Stalking e alterazione delle abitudini di vita


L'alterazione delle abitudini di vita non rileva in termini quantitativi ma per il significato e le conseguenze emotive che produce sulla vittima.
Stalking e alterazione delle abitudini di vita
Ai fini della configurazione del reato di stalking, il legislatore richiede, tra gli altri presupposti indefettibili, che la vittima della condotta persecutoria si sia vista costretta ad alterare le proprie abitudini di vita.

Temere di uscire di casa. Evitare di spostarsi da soli. Dover spegnere il telefono per non sentirlo più squillare. Smettere di frequentare luoghi abituali. Sono solo alcuni esempi di come un atteggiamento persecutorio possa incidere sulla quotidianità di chi lo subisce.

Il Codice Penale, introducendo il reato di atti persecutori (stalking) all’art. 612 bis, ha inteso punire quelle condotte minatorie o moleste che, ripetendosi nel tempo, provochino un perdurante stato di ansia o di paura, o un timore per l’incolumità propria o di un proprio caro, o - per l’appunto - una modificazione delle abitudini di vita.

Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, in base al più recente principio espresso dalla Corte di Cassazione, la variazione della routine quotidiana non deve essere valutata dal Giudice secondo un parametro quantitativo, bensì considerando il significato e le conseguenze emotive che la condotta persecutoria esplica sulla persona offesa.

In altri termini, non conta in che misura una vittima di stalking sia stata costretta a variare le proprie abitudini, ma quale valore e quale impatto emotivo quei cambiamenti obbligati abbiano avuto nella sua vita.

Questo principio era già stato sancito dalla Suprema Corte in una sentenza del 2014: in quel caso, la persona offesa si era vista costretta a modificare di mezz’ora l’orario di uscita da casa, pur di non incontrare il proprio persecutore. I difensori dell’imputato avevano ritenuto che quella variazione delle abitudini di vita fosse marginale, e dunque non sufficiente a considerare la condotta posta in essere come persecutoria.

Per i Giudici di legittimità, invece, non era rilevante che la donna avesse modificato le proprie uscite solo di mezz’ora, anziché in misura più significativa.

Quel mutamento di orari, che la donna si era sentita costretta a introdurre nella propria vita, infatti, era già di per sé sufficiente a dimostrare l’effetto delle condotte persecutorie nella sfera relazionale ed emotiva della persona offesa.

Alla luce di tale orientamento, confermato da ultimo nella sentenza n. 45453 del 2015, commette il reato di stalking chiunque, con comportamenti di tipo persecutorio, induca la persona offesa ad una modificazione delle abitudini di vita, in tutti i casi in cui detta alterazione, a prescindere da valutazioni quantitative, si mostri di significativo impatto nella percezione della vittima.

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di Avv. Domenico Attanasi

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