“L’INVIDIA è…FEMMINA…


dall’Io bambino all’Io adulto…strategie di Counseling”
“L’INVIDIA è…FEMMINA…

 

 

“Noi invidiamo coloro il cui successo risuona come un rimprovero fatto a noi” (Aristotele)

Diverse sono state le fiabe che hanno trattato la dinamica dell’invidia. Mi viene in mente la favola di Biancaneve in cui la matrigna incarna l’archetipo negativo del materno ed è invidiosa della fiorente giovinezza della figlia.

 

 

 

 

Cos'è l'invidia?

L’invidia è una confessione d’inferiorità. Quando si è affetti da gelosia si fanno sempre paragoni. Essere invidiosi non è infatti solo un’emozione, è anche una condizione fisica e biologica.

Si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza. Non è possibile invidiare una persona messa peggio di noi. Ecco perché l’invidia è ammirazione. Ciò che invidiamo forse ci può indicare una strada, ad es. “Anche io voglio avere un ufficio bello” ma non ci indica il come. Che tipo di ufficio? Attraverso quali forme? Invidiando ci stiamo precludendo l’esperienza irripetibile di noi stessi.

Sostiene W. Bion: “Con l’invidia siamo impossibilitati a cambiare e diventiamo incapaci di apprendere dall’esperienza”. Con l’invidia perdiamo energia, poiché lo scopo non è più la nostra esistenza, ma il distruggere la gioia dell’altro.

Quelli che stanno ore ed ore a navigare in internet per riscoprire l’altrui malefatte e disgrazie, mi paiono degli invidiosi che, incapaci di impegnarsi per un proprio compito esistenziale, si limitano ad intrufolarsi, come i guardoni del Grande Fratello, negli altrui problemi per illudersi di avere su di loro potere.

L’eccesso di servilismo o di moralismo o di finta umiltà o oblatività.
Il vero invidioso è quello che più di ogni altro abusa della malalingua, le sue informazioni sono infette da rancore e di un vuoto interiore.

L’invidioso racconta una mezza verità, perché anche se l’altro avesse sbagliato qualcosa, nel suo racconto escludendo le proprie responsabilità, nutre sentimenti distruttivi e vendicativi. Invece di migliorare il proprio status concentrandosi su sé stesso, ricorre alle strategie infide. Trabocca nell’invidia perché vede nell’altro la capacità di realizzare quello che lui/lei non sa concretizzare. Si allontana dal suo centro entrando in una profonda insoddisfazione esistenziale.

Tsunesaburo Makiguchi, insegnante e pedagogista giapponese si oppose al sistema autoritario. Sosteneva che l’educazione non deve limitarsi a dare conoscenze, impartire regole, addestrare a precise condotte, ma deve promuovere la piena realizzazione del proprio potenziale e condurre l’educando verso la felicità.
Secondo il suo metodo, basandosi sull’osservazione e l’analisi sistematica di quello che la gente desidera nella vita, e non su teorie avulse dalla realtà e incomprensibili alle tantissime persone che dovranno, poi, metterle in pratica, il pedagogista scopre che il fine cui tende l’essere umano è il raggiungimento della felicità. È convinto che l’educazione debba partire dalle aspirazioni della gente, il suo obiettivo è quello d’insegnare alle persone il modo di realizzare la propria felicità.

Per Makiguchi la filosofia era incentrata sulla teoria della creazione del valore.
Nella sua maggiore opera: Soka Kyoikugaku Taikei, so: significa creazione e ka significa valore, formano una parola e un concetto chiave, reazione di valore: cioè, parte integrante di ciò che significa essere uomini. Gli esseri umani non hanno la capacità di creare la materia, però possono creare valore ed è nella creazione del valore, infatti, che risiede l’unico senso della vita umana.
Felicità è la realizzazione delle proprie potenzialità nel processo di creazione di valore.

Enucleando i punti essenziali del metodo del pedagogista giapponese sommato alla mia esperienza ultra decennale sia come psicologa scolastica sia come formatore trainer counselor, ritengo sia fondamentale che nelle scuole si impartisca una educazione centrata sull’empatia, sulla creazione del valore e sulla crescita dei talenti e delle passioni nei bambini/ragazzi. La scuola italiana è ancora troppo distante da questi ingredienti e, quindi, è incentrata sui contenuti della didattica, piuttosto che sugli aspetti emotivi-relazionali. Basti pensare che, in merito alla pandemia che ci accompagna ormai da lungo tempo, ogni scuola di ogni città e regione d’Italia beneficia di uno psicologo scolastico su accordo integrativo d’intesa tra il Miur e il Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi per il supporto psicologico nelle istituzioni scolastiche.

Tuttavia, ora più che in passato la scuola necessiterebbe di relazioni interpersonali, seppur a distanza, invece che di continue nozioni assolutistiche di ogni disciplina o buone regole di condotta. Continuano i voti che non fanno altro, a mio avviso, che innescare forme di paura, di giudizio e senso d’inadeguatezza verso la società scolastica e non solo.

Il bambino cresce e si sposta dall’Io bambino all’Io adulto sempre con l’idea di gareggiare e primeggiare perché così gli viene insegnato sin dai primi anni di vita familiare. Impara a riconoscere il suo valore soltanto per mezzo di giudizi e valutazioni costanti che come una pallina di ping-pong, slitta dalla famiglia alla scuola. È il bambino da cui si pretende perfezione e bravura ad ogni costo.

Conosco professionisti che sgambettano con ogni strumento possibile pur di primeggiare ad ogni costo!
In essi, dunque manca totalmente ciò che Tsunesaburo Makiguchi chiama creazione di valore.

 

 

Cosa succede a livello cerebrale quando scatta l’invidia?

Secondo Matthew Lieberman del dipartimento di psicologia dell’Università della California le aree cerebrali coinvolte nella percezione di un dolore fisico e del piacere, dal punto di vista evoluzionistico, si ipotizzano che abbiano la stessa importanza.

Pertanto la persona invidiosa prova soprattutto piacere quando l’oggetto invidiato si trova a vivere avversità o momenti infelici.  
E’ possibile che il soggetto in questione, l’invidioso, abbia una dipendenza verso la sensazione di piacere, ad es. mangiare un dolce o vedere uno spettacolo divertente provocando nella persona, piacere.

L’invidia si scatena verso persone vicine geograficamente più che verso personaggi lontani o noti.

Il filosofo sloveno Slavoj Zizek definisce l’invidia un sentimento perverso e sostiene: “l’invidia è qualcosa di più del desiderio di possedere quello che ha l’altro; è un soggetto negativo che cerca di impedire all’altro quel possesso”.

Autori importanti si sono soffermati a concettualizzare l’invidia; da Freud, che mette in scena l’invidioso per eccellenza, Edipo, e parla di “invidia del pene” da parte delle donne, a Melanie Klein, la quale lega il sentimento dell’invidia alla pulsione di morte, a una forza distruttiva innata. 

L’invidia nascerebbe dal rapporto tra il neonato e la madre, al contatto con il seno materno, dispensatore di nutrimento e di piacere; in questa situazione il bambino proverebbe insieme senso di gratificazione e invidia.
Secondo Melanie Klein “se non sperimentiamo la gratitudine al posto dell’invidia distruttiva, rischiamo di percepirci in uno stato di permanente deprivazione, rischiamo di sentirci sempre insoddisfatti di qualsiasi cosa otteniamo.
Essere grati significa non dare nulla per scontato, significa smettere di concentrarsi su quello che ci manca per imparare la riconoscenza per gli innumerevoli doni elargiti.

Hidehiko Takahashi ricercatore, neurologo, psichiatra di scienze radiologiche di Tokyo, ha individuato le aree coinvolte - corteccia cingolata dorsale anteriore - nell’insorgere dell’invidia, scoprendo che sono le stesse che si accendono quando si prova un intenso dolore fisico.

Ha sottoposto 19 volontari ad una risonanza magnetica mentre osservavano un filmato in cui erano riprodotti loro stessi ed altri personaggi. Questi ultimi impersonavano ruoli tali da suscitare invidia per abilità, qualità e status sociale. In breve erano belli, ricchi e capaci di godersi la vita.

Una successiva domanda da parte del ricercatore è stata: “Cosa succede nel cervello quando si prova un sentimento opposto all’invidia come il piacere? Quali aree si attivano quando si prova piacere per le avversità altrui specie se ricche e famose?”

L’area coinvolta è lo striato ventrale. Quest’area è associata al piacere e all’appagamento ed è la stessa di quando si mangia la cioccolata o si fa sesso oppure di quando si assiste a scene divertenti. È probabile che vi possa essere in soggetti predisposti anche la possibilità che si crei dipendenza verso queste forme di piacere.

 

 

Ci sono differenze tra gli uomini e le donne in termini d’invidia?

Ognuno probabilmente per realizzare sé stesso si confronta all’altro credendo, erroneamente in questo modo, di percepirsi superiore. Ma in realtà ognuno è unico ed irripetibile in questa vita! Non vi è alcun bisogno di essere la copia di qualcun altro che già esiste! Tuttavia succede spesso che proprio uno dei due genitori o entrambi desiderano che il primogenito sia la copia del secondo figlio o viceversa e la loro condotta educativa verte su paragoni costanti. Cosa questa, del tutto sbagliata!

Sono da sempre attratta nei confronti di questo sentimento, pur non avendolo mai sperimentato nel ruolo di invidioso, ma al contrario nel subirlo.

Ho approfondito i miei studi allargando il campo soprattutto alla sfera lavorativa. Vado avanti senza mai guardare cosa fa un collega o cosa abbia in più o in meno rispetto a me. Ho sempre creduto nelle mie risorse e nel mio potenziale e di questo ringrazio mia mamma che ha saputo donarmi il coraggio e la fiducia di credere sempre in me stessa e ringrazio mio padre che ha saputo insegnarmi come compiere una scelta e ad essere determinata nel raggiungimento dell’obiettivo. Li ringrazio anche per le relazioni che coi miei fratelli hanno saputo instaurare prive di paragoni e imitazioni inutili.

Riferendomi ad un campione di persone a scuola, ho somministrato una serie di questionari sia di sesso maschile che femminile. Effettivamente rilevano diverse modalità espressive in cui si manifesta l’invidia nell’uomo e nella donna, frutto di abitudini culturali ed educative ma anche, a mio avviso, della propria struttura caratteriale e della fissazione ad essa connessa.  Nella cultura del narcisismo la gioia, cercata e posseduta, viene immediatamente persa, mentre nel momento in cui viene donata, lievita e accresce. Se si permane nella mancanza di saper amare, se si è insensibili, opportunisti e cinici, incuranti dei sentimenti altrui, avvolti da un narcisismo perenne, la persona allontana la dimensione della gioia da sé, resta concentrata sull’altro e quella gioia, dunque, è destinata a perderla nell’immediato.

Gli uomini risolvono il sentimento dell’invidia attraverso il fare, risultano essere più aperti ed espliciti nel fare i loro confronti e nell’esprimere odio verso l’avversario.
Un uomo su tre afferma di lavorare nel benessere in una equipe di soli uomini o con la presenza al massimo di una donna; nel momento in cui ne subentra una seconda, le dinamiche comportamentali-relazionali e gli equilibri psicologici cambiano negativamente, ripercuotendosi sull’intero gruppo di lavoro.

Solitamente è la figura maschile a riportare relazioni stabili quando in un contesto lavorativo c’è una situazione di invidia da una donna verso un’altra donna.
Le donne sono maggiormente inclini alla competizione, restano più nella dimensione dell’essere. Sono anche maestre nell’uso e nell’interpretazione di segnali impliciti. Infatti, hanno avuto un insegnamento secolare in tale ambito, essendo state inibite dall’esprimere apertamente il loro odio. Di conseguenza hanno imparato a leggere con padronanza il comportamento non verbale.

Per una donna è bruciante il confronto con la conoscente bella e corteggiata, più che quello astratto e “sproporzionato” con una top model; invero si invidia la collega che è stata promossa, non la dirigente generale.

Si tende a invidiare la posizione sociale di una donna, senza immaginare quali rinunce abbia dovuto affrontare nella sua vita privata.
In un setting lavorativo in cui prevalgono donne, si elevano tutte le probabilità di far scattare l’invidia distruttiva. A tal proposito ricordo anni fa, quando conducevo attività formative destinate a un gruppo d’insegnanti di scuola secondaria di secondo grado. All’interno del gruppo stesso c’era una donna dai tratti particolarmente invidiosi. Creava disarmonia e instaurava continue critiche. Fu compito mio riportare il gruppo sull’obiettivo principale, quello della coesione e armonia, ingredienti fondanti per la buona riuscita e funzionalità di un gruppo formativo.

 

 

Le domande della “donna invidiosa”

- Tutti i colleghi parlano di lei, è amata da tutti….
- Perché lei riesce e io no?
- Sono io a meritare ciò che ha lei, perché io sono migliore!
- L’altra donna rappresenta per me una minaccia, devo trovare il sistema di metterla fuori gioco!!

Sostanzialmente l’intensità dell’invidia aumenterebbe verso persone affini e dello stesso genere. L’invidia fra donne è anche legata a un desiderio ambivalente che molte donne covano per il potere e il successo. Tra l’altro, sempre in base alle mie ricerche ed esperienze sul campo, la donna cosiddetta femminista, sembrerebbe avere una predisposizione maggiore nel provare e manifestare l’invidia. Questo perché in fondo la donna femminista vuole essere al pari della figura maschile, brama di conquistare potere e successo ad ogni costo pur schiacciando l’avversario e, se vogliamo, per di più è come se non accettasse la sua condizione di “donna”. A mio avviso la donna conosce i suoi limiti e riconosce fin dove può arrivare o ciò che le compete e quanto sia di competenza dell’uomo, senza volere il potere a tutti i costi.

Ho avuto modo infatti, di riscontrare l’Essere donna maggiormente nelle tradizioni arcaiche, composte da quell’insieme di costumi e valori che ogni generazione apprende, conserva, tramanda alla generazione successiva. In un certo senso è come dire che la donna è fiera di essere considerata tale e non cerca di imitare l’uomo e ambire al potere sociale. Includendo usi e consuetudini, mestieri e tecniche di lavoro artigianale dove prevale più il senso dell’umiltà e della semplicità e la donna non è una donna attaccata al potere a tutti i costi!

In tutte le culture arcaiche c’erano i momenti rituali di follia che erano voluti per ricreare l’atto di estasi a tal punto da esprimersi nella propria interezza. La follia, quella sana, allontana la persona da sentimenti nocivi di invidia o di potere.

Accade, però, che viviamo concentrati sui bisogni primordiali e, quindi, tralasciamo la sfera della creatività sublime e folle, per mancanza di tempo da dedicare a se stessi.

Rappresento attraverso un grafico i risultati di un mio sondaggio che ho svolto presso un Istituto Secondario di primo grado.

 

 

 

Quali sono i tratti di personalità del soggetto invidioso?

- Stile sognatore – romantico;

- Ha grande senso artistico, gusto del bello, senso del colore;

- È sognatore, eccentrico, stravagante;

- Si preoccupa dell’immagine. Narcisista. Tende a idealizzare l’altro;

- Bassa autostima;

- Competizione insana;

- Distoglie lo sguardo dalla persona invidiata quasi a voler ignorare la sua presenza.  Guarda con occhi scrutatori.

- Da bambino ha vissuto un’esperienza di abbandono e di conseguenza soffre di un senso di perdita e di mancanza, che è diventato il sentimento centrale con la conseguente diminuzione dell’autostima presente;

- Non sa vivere nel presente, si rifugia nel passato o sogna il futuro;

- È un attore che inconsapevolmente recita: “Guarda quanto soffro e sono bello nel mio martirio”. La persona giusta è sempre quella che non c’è. La situazione giusta è sempre quella che ha l’altro;

- Spesso ha la battuta tagliente, critica e colpevolizza. Svaluta e sa colpire nei punti deboli dell’altro, mirando ad indebolirlo.
Tenta di danneggiare l’altra senza gareggiare a viso aperto ma in modo subdolo. Si sente derubata di ciò che non ritiene di possedere.
…e quando ad essere invidioso è uno psicoterapeuta?

A tal proposito, mi sento di asserire che, ritrovo spesso tale condizione in determinate categorie professionali e nello specifico nella figura dello “psicoterapeuta donna”. Probabilmente perché si sente a vivere in una condizione di onnipotenza, ponendosi sul piedistallo e aggiudicandosi il ruolo della persona sana circondata da malati da curare e differenti da sé. Avvolta da narcisismo commette un errore grandissimo…ferendo i professionisti della sua stessa categoria pur di vincere, primeggiare e scavalcare l’altra a tutti i costi.

Ed ecco che ritorna quella condizione iniziale di cui parlo all’inizio nel mio articolo: la conquista del successo e del potere. E se la professionista psicoterapeuta donna è assalita dal narcisismo, la professionista counselor donna è avvolta da umiltà e semplicità. Perché solitamente chi si avvicina all’idea di voler frequentare un percorso di counseling è perché ha sofferto molto; ha, come dire, sperimentato quella condizione di dolore che gli consente di entrare più velocemente in empatia col cliente e di comprenderlo sotto ogni sfaccettatura, a differenza della psicoterapeuta che si pone sin dall’inizio del suo percorso di psicoterapia sul piedistallo con l’idea “di voler curare perché tutti malati”.

Nelle mie esperienze professionali raramente ho conosciuto donne psicoterapeute umili, semplici, al pari del paziente o del collega, tranne che al nord. E dico questo perché l’invidia è una caratteristica più del sud Italia che del nord. Ho vissuto spaziando dalle Marche all’Emilia Romagna e al Veneto e ho trovato ambienti lavorativi più confortevoli rispetto al sud che tanto amo e di cui ne vado fiera (non vorrei essere fraintesa).

Il professionista psicoterapeuta che prova invidia, narcisismo oppure è avvolto dal bisogno di primeggiare a tutti i costi, mi spaventa al solo pensiero che svolga questa professione. E penso ai bambini nelle mani di un avvoltoio! Ovviamente ci sono psicoterapeuti maschi e femmine molto bravi e preparati lontani da queste emozioni negative.
Il counselor ha una formazione del tutto differente perché viene sempre prima da una esperienza dolorosa!

Un altro punto sul quale mi preme soffermarmi è l’adattamento di personalità della persona invidiosa.
o    Incapacità di definire la propria identità
o    Passione dominante: invidia
o    Pensieri: visione distorta della realtà che conduce a reazioni aggressive sul piano psicologico
o    Emozioni: rabbia. Nutre sentimenti distruttivi e vendicativi
o    Stile comunicativo: cenestesico-auditivo

 

 

L’invidia può diventare patologica. Quali sono gli interventi per superarla?

Si, quindi doppiamente nociva.

Tuttavia il soggetto che subisce “l’invidia patologica” per difendersi può togliersi dalla competizione perché l’invidioso sta giocando a scacchi in modo subdolo e mascherato.

È opportuno tenere la persona invidiosa a debita distanza e riavvicinarla soltanto quando e se fosse cambiata nei suoi schemi cognitivi.

- La persona che soffre di questo malessere deve fare innanzitutto un percorso di evoluzione personale interiore, perché ci vuole molto tempo prima che si possa esprimere il proprio vero Sè.
- In un primo momento è importante elaborare l’emozione della rabbia che sente dentro, non si può essere consapevoli dell’ira solamente quando “sale il sangue alla testa” perché è nell’atto di stringere i pugni che si comincia a sentire veramente l’ira. In questo senso, se da una parte è vero che stringendo i pugni o la mandibola il soggetto può provare vagamente una emozione di ira frustrata, aggiungendo a questi movimenti la consapevolezza ambientale di qualche oggetto con cui essere arrabbiati, questa emozione esplode completamente. Dunque occorre sentirla, esprimerla fisicamente, sapere contro chi è diretta. In questo caso la rabbia verso qualcuno, scaricata fisicamente contro un cuscino, aiuta a far scendere il “picco emozionale” rabbioso del momento. Il famoso sequestro neurale.
I blocchi psicosomatici, infatti, ci dicono chi siamo, come dobbiamo essere e come muoverci nell’ambiente, ma noi non siamo più padroni di questa consapevolezza. Quindi, paradossalmente, l’armatura è una consapevolezza inconscia: una consapevolezza del Sé, inaccessibile però all’Io.

Al di là della dimensione psicosomatica, possiamo semplicemente dire che ad ogni emozione corrisponde una sensazione di un qualche genere e che ad ogni sensazione corporea può corrispondere una emozione o stato d’animo. Infatti l’invidioso potrebbe sentire questo sentimento nella parte superiore del corpo torace e spalle.

L’essere umano oscilla continuamente all’interno di un equilibrio instabile e dinamico, che lo vede lacerato da poli spesso antitetici e conflittuali. I quali lo rimandano a loro volta a spaccati di senso e significati differenti.

Il benessere psichico della persona risiede allora, in generale, nel riuscire a stabilire un equilibrio funzionale complesso, tra la propria vita interiore e la realtà esterna, tra individualità e collettività, tra autonomia e dipendenza. Pertanto, quando la persona si sarà riconciliata con la sua rabbia e l’avrà trasmutata in compassione potrà aiutare sé stessa ed essere stabile.

La rabbia va accolta con affetto e ascolto empatico proprio come un bambino piccolo. Il bambino cui non è stato consentito di esprimere la propria dimensione emozionale, cresce con la sensazione di essere sbagliato, perdendo il contatto con la propria interiorità profonda. In questa maniera, si distacca da sé stesso, e non riesce più a rapportarsi in questo modo agli altri. Essendo le emozioni il punto di contatto non solo con noi stessi, ma con il mondo dei rapporti interpersonali che ci circondano, l’alienazione emozionale produce una incapacità empatica rispetto agli altri, che non permette più di rapportarsi in modo appropriato. Motivo per cui l’invidioso manca di capacità empatica.

A tal proposito, parafrasando F. Nanetti, esistono degli esercizi mirati che io utilizzo nel corso dei colloqui coi miei pazienti/clienti che considero efficaci ed utili. Chiediti: “Con chi sono in guerra?”, “Quando sono arrabbiato che cosa voglio ottenere?”

In sostanza, accogliere la carica energetica dell’invidia, può portare a un automiglioramento della propria condizione esistenziale.
Per questa ragione se l’intenzione è avviare un processo di autentica guarigione, in primis si deve riconoscere la rabbia, senza inviarla ad altri, ma accoglierla, esprimerla, amarla, governarla, trasformarla.

- In un secondo momento è opportuno assieme al cliente/paziente individuare i propri obiettivi attraverso un diario di bordo o un disegno. Tutto questo con l’aiuto, direi più che di uno psicologo psicoterapeuta, di un counselor che abbia compiuto un percorso di counseling triennale, o di uno psicologo/trainer counselor o ancora di un life-coach.

- Terzo compito è quello di fare in modo che il cliente si concentri sul raggiungimento degli obiettivi prefissati e ri-conoscere con stimoli positivi le proprie risorse.

- Ogni disagio esistenziale è sempre in relazione a un deficit di autenticità, congruenza che genera oscurità. Attraverso l’autorivelazione, il cliente si apre al counselor al fine di chiarire i propri schemi cognitivi ed ampliare la consapevolezza emozionale al vero Sé.

Una relazione autentica prende inizio a partire da una condizione di nudità. Il counseling si basa sul fatto che il processo è frutto di un’esperienza dialogica che impegna counselor e cliente in uno scambio interpersonale autentico a partire dalla ricerca di una posizione di apertura nella reciprocità. Ecco perché un altro esercizio che faccio fare è imparare l’autenticità. La pratica dell’autorivelazione fa buon uso del feedback fenomenologico che è prima di tutto un atto di profonda umiltà. Se si è ingabbiati nell’orgoglio e nel desiderio di primeggiare e competere non c’è nessuna tecnica che funziona. Rammenta, frequentemente il tuo malessere dipende dall’intensità dei tuoi attaccamenti e non dal loro mancato soddisfacimento. (F. Nanetti).

La via del cambiamento è nella mente emozionale del corpo. Scriveva Gaston Bachelard “Il corpo sussurra in continuazione. Quando ne ascolti il mormorio, percepisci la verità”.

 

 

Cosa è possibile fare per superare la condizione d’invidia?

È importante che la persona impari a superare le proprie spinte invidiose.

Si supera l’invidia sia attraverso il ridimensionamento della tendenza ad idealizzare, sia nell’imparare ad essere attivo e prendersi la responsabilità dei risultati in prima persona. Occorre spronare l’invidioso a realizzare ciò che non ha ancora realizzato, contando su di sé e non sull’idea di impossessarsi dell’altro.

Il problema più profondo e talora segreto dell’invidia: è la passività.
L’invidioso vorrebbe avidamente avere tutto rimanendo in uno stato di economia di energie.
È consigliabile evitare di contro-reagire agli attacchi della persona invidiosa ma di ignorarla e lasciarla crogiolare perché in fondo ha messo sul piedistallo il suo oggetto invidiato.

L’invidia può essere parzialmente superata allorché l’invidioso agisce responsabilmente e sperimenta la fatica che occorre fare per raggiungere le mete dell’invidiato.
Va ricordato che il cuore dell’invidioso non vuole avvicinarsi al bene. Ciò lo porterebbe a soffrire, in quanto dovrebbe confrontarsi con i propri limiti e con la fatica di superarli. Per questa ragione, con il soggetto soggiogato dall’invidia, che ha come unico scopo quello di attaccare e svuotare (in termini kleiniani) l’invidiato che detiene ogni bene, non serve diventare buoni per venire a patti, mentre serve smascherarlo senza accusarlo, serve una buona dose di risolutezza e se necessario, anche in termini giuridici, di una ferma opposizione.

L’invidioso attacca l’invidiato in modo subdolo, lamentandosi e accusandolo con la lamentazione stessa di ogni cosa. L’eccesso di lamentazione è un modo per avvelenare l’altro e renderlo impotente.

 

Lamentare il proprio stato di invidia è rifiuto di cambiare. Il cambiamento non è un fuggire da qualcosa, ma un andare verso qualcosa.

La maggior parte della gente è altra gente. Le loro idee sono opinioni altrui, la loro vita un’imitazione, le loro passioni una citazione. (Oscar Wilde)

Ogni persona ha ciò che non vuole, e ciò che vorrebbe l’hanno gli altri (Jerome Klapka)


L’imitazione è la più sincera forma di adulazione
(Charles Caleb Colton)

È importante provare a fare un passo verso se stessi, piuttosto che verso la persona che ha provocato tale sentimento. Bisogna anche dire che a volte abbiamo degli standard che vorremmo raggiungere troppo alti e spesso facciamo fatica ad accettare i nostri limiti.

Ecco che allora l’invidia può essere una bella opportunità anche per capire come siamo fatti ed essere più dolci verso noi stessi, abbassando alcune pretese inutili e concentrandoci sul potenziamento di altre nostre abilità e risorse rimaste sopite.


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Articolo del:


di Dott.ssa Aurelia Gagliano

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