La legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni


Quando un ente può costituirsi parte civile in un processo penale? Ecco la giurisprudenza dominante in materia
La legittimazione alla costituzione di parte civile delle associazioni

Consigli pratici rivolti alle persone offese dal reato

Anche se hai già un difensore di fiducia, sappi che puoi chiedere ad enti e associazioni, operanti nel territorio ove hai subito il reato, e che si occupano delle problematiche connesse al reato, di costituirsi parte civile nel procedimento penale in cui sei persona offesa.

Grazie a questa strategia processuale, avrai la possibilità di avere al tuo fianco, oltre alla pubblica accusa (rappresentata dal Pubblico Ministero), anche un’altra accusa privata (che si aggiunge a quella rappresentata dal tuo Difensore di fiducia), che si batterà per ottenere la condanna dell'imputato.

 

Quando un ente può costituirsi parte civile?

Ecco la giurisprudenza dominante in materia.

E’ d’uopo premettere come enti e associazioni, senza scopo di lucro e con finalità - riconosciutigli in forza di legge - di tutela degli interessi collettivi o diffusi compromessi dalla commissione dell'illecito penale, possano esercitare diritti e facoltà spettanti alla persona offesa - previo suo consenso - con atto di intervento il cui contenuto è descritto nell'art. 93 c.p.p.

Pertanto, detti soggetti possono agire all'interno del procedimento penale nella veste di accusatori privati, affiancando la persona offesa dal reato nel perseguimento dell'interesse squisitamente pubblicistico di repressione penale.

Qualora, invece, essi risultino direttamente danneggiati dal reato, resta garantita la possibilità di esercitare l'azione civile nelle forme e secondo le modalità di cui agli artt. 74 e ss. c.p.p., proprio per ottenere l’opportuno risarcimento.

E’ evidente come la costituzione di parte civile dell’ente sia da preferire rispetto all’atto di intervento, proprio perché ciò permetterebbe all’associazione di agire nel processo penale con tutti i diritti garantiti alle parti.

I presupposti per il riconoscimento della legittimazione degli enti esponenziali a costituirsi parte civile si rinvengono negli artt. 74 c.p.p. e 185 c.p., che impongono di accertare se il soggetto che intende costituirsi parte civile sia titolare di una posizione giuridica soggettiva che può ritenersi danneggiata dal reato, a prescindere dalla prova concreta del pregiudizio che deve essere raggiunta nel corso del processo penale, secondo le consuete regole civilistiche regolanti la materia (v. artt. 2043 e 1223 c.c.; cfr. Cass. Pen. n. 10215/2019).

Pertanto, ciò che differenzia la costituzione di parte civile dall’istituto dell’intervento degli enti e associazioni previsto dall’art. 91 c.p.p., è la possibilità di individuare un danno da illecito aquiliano, oltre al mero danno cd. criminale.

Se per un verso è pacifica in giurisprudenza la risarcibilità del cd. danno all’immagine subito dal sodalizio (cfr. Cass. Pen. n. 1819/2017), non altrettanto piana è la possibilità di rinvenire profili di danno risarcibile in capo ad un’associazione, quando il reato offende interessi cd. diffusi, cioè  comuni ad una molteplicità di consociati, di cui l’ente assume di essere portatore.

Secondo i tradizionali approdi della giurisprudenza di legittimità, il gruppo esponenziale può allegare di aver subito, in proprio, un danno aquiliano, quando lo stesso è portatore di un interesse concreto e cd. storicizzato, ovvero di un interesse assunto dall’associazione nello statuto (o nell’atto costitutivo) a ragione stessa della propria esistenza ed azione, e come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell’ente a causa dell’immedesimazione fra il sodalizio e l’interesse dallo stesso perseguito (cfr. Cass. Pen. n. 38290/2007).

Anche di recente, nel noto caso Thyssen Krupp, la Suprema Corte a Sezioni Unite ha ribadito il principio secondo cui è ammissibile la costituzione di parte civile di un’associazione anche non riconosciuta che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito, per effetto del reato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell’offesa all’interesse perseguito dal sodalizio e posto dallo statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale  interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità o identità dell’ente (ved. Cass. Sez. Un. n. 38343/2014).

E’ stato chiarito in giurisprudenza come il riconoscimento della legittimazione a costituirsi parte civile di un ente o di un'associazione, nel processo penale, sia da rinvenirsi in tre fondamentali punti:
•    Preesistenza dell’ente al fatto reato;
•    Scopo statutario specifico, non generico o omnicomprensivo;
•    Concreta erogazione di servizi specificamente rivolti alle vittime sul territorio ove è stato commesso il reato.

Tali principi sono stati applicati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità non solo per il caso di lamentata lesione di interessi collettivi, ma anche per il caso di reati commessi da privati in danno di privati.

Così, in tema di estorsione, è stato di recente affermato che “in tema di costituzione di parte civile, un’associazione, che annovera nel proprio statuto la tutela del diritto alla libera impresa, è legittimata a costituirsi parte civile nei confronti di un soggetto imputato di partecipazione ad un clan mafioso, che ha quale obiettivo il controllo delle attività economiche nel medesimo territorio di operatività dell’associazione, in quanto in tal caso il danno prodotto dal reato integra la lesione di un diritto soggettivo dell’associazione” (Cass. pen. n. 39951/2018).

Con specifico riferimento al reato di violenza sessuale, invece, è stato affermato che “in tema di reati sessuali, il Comune nel cui territorio è stato commesso è legittimato a costituirsi parte civile onde ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali derivanti dall’offesa, diretta ed immediata, dello scopo statutario” (nella specie, è stata ritenuta legittima la costituzione del Comune di Torino in quanto finanziatore e diretto erogatore di servizi specificamente rivolti alle vittime di violenza sessuale, e statutariamente e concretamente impegnato contro la violenza alle donne – Cass. pen. n. 45963/2017).

Secondo tale prospettazione ermeneutica, anche i Centri Antiviolenza, forniti della personalità di diritto privato, possono costituirsi iure proprio parti civili nei procedimenti nei quali donne o minori sono vittime di violenza nel territorio ove gli stessi operano.

Pertanto, chi è vittima di violenza, oltre a farsi assistere dal proprio difensore di fiducia, può chiedere al Centro antiviolenza del luogo ove è stato commesso il reato ai propri danni, di costituirsi parte civile nel procedimento penale, in modo da avere un ulteriore supporto legale [1].

In buona sostanza, bisognerà valutare se l’ente, per il proprio sviluppo storico, per l’attività da esso concretamente svolta e per la posizione assunta, avesse fatto proprio, quale fine primario, quello della tutela di interessi coincidenti con quelli lesi o posti in pericolo dallo specifico reato considerato, derivando, da tale immedesimazione, una posizione di diritto soggettivo che lo legittima a chiedere il risarcimento dei danni derivanti da tale reato.

Si conferma, così, ancora ampiamente condiviso l’orientamento della Suprema Corte secondo cui “gli enti e le associazioni sono legittimati all’azione risarcitoria, anche in sede penale mediante costituzione di parte civile, se dal reato abbiano ricevuto un danno ad un interesse proprio, sempre che l’interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l’interesse perseguito in riferimento ad una situazione storicamente circostanziata, da esso preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza  e azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell’ente; e ciò sia a causa dell’immedesimazione fra l’ente stesso e l’interesse perseguito, sia a causa dell’incorporazione fra il sodalizio medesimo e i soci, sicché esso per l’affectio societatis verso l’interesse prescelto e per il pregiudizio a questo arrecato, patisce un’offesa e perciò anche un danno non patrimoniale dal reato” (ved. Cass. sez. VI, 10/1/1990 n. 59).

Attraverso tale filone interpretativo, si assiste, quindi, a una dilatazione della nozione di danno risarcibile, che fa diventare danneggiati gli enti superindividuali e - per tale via - produce un allargamento dei presupposti per l'esercizio dell'azione civile risarcitoria.

Particolarmente significative, nella prospettiva evolutiva evidenziata, sono le sentenze n. 500 e 501 del 1999 che hanno riconosciuto la risarcibilità, in precedenza sempre negata, del danno provocato dalla lesione dell’interesse legittimo e che contengono affermazioni di principio e di carattere generale che vanno al di là della soluzione dello specifico caso considerato, essendosi ritenuto che la normativa sulla responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto, intendendosi come tale il danno arrecato “non iure”, il danno cioè inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo.

Sono note, altresì, le sentenze della terza sez. civ. della Corte di Cassazione del 31/5/2003 n. 8828 e 8827 che hanno interpretato l’art. 2059 c.c. nel senso che il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore della persona non potendo valere la limitazione di cui all’art. 2059 (di risarcibilità del danno non patrimoniale solo se derivante da reato), laddove la lesione ha riguardo a valori della persona costituzionalmente garantiti ed in particolare i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 Cost.

E’ evidente che tale autorevole presa di posizione ha influenza sulla giurisprudenza penale sotto il profilo delle ampliate possibilità per la parte civile di costituirsi nel giudizio penale, invocando il risarcimento di danni non patrimoniali diversi dal danno morale soggettivo.

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[1] Si segnala alle vittime di violenza di genere nel territorio catanese il Centro Antiviolenza “Galatea”, associazione femminile a tutela di donne e minori vittime di violenza che fornisce sostegno e supporto solidale, di tipo sociologico, psicologico e legale. E’ possibile contattare l’associazione al numero dedicato e attivo h24: 333 9000 312.

 

Articolo del:


di Avv. Giusy Latino

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