La prescrizione e la decadenza dei tributi e tasse

I diritti di credito dell’Agenzia delle Entrate contenuti nelle cartelle di pagamento sono soggetti a prescrizione e decadenza. Ciò significa che, trascorso un certo periodo di tempo, la cartella non può più essere riscossa perché scaduta.
1. La prescrizione è il momento in cui il debito scade: da quel momento il creditore non ha più diritto a chiedere il pagamento, la cartella non ha più valore e non può conseguentemente dar vita a un pignoramento. La ratio è ravvisabile nel fatto che l’ordinamento non consente che i terzi rimangano in una situazione permanente di incertezza sulla volontà di esercitare o meno il proprio diritto; pertanto, trascorso un certo termine senza che il titolare abbia esercitato il proprio diritto, costui perde il diritto per una presunzione assoluta di rinuncia al diritto stesso. In altri termini, il creditore deve dimostrare di avere effettivo interesse alla riscossione: deve cioè farsi parte attiva e, di tanto in tanto, sollecitare il pagamento. Ogni volta che il creditore agisce con qualsiasi mezzo (da una lettera di messa in mora a un atto esecutivo) la prescrizione si interrompe e ritorna a decorrere da capo. Ecco perché un debito potrebbe non “scadere” mai se, prima del compimento della prescrizione, il creditore pone in essere uno di questi atti.
Nel caso dell’Agenzia delle Entrate e delle Riscossioni, gli atti tipici per interrompere la prescrizione dei propri crediti sono:
1. la cartella di pagamento;
2. il preavviso di fermo;
3. il preavviso di ipoteca;
4. un qualsiasi atto di pignoramento.
Ad esempio, se una cartella si prescrive il primo gennaio 2018 dopo il decorso di 5 anni, è necessario che l’atto interruttivo intervenga entro il 31 dicembre 2017. Può altresì verificarsi la sospensione della prescrizione quando l’inerzia del titolare del diritto è giustificata dalla presenza di determinate condizioni o rapporti. Si tratta dei casi in cui il titolare non può esercitare il diritto o può esercitarlo poco facilmente. A differenza dell’interruzione, la sospensione non provoca il decorso di un nuovo termine, ma apre una “parentesi” temporale in cui il termine si sospende, riprendendo alla data di cessazione della causa di sospensione.
Il termine entro cui si prescrive la cartella dell’Agenzia delle Entrate Riscossione non è sempre uguale, ma dipende dall’oggetto della cartella stessa, cioè dalla natura degli importi richiesti in pagamento. È necessario leggere il foglio esplicativo contenuto nella cartella di pagamento, in cui viene indicato il dettaglio di ogni singolo importo. È quello che si chiama “motivazione” della cartella, un elemento sempre necessario. A meno che si tratti di un sollecito di pagamento: in questo caso potrebbe essere sufficiente richiamare solo il numero della cartella già notificata e non ancora pagata. Se una cartella contiene debiti tra loro eterogenei (si pensi alle contravvenzioni stradali che si prescrivono dopo 5 anni e al bollo auto che si prescrive, invece, dopo 3 anni) si avrà che una parte della cartella si prescriverà prima e la residua parte in un momento successivo, a seconda debito.
La sentenza della Cassazione S.U. n. 22397/2016 ha fornito un importante chiarimento riguardo alla prescrizione: il fatto che la cartella esattoriale non sia stata impugnata nei termini e, quindi, sia divenuta definitiva non implica che la prescrizione sia la stessa di una sentenza passata in giudicato, ossia di 10 anni: i termini di prescrizione restano quelli propri del singolo tributo o sanzione, senza variare.
“Della necessità che vi sia un atto giurisdizionale divenuto cosa giudicata, ai fini dell'applicabilità della conversione del termine prescrizionale ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. si ha conferma anche nella consolidata giurisprudenza secondo cui, in tema di riscossione delle imposte e delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, tale conversione non opera se la definitività dell'accertamento deriva non da una sentenza passata in giudicato, ma dalla dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti (tra le tante, di recente: Cass. 6 marzo 2015, n. 4574). […] Infine, è indubbio che sia la cartella di pagamento sia gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva di crediti dell'Erario e/o degli Enti previdenziali e così via sono atti amministrativi privi dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (vedi, tra le tante: Cass. 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. 26 maggio 2003, n. 8335, tutte già citate). Questo, peraltro, non significa che la scadenza del termine perentorio per proporre opposizione non produca alcun effetto, in quanto tale decorrenza determina la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, producendo l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito. Ma è evidente che, per tutte le suddette ragioni, tale scadenza non può certamente comportare l'applicazione l'art. 2953 cod. civ. ai fini della operatività della conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale, anche perché, fra l'altro, un simile effetto si porrebbe in contrasto con la ratio della perentorietà del termine per l'opposizione. Se, come si è detto, è pacifico che tale ratio sia quella di consentire una "rapida riscossione" del credito, l'allungamento immotivato del termine prescrizionale in favore dell'ente creditore si porrebbe, all'evidenza, in contrasto con tale ratio, oltre mettere il debitore in una situazione di perenne incertezza in una materia governata dal principio di legalità, cui per primi sono tenuti ad uniformarsi gli stessi Enti della riscossione e creditori. […] La scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 cod. civ. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato”.
2. La decadenza è il termine entro cui l’Agenzia delle Entrate deve notificare la prima cartella di pagamento da quando l’imposta o la sanzione è iscritta a ruolo, cioè da quando l’ente titolare del tributo le ha dato l’incarico di riscuoterlo. A differenza della prescrizione, la decadenza non è soggetta né a sospensione né a interruzione. L’atto emesso o notificato oltre il termine di decadenza è nullo; la nullità non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere tempestivamente eccepita dal contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio. Per esempio: nel caso del bollo auto, che decade dopo due anni dall’iscrizione a ruolo, la cartella dell’Agenzia delle Entrate notificata nel 2019 per un bollo auto riferito al 2015 sarebbe illegittima. È, inutile ricordare i termini di decadenza imposti dalla legge ai fini della notifica della cartella esattoriale. Infatti, se al momento della notifica il termine di decadenza previsto è già decorso, la cartella è nulla e il credito non può più essere riscosso dall’Agenzia delle Entrate.
In generale e salvo i casi particolari di seguito esaminati, l’Agenzia delle Entrate deve notificare l’avviso di accertamento e il contestuale provvedimento di irrogazione delle relative sanzioni, a pena di decadenza:
- se è stata presentata la dichiarazione (c.d. accertamento in rettifica ex art. 43 c. 1 D.P.R. 600/1973), entro il 31.12 del quinto anno successivo alla presentazione;
- se la dichiarazione è stata omessa o è nulla (c.d. accertamento d’ufficio ex art. 43 c. 2 D.P.R. 600/1973), entro il 31.12 del settimo anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.
Entro lo stesso termine:
• l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza possono esercitare i poteri istruttori loro riconosciuti (accessi, ispezioni, verifiche e acquisizioni in genere di dati, elementi e notizie) che, pertanto, non possono riguardare periodi d’imposta per i quali non è più possibile eseguire l’accertamento;
• l’Agenzia delle Entrate può integrare o modificare in aumento l’accertamento già emesso, mediante la notifica di nuovo atto se è sopravvenuta la conoscenza di nuovi elementi (c.d. accertamento integrativo ex art. 43 c. 3 D.P.R. 600/1973). Per i “nuovi elementi” si devono intendere elementi che non solo l’amministrazione non conosceva, ma anche che non poteva ragionevolmente conoscere nel momento in cui ha notificato il primo avviso di accertamento.
La ratio di queste disposizioni è ravvisabile nel principio di unitarietà dell’accertamento. L’art. 41bis del D.P.R 600/1973 prevede tuttavia una deroga a tale principio: le Agenzie delle Entrate, nei termini previsti per l’accertamento ordinario, senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice, possono limitarsi a verificare, sia sulla base di una segnalazione di un altro ente che sulla base di elementi dalle stesse raccolti, l’esistenza di un reddito non dichiarato, l’inesistenza di deduzioni, agevolazioni o esenzioni ed il maggior ammontare di un reddito parzialmente dichiarato. Per non svuotare di significato il principio di unitarietà dell’accertamento è necessario che si tratti di elementi diretti, che consentano di stabilire con certezza l’evasione. Il termine è interrotto solo dalla notifica dell’accertamento e si intende rispettato se l’Agenzia delle Entrate richiede la notifica dell’atto entro la scadenza ed indipendentemente dal momento in cui lo stesso perviene al destinatario. Questi termini valgono sia se il contribuente ha commesso violazioni tributarie penalmente rilevanti, sia se la rettifica riguarda illeciti di tipo amministrativo. Dunque, non si applica più il raddoppio dei termini (in precedenza quando il contribuente commetteva una violazione che comportava obbligo di denuncia per uno dei reati tributari previsti dalla legge i termini ordinari erano raddoppiati).
In base alle modifiche normative in vigore dal 02.09.2015, il raddoppio opera solo se l’Agenzia delle Entrate o la Finanza presenta o trasmette la denuncia penale entro la scadenza ordinaria dei termini ordinari. L’Agenzia delle Entrate deve indicare, nella motivazione dell’avviso di accertamento, i presupposti del raddoppio del termine, dovendo consentire sia al contribuente che alla Commissione Tributaria di controllarne la sussistenza.
Termini di decadenza, ICI, IMU, TOSAP, TARI, TARSU: le cartelle esattoriali relative ai tributi locali devono necessariamente essere precedute da un avviso di accertamento motivato. Per quanto riguarda i termini trascorsi i quali intercorre la decadenza della cartella, è importante fare una preliminare distinzione fra tributi anteriori e successivi al 2007.
Tributi successivi al 2007:
• in caso di denuncia infedele o incompleta, il Comune deve inviare un avviso di accertamento entro il 31.12 del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia;
• in caso di omessa denuncia, il Comune deve inviare un avviso di accertamento entro il 31.12 del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia avrebbe dovuto essere presentata.
Termine di decadenza multe per violazione del codice della strada: devono essere notificate, senza distinzioni, entro due anni dalla data di consegna del ruolo dal Comune richiedente all’Agenzia riscossioni.
Termine di decadenza contributi INPS: L’INPS deve rendere esecutivi i ruoli entro:
• il 31.12 dell’anno successivo al termine fissato per il versamento dei contributi o dei premi non versati dal debitore. In caso di denuncia o di comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, il termine decorre dalla data in cui l’ente ne viene a conoscenza;
• il 31.12 dell’anno successivo alla data di notifica del provvedimento per i contributi o premi dovuti in seguito agli accertamenti effettuati dagli uffici;
• il 31.12 dell’anno successivo a quello in cui il provvedimento è diventato definitivo per coloro che sono sottoposti a gravame giudiziario.
La data in cui il ruolo diventa esecutivo deve essere indicata nella cartella esattoriale, cosicché il contribuente possa verificare che siano rispettati i termini di decadenza.
Termini di decadenza per le imposte di registro:
• l’imposta di registro relativa agli atti non presentati per la registrazione obbligatoria, può essere richiesta entro cinque anni dalla data in cui avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione;
• l’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta di registro, deve essere notificato entro due anni dal pagamento dell’imposta relativa al bene il cui valore è stato accertato come superiore rispetto a quanto dichiarato;
• l’imposta di registro relativa alle annualità successive alla prima, nonché alle conseguenti sanzioni e gli interessi dovuti, devono essere richiesti entro il 31.12 del quinto anno successivo a quello di scadenza del pagamento.
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