Legge di bilancio 2021: novità al regime degli impatriati


La Manovra 2021 estende le agevolazioni per i soggetti impatriati, a determinate condizioni, di altri 5 anni
Legge di bilancio 2021: novità al regime degli impatriati

Il regime speciale per i lavoratori impatriati è stato introdotto per la prima volta con l’art. 16 del D.lgs. 147/2015 e ha trovato attuazione a partire dal periodo di imposta 2016.

Successivamente, la misura ha subito diverse modifiche, l’ultima delle quali attraverso la Legge di Bilancio 2021.

La nuova manovra ha allungato il periodo di utilizzo dell’agevolazione di altri cinque anni a determinate condizioni.

Tuttavia, per chiarire cosa prevede oggi il regime degli impatriati è bene analizzare cosa esso sia e come si sia evoluto nel tempo. Di seguito, saranno inoltre illustrati gli aspetti fiscali e previdenziali, nonché se sia possibile ricorrervi in caso di smart working per datore di lavoro estero o di distacco da azienda italiana.

 

Indice:

  • Il regime degli impatriati: la sua introduzione

  • Le successive modifiche al regime degli impatriati

  • Le nuove modifiche al regime degli impatriati con la Legge di Bilancio 2021

  • Il trattamento previdenziale

  • Il regime degli impatriati, lo smart working e il distacco

 

 

 

Il regime degli impatriati: la sua introduzione

Il regime speciale per i lavoratori impatriati è stato introdotto dall’art. 16 del D.lgs. 147/2015 con la finalità di far rientrare in Italia “i cervelli”, in modo da promuovere lo sviluppo economico, scientifico e culturale del nostro Paese.

Per attirare nuove risorse umane che lavorano all’estero è stata prevista, dunque, una tassazione agevolata sui redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia.

Nella sua prima formulazione, il regime agevolativo prevedeva che i redditi percepiti dalle persone fisiche residenti in Italia concorressero alla formazione del reddito complessivo solo per il 70% del loro ammontare a condizione che:

•    il lavoratore si fosse trasferito in Italia dopo aver risieduto almeno cinque anni all’estero (successivamente gli anni sono stati ridotti a 2);

•    il lavoratore si impegnasse a risiedere in Italia per almeno due anni dopo il trasferimento;

•    il lavoratore svolgesse la sua attività presso un’impresa residente in Italia;

•    il lavoratore svolgesse la sua attività prevalentemente in Italia;

•    il lavoratore rivestisse ruoli direttivi ovvero fosse in possesso di  requisiti  di  elevata  qualificazione  o  specializzazione.

Il regime agevolativo veniva applicato nel periodo di imposta in cui avveniva il trasferimento e per i quattro periodi di imposta successivi.

Come detto, tuttavia, l’impianto iniziale della norma è stato successivamente modificato da ulteriori interventi legislativi che hanno ampliato la platea dei beneficiari e previsto aliquote di abbattimento della base imponibile più elevate.

 

 

 

Le successive modifiche al regime degli impatriati

Come accennato, l’art. 16 del D.lgs. 147/2015 è stato più volte novellato, soprattutto dai D.L. 34/2019 e D.L. 124/2019.

Rispetto all’impianto iniziale, con l’art. 5 del D.L. 34/2019 sono state quindi apportate le seguenti novità:

•    l’aliquota di abbattimento della base imponibile è passata dal 30% al 70%; ciò significa che i redditi di lavoro dipendente (e assimilati) e i redditi di lavoro autonomo concorrono al reddito complessivo solo per il 30% del loro ammontare;

•    il nuovo comma 1-bis dell’art. 16 del D.lgs. 147/2015 prevede che l’agevolazione sia estesa anche ai redditi d'impresa prodotti dai lavoratori autonomi che avviano un’attività d'impresa in Italia a partire dal 2020;

•    l’agevolazione è prolungata per altri cinque periodi di imposta con un abbattimento del 50% dei redditi nei seguenti casi:
o    presenza nel nucleo familiare di un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;
o    il lavoratore  (o il coniuge, o il convivente o i figli) acquista almeno un’unità immobiliare dopo il trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti al trasferimento;

•    l’agevolazione è prolungata per altri cinque periodi di imposta con un abbattimento del 90% in presenza nel nucleo familiare di almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo;

•    l’aliquota di abbattimento della base imponibile passa dal 70% al 90% se i soggetti impatriati stabiliscono la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo,  Molise,  Campania,  Puglia,  Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia;

•    i cittadini italiani non iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) rientrati in Italia dal 1° gennaio 2020 possono accedere ai benefici fiscali purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di  una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi.

Va, inoltre, rammentato che è stata ridotta da 5 a 2 anni la durata della residenza all’estero necessaria per poter usufruire del regime degli impatriati.

 

 

 

Le nuove modifiche al regime degli impatriati con la Legge di Bilancio 2021

La Legge di Bilancio 2021 ha messo nuovamente mano al regime degli impatriati inserendo i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater all’art. 5 del D.L. 34/2019.

Con il comma 2-bis si stabilisce che i cittadini iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (o cittadini UE) che rispettano entrambe le seguenti condizioni:

•    si siano trasferiti in Italia prima del 1° gennaio 2020;

•    al 31 dicembre 2019 siano già beneficiari del regime degli impatriati,

possono beneficiare di un’agevolazione dell’abbattimento del 50% della base imponibile per ulteriori cinque anni a condizione che:

•    esercitino l’opzione di voler aderire ancora ai benefici;

•    versino un importo pari al 10% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, nel caso in cui il soggetto abbia almeno un figlio minorenne, anche in affido preadottivo, o sia diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti al trasferimento, ovvero ne diviene proprietario entro 18 mesi dalla data di esercizio dell’opzione;

•    versino un importo pari al 5% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, nel caso in cui il soggetto abbia almeno tre figli minorenni, anche in affido preadottivo, e diventa o è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti al trasferimento, ovvero ne diviene proprietario entro 18 mesi dalla data di esercizio dell’opzione.

Con il nuovo comma 2-ter è stato previsto che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2021 dovrà essere emanato un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che indichi le modalità per poter esercitare l’opzione di adesione al prolungamento del regime agevolato.

 

 

 

Il trattamento previdenziale

Ulteriore beneficio indiretto del regime degli impatriati è il trattamento previdenziale.

Infatti, nonostante l’abbattimento della base imponibile, il calcolo dei contributi avviene sulla quota imponibile intera.

In altre parole, il regime agevolato non incide ai fini previdenziali ed assistenziali.

 

 

 

Il regime degli impatriati, lo smart working e il distacco

Soprattutto a fronte della pandemia da Covid-19, si è sviluppato in Italia, e in generale in Europa, il ricorso allo smart working (o lavoro agile).

In relazione ai benefici concessi agli impatriati ci si chiede, dunque, se siano usufruibili anche da coloro che si trasferiscono in Italia continuando, però, a lavorare da remoto.

Se il lavoratore rientra nel nostro paese per lavorare in smart working presso un’azienda italiana non vi sono dubbi sull’applicabilità dell’art. 16 del D.lgs.147/2015 che consente di abbattere la base imponibile del 70% (o del 90% se ci si trasferisce nelle Regioni del Sud).

Ma cosa accade se il ricorso al lavoro agile avviene in Italia per conto di un’impresa straniera nella quale si è stati assunti durante la permanenza all’estero?
A dissipare i dubbi è stata una risposta ad interpello della Direzione Agenzia delle Entrate del Lazio, nella quale si afferma che il semplice rimpatrio, senza che vi sia alcun cambio di occupazione, non è meritevole dell’agevolazione.

Dunque, il trasferimento in Italia, pur continuando a lavorare da remoto per lo stesso datore di lavoro straniero, preclude la possibilità di usufruire del regime degli impatriati.

La ratio dell’esclusione si fonda sul fatto che il lavoratore impatriato è semplicemente “delocalizzato” grazie alla tecnologia, ma non viene assorbito dal tessuto economico e imprenditoriale italiano. Dato che l’impianto della misura è mirato al “rientro dei cervelli”, un mero trasferimento fisico senza contribuzione al rafforzamento delle risorse umane del nostro paese non sarebbe in linea con gli obiettivi dell’art. 16 del D.lgs. 147/2015.

Discorso leggermente differente va fatto nel caso in cui un lavoratore distaccato all’estero da un’azienda italiana rientra poi nel nostro Paese.
Una prima circolare dell’Agenzia delle Entrate (circolare n. 17/2017) ha chiarito che il beneficio non può essere concesso poiché trattasi di mero distacco temporaneo all’estero di un lavoratore che poi rientra in Italia, in continuità con la posizione lavorativa precedente al trasferimento, non soddisfacendo quindi la ratio della norma.

Tuttavia, con successive risposte ad interpello su situazioni specifiche (n. 45/2018, n. 492/2019 e n. 510/2019), la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato che se il lavoratore è stato prima distaccato all’estero per poi essere ricollocato in Italia con mansioni differenti, allora questi può usufruire del regime agevolativo.

In conclusione, mentre nella prima ipotesi (ovvero il lavoratore che rientra in Italia per continuare a lavorare in smart working per il datore di lavoro straniero), l’agevolazione non è ammessa tout court, nella seconda ipotesi (ovvero il lavoratore rientra in Italia dopo un periodo di lavoro all’estero per conto della stessa azienda italiana) la concessione dei benefici va valutata caso per caso, soprattutto in riferimento al cambio di mansioni post rientro in Italia.

 

Articolo del:


di Dott.ssa Martina Rossi

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