Ingiusta detenzione e violazione dei diritti umani per sovraffollamento carcerario

Lo Stato riconosce un risarcimento a coloro che sono stati ingiustamente colpiti da una misura cautelare e che, quindi, hanno subito ingiustamente una limitazione alla propria libertà personale.
Però, anche dopo l’introduzione della Legge Vassalli e le recenti modifiche normative restano ancora delle zone d’ombra e ciò nonostante la disciplina della Legge 47/2015 che rimodula l’esercizio del potere cautelare in carcere e limita il ricorso a tale limitazione della libertà personale.
Ma cerchiamo di fare chiarezza sulla ingiusta detenzione e su quando sia possibile richiedere un risarcimento.
Cosa si intende per ingiusta detenzione
Prima di capire quando è possibile richiedere un risarcimento per aver subito un’ingiusta detenzione e, dunque, un’ingiusta limitazione della propria libertà personale, è bene chiarire che cosa il nostro legislatore intende per ingiusta detenzione.
Per far ciò è bene citare l’art. 314 del Codice di procedura penale che prescrive:
“1. Chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
2. Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere”.
In altre parole, il codice di procedura penale prescrive che si tratta di ingiusta detenzione quella patita da chi ha subito una misura di custodia cautelare prima di essere stato giudicato innocente al termine di un processo a suo carico. Però, proprio in nome della tutela della persona, si parla di ingiusta detenzione anche quella patita da chi ha subito una misura di custodia cautelare, ma tale misura è stata illegittimamente comminata, indipendentemente dal fatto di essere reo.
Nel primo caso, la misura cautelare è considerata ingiusta (ingiustizia sostanziale), poiché chi ha subito una limitazione della propria libertà si è, poi rivelato innocente. Nel secondo caso, invece, la misura cautelare è considerata illegittima (ingiustizia formale o illegittimità formale), poiché, anche se il condannato ha commesso il reato, la misura cautelare è stata applicata illegittimamente.
Ma cosa si intende per misura cautelare?
Per misura cautelare si intende una qualsiasi misura che limiti la libertà personale dell’imputato (se ancora sotto processo) o del condannato (se giudicato tale al termine del processo).
Di certo, la misura cautelare più restrittiva è la custodia in carcere. La detenzione, infatti, è la forma che limita in maniera piena la libertà personale dell’imputato o del condannato.
Dato che, però, la legge prescrive il diritto a un equo risarcimento in caso di ingiusta applicazione di una misura cautelare, è bene specificare quali siano le fattispecie considerate tali e che, quindi, siano presupposti per poter esercitare il diritto di riparazione del danno.
Accanto alla detenzione sono considerate misure cautelari atte a limitare la libertà personale e, dunque, equiparabili al carcere, anche:
• gli arresti domiciliari;
• custodia cautelare in casa di cura o di custodia;
• il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario;
• il collocamento in comunità di minori o il ricovero in un riformatorio minorile giudiziario;
• arresto in flagranza e di fermo (in questo caso l’ingiusta detenzione sarà evidenziata dalla sentenza definitiva).
A fronte dell’applicazione ingiusta o legittima di una delle misure cautelari sopra elencate si ha diritto al risarcimento del danno.
A quanto ammonta il risarcimento per detenzione illegittima?
La liquidazione dell’indennizzo va determinata tenendo presente un criterio aritmetico con quello equitativo, che vedremo a breve.
Però, per capire quale sia l’equo risarcimento nei confronti di chi abbia subito un’ingiusta custodia cautelare, occorre riprendere i concetti di ingiusta sostanziale e di illegittimità formale poiché se la loro differenza non è rilevante ai fini dell’an debeatur (ossia sulla legittimità della pretesa risarcitoria), lo è certamente invece sul quantum debeatur (ossia sull’ammontare del risarcimento). Infatti, in base a consolidato orientamento giurisprudenziale, il risarcimento dovuto a chi ha subito una restrizione della propria liberà pur essendo innocente (ingiustizia sostanziale) deve essere maggiore rispetto a quello dovuto a chi è stato considerato colpevole, ma ha comunque subito una restrizione personale maggiore rispetto a quella dovuta (illegittimità formale). In ogni caso, spetta al giudice valutare l’equo risarcimento valutando il caso specifico.
Ciò vale soprattutto per la custodia cautelare in carcere che è, come detto, la forma di restrizione della libertà personale più restrittiva.
Premesso ciò, il codice di procedura penale, all’articolo 315, pone solo un limite alla richiesta di risarcimento. Il secondo comma della norma citata, infatti, recita: “L'entità della riparazione non può comunque eccedere cinquecentosedicimilaquattrocentocinquantasei euro e novanta centesimi” (516.456,90 euro). Nulla viene stabilito relativamente a singoli periodi di detenzione.
La giurisprudenza, però, viene in aiuto a colmare una norma di natura generale attraverso un criterio aritmetico: dato che la durata massima della custodia cautelare in carcere è di sei anni (2190 giorni), basta dividere l’ammontare massimo risarcibile per i giorni massimi di detenzione (516.456,90 euro / 2190) per ottenere l’ammontare equivalente a un giorno di detenzione, ovvero 235,82 euro.
Ma come detto poc’anzi, il criterio aritmetico deve essere conciliato con un criterio equitativo. Spetta, dunque, al giudice valutare il quantum debeatur in base al singolo caso.
Come ottenere il risarcimento dei danni
In base al comma 1 dell’art. 315 del codice di procedura penale “La domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione (…)”.
L’istanza va presentata presso la cancelleria della Corte di appello competente e, in caso di rigetto, è possibile proporre ricorso per Cassazione.
In caso di morte di colui che ha diritto al risarcimento, tale diritto si trasmette agli eredi.
Violazione dei diritti umani
Per quanto riguarda, invece, la detenzione in stato di violazione dei diritti umani, come ad es. i noti casi di sovraffollamento carcerario, bisogna ricorrere all’art. 3 CEDU secondo il quale “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” e all’art. 35 ter ord. pen. secondo il quale in caso di violazione della indicata norma della Convenzione dei diritti dell’uomo il magistrato di sorveglianza dispone a titolo di risarcimento del danno una riduzione della pena detentiva ancora da espiare ovvero liquida una somma di denaro nella misura determinata dalla legge, salvo che nel caso specifico sia opportuno ricorrere al giudice civile per il risarcimento del danno per equivalente.
Quali sono i casi più frequenti che determinano il diritto al risarcimento del danno?
Essi sono il sovraffollamento carcerario con la concessione di uno spazio inferiore a 7 mq per detenuto in cella singola ovvero 4 mq per cella collettiva, accesso insufficiente all’aria e alla luce naturali, le condizioni igieniche precarie, calore eccessivo e mancanza di ventilazione, assenza di acqua potabile o corrente, rischio di propagazione di malattie, condivisione dei letti da parte dei detenuti, passeggiata di brevissima durata, servizi igienici in cella e perfettamente visibili.
Questi indicati sono solo alcuni dei casi che possono portare al riconoscimento del danno in capo ai detenuti che stanno espiando la pena oppure hanno concluso di spiarla.
Il nostro studio si offre disponibile per offrire ulteriori informazioni in merito e consulenza legale in caso di necessità.
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