Ipoteca esattoriale su immobile ereditato. Come difendersi...

Nel precedente articolo "Debiti per tasse, l’iscrizione di ipoteca: cos’è e come difendersi?" si è affrontato il tema della possibilità, riconosciuta ad “Agenzia delle Entrate – Riscossione” - per brevità anche ADER, di iscrivere ipoteca su immobili di proprietà di contribuenti con debiti per tasse o contributi iscritti a ruolo da INPS o enti impositori. Il tutto in applicazione dell’art. 77 D.P.R. 602/1973 (cd. ipoteca esattoriale).
Analizziamo ora un caso particolare, ovvero quello in cui l’immobile ipotecato è in comproprietà tra due o più persone.
Trattasi di fattispecie frequente nella pratica ed assai spinosa, in quanto se, da un lato, il debitore, proprietario al 100% dell’immobile ipotecato, è comunque “padrone del proprio destino”, risentendo solo personalmente delle conseguenti problematiche, le cose stanno diversamente quando sono coinvolti indirettamente soggetti non debitori nei confronti di “Agenzia delle Entrate – Riscossione” (ovvero i titolari delle restanti quote). Costoro, infatti, si ritrovano ad doversi interessare, loro malgrado, dei “problemi esattoriali” del comproprietario, con il quale sovente corre altresì un rapporto di parentela.
L’ipoteca su immobile in comunione ereditaria
Sempre più spesso, infatti, “Agenzia delle Entrate – Riscossione” provvede a iscrivere ipoteca anche su quote minime di proprietà. E ciò tipicamente accade quando, ad esempio, un immobile (un appartamento, un terreno, o anche un box, un magazzino o un’intera palazzina), compreso in un asse ereditario, perviene in successione a più coeredi, ed anche uno solo di questi è debitore nei confronti di ADER.
Ebbene, anche nel caso in cui la quota da quest’ultimo ereditata risulti assolutamente minoritaria, può facilmente accadere che se il medesimo soggetto è destinatario di un “preavviso di iscrizione ipotecaria”, e non vengono prese tempestivamente adeguate contromisure (rateizzazione o impugnazione, ad esempio), l'ipoteca verrà effettivamente iscritta, e ciò andrà a coinvolgere, loro malgrado, anche gli altri comproprietari.
Questi, verosimilmente, si accorgeranno della problematica in atto solo nel momento in cui decideranno di vendere l’immobile. Solo in quel momento, infatti, effettuate le opportune verifiche pre-vendita, emergerà il problema.
Ovviamente, in caso di debito di consistenza inferiore al valore della quota, la soluzione si presenta agevole: al debitore basterà compensare quanto anticipato per l’estinzione del debito con parte di quanto ricavato con la vendita della quota.
Diversamente, la soluzione appare ben più ardua nel caso opposto, ovvero quando il debito risulti al contrario superiore al valore della quota.
Anche in tale caso, infatti, “Agenzia delle Entrate – Riscossione” pretenderà, comunque, il pagamento dell’intero debito assistito dalla garanzia iscritta sull’immobile, per acconsentire alla cancellazione della stessa. In altre parole, esigerà la chiusura del cd. “fascicolo debitorio” (o almeno dalla parte garantita da ipoteca).
Un caso pratico
Si pensi ad un fascicolo debitorio per euro 60.000,00, in relazione al quale sia stato notificato un preavviso di iscrizione di ipoteca su quota (che il debitore di ADER aveva ricevuto in eredita’) pari a 1/5 dell’intera proprietà di un appartamento.
Ipotizziamo che non vengano prese tempestive ed adeguate contromisure, e che l’ipoteca sia effettivamente iscritta.
Supponiamo infine che il valore commerciale complessivo del bene sia pari ad euro 150.000,00. Il valore di detta quota sarà pertanto pari ad euro 30.000,00. Sarebbe logico quindi attendersi che ADER pretenda, per la cancellazione del gravame, il versamento della somma di euro 30.000,00 (ovvero la parte spettante al debitore).
Purtroppo così non è: l’agente di riscossione, salvo eccezioni che per brevità non è opportuno approfondire in questa sede, esigerà il saldo dell’intero fascicolo per euro 60.000,00.
Tale contegno potrebbe, a prima vista, far gridare al sopruso o alla prepotenza da parte di “Agenzia delle Entrate – Riscossione” (in quanto risulta lampante come ne vengano potenzialmente danneggiati i comproprietari).
Purtroppo, ed in realtà, è solo frutto dell’applicazione di apposite norme di legge poco lungimiranti.
In tali casi, si giunge prevedibilmente ad una situazione di stallo difficilmente superabile, e che rende l’immobile, di fatto, incommerciabile.
Da un lato il debitore, titolare della quota minoritaria, non è incentivato a liberarla, in quanto dovrebbe impegnare capitali maggiori rispetto a quelli che recupererebbe mediante la successiva rivendita.
Dall’altro, e similmente, gli altri comproprietari, per liberare il bene dall’ipoteca, dovrebbero riconoscere ad “Agenzia delle Entrate – Riscossione” non solo il valore di mercato della quota, ma “rimettendoci di tasca propria”, sarebbero costretti a cedere alle pretese, invero inique, di ADER (ovvero il saldo dell’intero fascicolo debitorio).
Possibili soluzioni
Ciò non vuol dire che non vi sia soluzione. Il panorama di rimedi a disposizione del debitore, nel caso prospettato, può riassumersi come segue. Egli infatti potrà:
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attivare le idonee procedure per costringere “Agenzia delle Entrate – Riscossione” ad accettare di liberare l’immobile dall’ipoteca anche senza la chiusura del fascicolo debitorio. Tali procedure dovranno essere calibrate al caso concreto e quindi si consiglia un consulto presso un avvocato tributarista esperto di fiducia, che saprà individuare la soluzione più opportuna. Il grande vantaggio di tali procedure consiste nella circostanza che le stesse possono essere esperite in ogni tempo, non essendo previsti termini perentori da rispettare (e salvo che non si arrivi, sussistendone i requisiti, alle fasi del pignoramento e della vendita forzata);
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vagliare la strada dell’impugnazione del preavviso di iscrizione, presentando ricorso, sussistendone i presupposti (ad esempio, mancata notifica di atti impositivi precedenti);
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optare per la strada della rateizzazione, che consentirà quanto meno di guadagnare tempo prezioso, nonché di evitare l’iscrizione dell’ipoteca (ma non di cancellarla se già effettuata);
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verificare l’eventuale operatività di provvedimenti di sgravio o sospensione.
I rimedi di cui ai nn. (2) e (3) scontano però il limite di dover essere esperiti in tempi assai stretti e perentori (60 gg per l’impugnazione se trattasi di debiti tributari, 30 gg per attivare la rateizzazione), decorrenti dalla notifica del preavviso.
Se tali termini sono spirati, ed è stata verificata l’assenza di provvedimenti favorevoli (di cui al punto 4), non resta che percorrere la strada indicata al punto (1).
Esiste invero un’ulteriore strada astrattamente percorribile, che non incontra però il favore dello scrivente, ed è l’incardinamento di un giudizio di divisione, che condivide con il rimedio di cui al punto (1) il vantaggio di poter essere esperito in ogni tempo. Trattasi però di procedura lunga, costosa e dagli esiti che possono essere anche estremamente negativi per la compagine dei comproprietari.
Per ovvi motivi di spazio, non è possibile in questa sede approfondire le varie sfaccettature delle soluzioni proposte. Invito il lettore, al bisogno, a contattarmi per un migliore inquadramento del proprio caso e per un colloquio orientativo, senza impegno, ovviamente.
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