Separazione e modalità di pernottamento del figlio minore
Con l’ordinanza del 1° dicembre 2021 n. 37790 la Cassazione Civ. sez. VI ha ritenuto legittima la decisione della Corte di Appello, che aveva confermato il provvedimento assunto dal Tribunale, di disattendere l’accordo intervenuto tra i genitori in sede di separazione, in quanto non conforme agli interessi del figlio minore.
LA VICENDA
La Corte di Appello di Venezia rigettava il reclamo proposto dal padre avverso il provvedimento emesso dal Tribunale in primo grado che aveva escluso il pernottamento del figlio di dieci anni presso la sua abitazione sino alla conclusione dell’anno scolastico.
Secondo il Giudice di Appello, tale esclusione era giustificata dalla circostanza che il minore aveva mostrato un certo malessere nel frequentare il padre, in ragione anche della alta conflittualità esistente tra i genitori.
Per cui la Corte aveva concluso ritenendo correttamente motivato il rigetto della domanda di ammonimento avanzata dal padre nei confronti della madre, al fine di evitare un ulteriore inasprimento dei rapporti tra i genitori, già tesi.
Il ricorrente, con un ricorso articolato in quattro distinti motivi, ha impugnato in Cassazione il decreto della Corte d’Appello veneta.
Con il primo motivo, il padre ha dedotto che la Corte d’Appello nell’avallare il decreto del Tribunale avesse travisato le conclusioni delle parti, disattendendo così le loro richieste, chiedeva pertanto il ripristino dei pernottamenti infrasettimali del figlio minore presso la sua abitazione.
Per la Suprema Corte il motivo è inammissibile. Tutte le censure avanzate dal padre e incentrate su atti e documenti del giudizio di merito secondo la Cassazione “sono inammissibili ove il ricorrente si limiti a invocare gli stessi, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riportati, senza concedere precise indicazioni necessarie alla loro individuazione inerenti alla sequenza dello svolgimento del processo, ovvero ancora senza riferire la collocazione nel fascicolo d’ufficio (o in quello di parte) e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità”.
In secondo luogo, la Cassazione richiamando l’art. 337-ter, comma 1°, c.c., ai sensi del quale il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa», ha ritenuto che il Giudice prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori «se non contrari agli interessi dei figli». Pertanto, secondo la Cassazione il provvedimento del Tribunale che aveva disatteso gli accordi delle parti non era illegittimo, in quanto le soluzioni concordate tra i genitori non tenevano conto delle esigenze e dell’interesse del minore.
Con il secondo motivo, si afferma che la Corte d’Appello avrebbe avallato il discostamento operato dal Giudice di primo grado circa le conclusioni della c.t.u. espletata, stabilendo che «la ritrosia del minore a stare col padre sarebbe dovuta» non alla condotta della madre, bensì «ai differenti stili di vita dei genitori».
Anche il secondo motivo è per la Cassazione inammissibile, poiché “la scelta, tra le divergenti risultanze probatorie, di quelle considerate più congrue a sorreggere la motivazione, comporta una discrezionalità del giudice, tale da consentire a quest’ultimo di fondare il proprio convincimento sulle prove valutate come attendibili, senza tenere conto degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.” (cfr. Cass. civ., 4 luglio 2017, n. 16467).
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 337-ter c.p.c. e del principio della bigenitorialità. Il giudice d’appello ritiene che i figli in età scolare debbano preferibilmente pernottare presso uno dei genitori. Al contrario, il ricorrente reputa che tale considerazione non trovi riscontro in alcuna norma di legge e contrasti con il detto principio oltre che con la lettera e lo spirito dell’art. 337-ter c.c. Per la Suprema Corte anche tale motivo è inammissibile, in quanto il giudice di Appello ha tenuto conto del disagio manifestato dal figlio nel frequentare il padre e della forte conflittualità nei rapporti tra i genitori.
La Cassazione, altresì, sottolinea l’impossibilità di proporre censure avverso argomentazioni contemplate nella motivazione della sentenza impugnata ed effettuate ad abundantiam o costituenti obiter ditta, poichè esse, essendo prive di effetti giuridici, non incidono sul dispositivo della decisione (Cass. civ., 22 ottobre 2014, n. 22380; Cass. civ., 5 giugno 2007, n. 13068).
Infine, l’uomo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 709-ter c.p.c. Il giudice di secondo grado ritiene che l’applicazione delle sanzioni prescritte dalla legge rischia di inasprire l’animo del genitore inadempiente. Stando al ricorrente, quanto appena esposto costituisce un’interpretazione abrogante della disposizione sopraindicata, considerato che «la sanzione è per sua natura afflittiva e se la sua applicazione è impedita dal malanimo del destinatario inciso non sarà mai applicata».
La Cassazione dichiara inammissibile il quarto e ultimo motivo, poichè non considera la ratio decidendi della pronuncia impugnata; il giudice d’appello intende escludere, in presenza di un contesto familiare in acceso conflitto, l’opportunità del provvedimento, avente carattere peraltro facoltativo (il giudice «può, anche congiuntamente, adottare le misure riportate»).
La questione giuridica affrontata, consente di analizzare l’art. 337-ter c.c., norma-chiave della pronuncia delle Sezioni Unite. Secondo tale norma emerge il preminente interesse del minore a mantenere, a seguito della frammentazione dell’unità familiare, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, per cui corrisponde un obbligo in capo ad esse di cooperazione materiale e morale, in modo da consentire la piena realizzazione del diritto del minore.
La condivisione dell’esercizio della responsabilità genitoriale trova il suo fondamento normativo proprio nella precedenza concessa all’accordo delle parti in relazione alla gestione morale e materiale della prole successivamente alla disgregazione del nucleo familiare. Tuttavia, l’intervento del giudice, nell’ipotesi di accordo contrario all’interesse dei figli, risponde alla necessità di sopperire alla mancata attenzione delle parti nei riguardi dei reali bisogni del minore.
In altre parole, il Giudice è tenuto da a valorizzare gli accordi delle parti purchè conformi all’interesse del minore. Per cui l’intervento giurisdizionale non ha lo scopo di sostituirsi alla volontà delle parti, ma è diretto a correggere o integrare, ove necessario, il regolamento dei rapporti con i figli, quindi in caso di contrarietà dell’accordo all’interesse dei figli, la decisione del giudice, ritenuta insindacabile, si sostituisce a quella dei genitori.
Avv. Angela Mongiello
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