Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, art.611 c.p


In questo articolo analizziamo e trattiamo in maniera approfondita l'art. 611 del codice penale relativo a violenza o minaccia allo scopo far commettere un reato
Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, art.611 c.p

La figura criminosa di cui all'articolo 611 del codice penale prevede una forma aggravata del reato di violenza privata. A differenza, però, di quest'ultima la prima si consuma nel momento stesso in cui viene usata la violenza o la minaccia al fine di costringere o determinare taluno a commettere un reato, indipendentemente che il reato venga poi effettivamente commesso.

Il reato di cui all'art.611 c.p., usando la locuzione "fatto costituente reato" e non "reato", comprende tutti quei fatti che la legge penale prevede come reato anche se in concreto gli autori di essi non siano imputabili o punibili o si tratti di reato non perseguibile d'ufficio.

La violenza o minaccia usata per indurre taluno a non rendere una dichiarazione dinanzi agli organi di polizia giudiziaria costituisce il delitto di cui all'art.611 c.p. e non quello preveduto dall'art.610 c.p., poiché anche nel caso prospettato scopo finale della coercizione è l'occultamento della verità all'autorità giudiziaria, e, quindi, una falsa testimonianza. Il testimone mantiene la qualifica di pubblico ufficiale fin quando il processo non s'è definitivamente esaurito, ed anche dopo aver già deposto è, pertanto, ipotizzabile il reato di violenza o minaccia in Suo danno, previsto dall'art.611 c.p..

Il momento consumativo del reato di cui all'art.611c.p. si verifica allorché l'agente abbia usato violenza o minaccia al fine di costringere altri a commettere un reato, a nulla rilevando che in seguito tale reato non sia stato realizzato. Il delitto previsto dall'art.611 c.p. è reato di pericolo che si consuma nel momento stesso dell'uso della violenza o della minaccia, indipendentemente dal realizzarsi del reato-fine. Se, però quest'ultimo reato poi si realizza, per effetto dell'azione o della compartecipazione del soggetto passivo della coazione, anche tale soggetto ne risponde in base alle norme sul concorso del reato, a meno che non sia configurabile a suo favore una causa di esclusione della punibilità, come ad esempio quelle previste dagli artt. 46,54,86 c.p.

Il delitto previsto dall'art.611 c.p. si consuma nel momento stesso della minaccia o violenza esercitata al fine di costringere o determinare altri a commettere un reato. A differenza dell'istigazione non interessa che il reato-fine venga poi commesso o non possa commettersi immediatamente ovvero sia subordinato ad un termine o ad una condizione. L'impossibilità del delitto per inidoneità dell'azione va esaminata, pertanto, in relazione all'ipotesi tipica prevista dall'art. 611 c.p. e non al reato-fine. L'impossibilità del delitto per inidoneità dell'azione va esaminata, pertanto, in relazione all'ipotesi tipica prevista dall'art. 611 c.p. e non al reato-fine.

L'ipotesi criminosa prevista dall'art. 611 c.p. non ammette la figura del tentativo, giacché con l'uso della violenza o della minaccia, si verifica già la consumazione, indipendentemente dalla realizzazione del reato-fine. Per la sussistenza del reato di cui all'art. 611 c.p. è sufficiente che si usi la violenza o minaccia allo scopo di costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato.

Si rende necessario, quindi, il dolo specifico; non è necessario, invece, che il reato-fine venga commesso, essendo reato di pericolo e non di danno. Il delitto di cui all'art. 611 c.p. richiede tanto il dolo generico, cosistente nella volontà cosciente e libera di usare violenza o minaccia a una persona, quanto il dolo specifico, che è dato dal fine di costringere la persona violentata o minacciata a commettere un fatto preveduto come reato.

Il reato di cui all'art. 611 c.p. è un reato fine a sè stesso, che si esaurisce nell'usare violenza o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato. Qualora il reato determinato sia commesso con altro reato non conseguenziale, ma costituente il fine principale che si propone di conseguire l'agente, il reato-mezzo resta aggravato dal nesso teleologico previsto dall'art. 61, n.2 c.p., che inerisce sempre al reato-mezzo e non già al reato-fine.

Perchè ricorra la circostanza aggravante della minaccia commessa da più persone riunite, di cui all'art. 339 c.p. occorre che la partecipazione di più persone sia percepita dalla vittima al momento della consumazione del reato. Il delitto previsto dall'art. 611 c.p. si consuma nel momento stesso della minaccia o violenza esercitata al fine di costringere o determinare altri a commettere un reato-fine. A differenza dell'istigazione non interessa che il reato-fine venga poi commesso o non possa commettersi immediatamente ovvero sia subordinato ad un termine o ad una condizione. L'impossibilità del delitto per inidoneità dell'azione va esaminata, pertanto, in relazione all'ipotesi tipica di cui all'art. 611 c.p. e non al reato-fine.

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di Avv. Piervito Napoletano

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