Messa alla prova per adulti


Una nuova possibilità per definire anticipatamente il processo penale evitando i rischi pregiudizievoli connessi ad un eventuale condanna
Messa alla prova per adulti
La legge n. 67 del 28 aprile 2014, ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano l’istituto della messa alla prova (già previsto per il processo minorile) anche per i maggiorenni (artt. 168 bis, 168 ter, 168 quater c.p.. e artt. 464 bis, art. 464 novies, art. 657 bis, c.p.p. e agli art. 141 bis e 141 ter disp. att. c.p.p.)

In particolare, l’art. 464 bis, comma 2, c.p.p., stabilisce che la richiesta di applicazione della misura, può essere proposta oralmente o per iscritto nella fase preliminare del giudizio di cognizione.

La scelta dell'imputato di richiedere la messa alla prova, si pone quindi, quale opzione alternativa al rito accusatorio, con ciò aggiungendosi agli altri riti speciali (anch'essi alternativi) già previsti dal codice di procedura penale del 1989.

La preventiva rinuncia alla verifica dibattimentale delle accuse, costituisce la condizione preliminare e irrinunciabile alla quale l'imputato deve aderire per accedere al nuovo rito.

La vera novità dell'istituto in questione è che l'esito positivo della prova conduce all'estinzione del reato.

All'imputato "accondiscendente" viene richiesto solo di porre in essere attività personali cosiddette riparatorie per un periodo di tempo determinato, rivolte sia alla collettività, sia al singolo offeso dal reato, sotto il controllo dell'U.E.P.E. (Ufficio Penale Esecuzione Esterna), o secondo l’abrogata terminologia normativa, "servizi sociali per adulti".

La prova si articola, da un lato, in un percorso interiore, "guidato" dagli operatori dell’UEPE e finalizzato alla maturazione di "ridondanti" sentimenti personalissimi (quali resipiscenza, pentimento, consapevolezza del disvalore sociale dell’azione commessa) e d’altro, come già anticipato, nell’espletamento di attività materiali c.d. riparatorie per un tempo predeterminato dal Giudice, consistenti in lavori di pubblica utilità ovvero in specifiche attività prestate in favore della persona offesa dal reato, aventi natura riparativa o risarcitoria.

L’esito positivo della prova che il Giudice valuterà sulla base di una relazione di sintesi rimessa all’UEPE, conduce alla declaratoria di estinzione del reato, resa nella forma di una sentenza di proscioglimento (art. 464 septies c.p.p.).

E’ in tale effetto che, in sostanza, si gioca il "presumibile" successo che l’istituto avrà nella sua applicazione pratica, potendosi affermare che in nessun caso ad eccezione dell’omologo istituto già ampiamente collaudato nel procedimento penale a carico di imputati minorenni, l’ordinamento processuale prevede un sensibile ridimensionamento della potestà punitiva dello Stato, laddove la sanzione penale è preventivamente "barattata" con una misura alternativa di modesta portata afflittiva.

Non sfugge, tuttavia, che proprio l’espletamento di quelle attività personali "dovute", nelle quali si concretizza, per lo più, la messa alla prova, possano, sotto il profilo pratico, assumere un carattere concretamente più afflittivo anche rispetto alla tipica sanzione penale della reclusione che se accompagnata dal beneficio della sospensione condizionale (art. 163 c.p.), trascorso il periodo nel quale si sostanzia la condizione risolutiva, è destinata a rimanere sulla "carta", senza alcuna conseguenza tangibile per il condannato.

Tuttavia, in tali casi, la maggiore afflizione nella quale potrebbe risolversi per l’imputato la prestazione di una attività personale che chiaramente andrà a sommarsi alle ordinarie occupazioni (lavorative o di studio) della vita quotidiana, ha la sua straordinaria contropartita in quella sentenza di proscioglimento che dichiarando l’estinzione del reato nell’ambito del processo di cognizione, a ben vedere, impedisce che lo stesso venga a giuridica esistenza.

In termini pratici, e per rendere il concetto ben comprensibile ai più, il preventivo sacrificio di una "modesta" porzione della libertà personale dell’imputato, misurabile nell’attività riparatoria imposta per tutta la durata della prova, lascia salva la "fedina penale".

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di Avv. Cesare Santonocito

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