Legge 179 del 2017. Il Whistleblowing


Whistleblowing = lavoratore che denuncia attività illecite o fraudolente all'interno di un di un'organizzazione pubblica o di un'azienda
Legge 179 del 2017. Il Whistleblowing
Il 29 dicembre 2017 è entrata in vigore la Legge 179 del 2017, ovvero il c.d. Whistleblowing, termine anglosassone che letteralmente si traduce con ‘soffiatore nel fischietto’ ed identifica il dipendente che, durante l'attività lavorativa all'interno di un'azienda rileva delle anomalie che possano porre in pericolo o in serio rischio o danneggiare clienti, colleghi, azionisti o addirittura la stessa reputazione dell'impresa.
Tale istituto, rimasto pressoché sconosciuto all'ordinamento giuridico italiano, non rappresenta una novità nel panorama legislativo internazionale in quanto già da molti anni è uno strumento legale specificatamente definito e molto efficace in altre ordinamenti come ad esempio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
In altri termini, si tratta del lavoratore che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite o fraudolente all'interno di un'organizzazione pubblica o di un'azienda.
La normativa modifica l'articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti.
L’art. 1 stabilisce che l'articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e' sostituito dal seguente:
"Art. 54-bis (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti).
- 1. Il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrita' della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorita' giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui e' venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo' essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante e' comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L'ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza".
Quindi, il whistleblowing non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.
All’art. 3 invece viene specificato che: ‘L'identità del segnalante non puo' essere rivelata. Nell'ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall'articolo 329 del codice di procedura penale. Nell'ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Nell'ambito del procedimento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell'incolpato, la segnalazione sara' utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità’.

Quindi, viene accordata ampia tutela e protezione al Whistleblowing, tanto che la segnalazione e' sottratta all'accesso ex art. 241/’90.
Inoltre, il segnalante che venga licenziato a motivo della segnalazione e' reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.

L'articolo 3 introduce come giusta causa di rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326 c.p.), del segreto professionale (art. 622 c.p.), del segreto scientifico ed industriale (art. 623 c.p.) nonché di violazione dell'obbligo di fedeltà da parte del prestatore di lavoro (art. 2105 c.c.) il perseguimento, da parte del dipendente pubblico e privato che segnali illeciti, dell'interesse all'integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private), nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.
La giusta causa non opera però ove l'obbligo del segreto professionale gravi su chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione:
- ad un rapporto di consulenza professionale o di assistenza (comma 2),
- o e se costituisce violazione dell’obbligo di segreto (aziendale, professionale o d’ufficio) la rivelazione effettuata con modalità eccedenti rispetto alle finalità di eliminazione dell’illecito, con particolare riferimento al rispetto del canale di comunicazione a tal fine specificamente predisposto (comma 3).
Va anche aggiunto che le tutele accordate al segnalatore non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione, ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.
Quanto sopra viene esteso anche al settore privato, attraverso modifiche al D. Lgs. n.231 del 2001, la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti - o anche solo violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell'ente - di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio attraverso modifiche all'art. 6 del predetto decreto legislativo.
Importante è anche che la L. modifica anche la L. n. 231/2001, inserendo all’art. 6 i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater ove è previsto che i modelli organizzativi 231, di cui all’art. 6, comma 1, lett. a), debbano prevedere:
1) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b),
2) di presentare, a tutela dell’integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte;
3) tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;
4) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante".
5) Devono, inoltre, essere previste sanzioni, nel sistema disciplinare adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. e), per chi viola le misure di tutela del segnalante, e per chi effettua, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino infondate.
In definitiva, l’azienda è obbligata a dare immediata segnalazione all’organo di competenza di una denuncia di illecito ricevuta da un proprio dipendente, a pena di sanzione, mentre il dipendente può segnalare l’illecito anche rivolgendosi direttamente agli organi incaricati, come l’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione), la Corte dei Conti o all’autorità giudiziaria.
Come già argomentato, il lavoratore che denuncia non potrà essere oggetto di alcuna ritorsione da parte dell’azienda ed avrà diritto, nel caso di licenziamento alla reintegra, così come nel caso di discriminazione l’azienda o P.A. andrà incontro ad elevate sanzioni pecuniarie.
Infine si segnala che la normativa sul whistleblower inverte l’onere della prova: il denunciante/lavoratore non ha alcun obbligo di presentare le prove di una discriminazione, ma l’azienda stessa dovrà dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati.

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di Avv. Alessia Mazzucchelli

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