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Come ricercare la madre biologica


Ecco qual è il procedimento previsto per la ricerca della madre biologica, considerando la competenza giurisdizionale e le norme nazionali e sovranazionali
Come ricercare la madre biologica

È incontestabile che uno degli aspetti più rivoluzionari della riforma dell’adozione sia stata la previsione della possibilità del soggetto adottato di conoscere le proprie origini, ovvero l’identità dei propri genitori biologici, in quanto tale conoscenza rappresenta un tassello fondamentale della propria identità personale.  

Tale pretesa però, non è stata espressamente prevista dal legislatore, il quale ha dovuto bilanciare due diversi tipi di interessi e diritti, quello dell’adottato a conoscere le proprie origini e quello della madre biologica a restare nell’anonimato ai sensi del disposto legislativo previsto proprio in seno al comma VII dell’art. 28. La normativa ut sopra richiamata, stabilisce espressamente che l’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30 comma I del D.P.R. n. 396 del 31/11/2000. Il comma VII dell’art. 28 non corrisponde alla sua originaria formulazione, esso è stato modificato dal D.lgs. N. 196 del 30/06/2003, il cui art. 177 comma II ha sostituito la previsione previgente del 2001 (art. 24 L. sulle Adozioni) che vietava l’accesso alle informazioni se l’adottato non fosse stato riconosciuto alla nascita dalla madre biologica, o anche nell’ipotesi in cui uno dei due genitori avesse deciso di rimanere nell’anonimato e pertanto di non essere nominato o ancora se avesse manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.  

Sulla legittimità dell’art. 28 comma VII è intervenuta la Consulta, la quale ha dichiarato la sua illegittimità, nella parte in cui non prevede, attraverso un procedimento, stabilito ex lege, che assicuri con la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, su richiesta del figlio, al fine di un eventuale revoca della dichiarazione prestata alla nascita.

Ciò che deve essere preliminarmente chiarito è la competenza giurisdizionale sull’eventuale richiesta dell’adottato; sebbene sembri scontato l’intervento del giudice tutelare, territorialmente competente, la Dottrina e la Giurisprudenza hanno chiarito che la competenza spetta esclusivamente al Tribunale per i Minorenni territorialmente competente, ovvero il Tribunale del luogo ove è avvenuta la nascita del soggetto che pone la richiesta.

A tale decisione si è giunti in quanto il diritto di conoscere le proprie origini è un diritto riconosciuto al figlio che si sostanzia in una sorta di “over-ruling” di una decisione presa alla nascita. Inoltre, la competenza giurisdizionale del tribunale per i Minorenni è stata ritenuta la più congrua in quanto la documentazione atta alla determinazione del diritto dell’adottato è presente negli archivi del Tribunale per i Minorenni del luogo in cui chi ne fa richiesta è nato o è stato adottato.

La Corte costituzionale con la Sentenza n. 278/2013, ha delegato il legislatore a prevedere una sorta di “interrogazione riservata” della madre anonima attraverso un procedimento di interpello, azionato mediante ricorso al tribunale dei Minorenni da parte del figlio, restando sottointeso però, che se la madre interpellata nega il proprio consenso, il diritto di accesso ai dati rimane precluso. Tale ultima conclusione, è stata oggetto di mitigazione da una recente Sentenza della Cassazione poi confermata dalla più recente del 2018. Le due vicende approdate in Cassazione sono sostanzialmente simili e riguardano la possibilità di accesso al nominativo della madre biologica ormai defunta. In questo caso la Corte di legittimità si è trovata a dover interpretare il disposto normativo di cui all’art. 93 del D.lgs. n. 196 del 30/06/2003 nella parte in cui prevede l’impossibilità di richiedere la cartella clinica e il certificato di assistenza al parto solo decorsi 100 anni dalla formazione del documento. Gli Ermellini, nel caso de qua, hanno dovuto effettuare un bilanciamento di interessi che mai prima si era posto, ovvero si sono chiesti in caso di morte della madre biologica se il diritto all’anonimato si sia estinto con la vita di questa oppure se esso non fosse più soggetto a revoca.

La Corte, dopo una lunga attesa, si è pronunciata in favore della richiesta dell’adottato, in quanto un’impossibilità assoluta di conoscere le proprie origini, sarebbe stata in netto contrasto con la necessaria reversibilità del segreto statuita con la Sentenza della Consulta del 2013 e con l’affievolimento, se non con la scomparsa di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità della scelta.

Ripercorrendo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sul parto anonimo, si può rilevare che, prima dell’intervento della Corte costituzionale del 2013, l’interpretazione si fondava sulla lettura del combinato disposto dell’art. 28 comma VII della Legge sulle Adozioni, dell’art. 93 comma II del codice della privacy e dell’art. 30 dell’ordinamento di stato civile, la quale consentiva di fatto alla gestante di “cristallizzare” la scelta operata al momento del parto, a discapito della realizzazione dell’interesse del figlio a conoscere l’identità biologica della madre naturale e delle circostanze della sua nascita.

Successivamente alla sopracitata pronuncia della Consulta, si è ritenuto di dover incidere “nel profilo diacronico della tutela del segreto” introducendo nell’ordinamento la possibilità della revoca della dichiarazione o meglio della decisione presa dalla madre al momento della nascita.

Ad ogni modo, all’indomani della pronuncia della Consulta ed in mancanza di una previsione legislativa, volta ad introdurre il procedimento di interpello, i tribunali e le corti di merito hanno applicato la normativa modificata in parte qua con soluzioni diverse. Alcuni Tribunali hanno respinto i ricorsi di accesso alle informazioni dell’adottato in quanto in mancanza di una normativa specifica, o per meglio dire, in quanto presente una lacuna normativa, la Corte costituzionale avrebbe voluto intendere una esplicita riserva di legge.  Altra giurisprudenza di merito, invece ha ritenuto che in forza dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (25/09/2012 Godelli c. Italia) e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278/2013, la norma dichiarata incostituzionale, non possa più essere utilizzata e pertanto al fine di conoscere la volontà attuale della madre si debba utilizzare la disciplina generale vigente in materia (art. 28 L adoz.) in attesa di una previsione normativa da parte del legislatore.

Ad ogni modo, la Corte di Cassazione con una pronuncia a Sezioni Unite, sembra aver posto fine al conflitto giurisprudenziale sorto. I giudici di Piazza Cavour, legittimando l’operatività di un procedimento camerale volto a interpellare la madre biologica circa la persistenza della volontà di rimanere anonima anche dopo molti anni dalla nascita del figlio. Si è pertanto ritenuto che la pronuncia di illegittimità costituzionale, trattandosi di una pronuncia di accoglimento, produce gli effetti di cui agli artt. 136 Cost. e 30 II comma della L. del 11/03/1953 n. 87 sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, ovvero che la norma dichiarata illegittima costituzionalmente, cessa di avere efficacia dal giorno della pronuncia e non può avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.  In tale prospettiva, l’addizione normativa di cui alla pronuncia della Consulta ha ad oggetto la possibilità per il giudice di interpellare la madre, su richiesta del figlio, al fine di valutare la possibilità della revocabilità della scelta operata al momento della nascita. Pertanto, gli Ermellini hanno stabilito che “l’art. 28 VII comma vive nell’ordinamento giuridico con l’aggiunta di questo principio ordinatore capace di esprimere e di fissare un punto di equilibrio tra la posizione del figlio adottato e i diritti della madre”

La sentenza a sezioni Unite della Cassazione, ha consentito pertanto ai giudici di merito, qualora venisse proposto un ricorso per la ricerca del nome della madre biologica, di introdurre un procedimento di interpello, capace di tenere in considerazione gli interessi delle parti, prevedendo inoltre che in attesa di un intervento del legislatore, atto a disciplinare la materia, la sua regolamentazione sia affidata a “protocolli e linee guida” predisposti dai singoli Tribunali, avvalendosi inoltre di regole procedurali diversificate ma sempre orientate al rispetto della massima riservatezza e della dignità della donna da interpellare.

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