stato l’unico caso in cui "L’aggiustamento è stato inferiore a quello dei salari, riflettendo in parte le lente riforme dei mercati dei prodotti, e limitando così l’effetto del calo dei costi delle unità di lavoro sulla competitività dei prezzi."

Tradotto in parole povere, e riprendendo quanto puntualizzato nella precedente circolare, solo i dipendenti e i pensionati hanno recuperato potere d’acquisto.

Il presidente di BCE, Mario Draghi, ha invece confermato che i tassi resteranno invariati. A conferma, sempre l’Ocse puntualizza: "La persistenza di tassi di interesse molto bassi sostiene l’attività economica, ma se questa situazione perdura a lungo potrebbe alimentare una fiammata del prezzo degli attivi in alcuni paesi e ritardare il risanamento dei bilanci bancari".

Sostanzialmente i tassi devono rimanere invariati, non possono salire perché comprometterebbero la timida ripresa economica in atto, e dall’altra non possono ulteriormente scendere per non incappare nella celeberrima "Trappola della liquidità" teorizzata da J. M. Keynes nel secolo scorso.

È noto che le imprese si finanziano con i risparmi accantonati dalle famiglie. Se queste remunerazioni non sono più interessanti perché hanno un rendimento troppo basso o nullo, le famiglie anziché depositarli in banca li investiranno in titoli più remunerativi. Le banche a loro volta, non avendo più liquidità in entrata, non potranno erogare finanziamenti alle imprese che saranno costrette a ridurre la produzione e soprattutto a bloccare ogni forma di investimento. Quindi all’assurdo, dei tassi medio/alti possono portare ad una ripresa economica. Un po’ quello che succedeva con la £ira.

Articolo del:


di dott. Antonio Gianni Baldon

L'autore dell'articolo non è nella tua città?

Cerca un professionista con le stesse caratteristiche a te più vicino.

Cerca nella tua città o in una città di tuo interesse