Malattia professionale: quanto conta informare il datore di lavoro
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Una recente sentenza della Sezione IV della Corte di Cassazione del 3 dicembre 2018 offre lo spunto per analizzare l’importanza dei flussi informativi verso il datore di lavoro nei casi di malattie professionali.
La Cassazione ha infatti scagionato un datore di lavoro dall’accusa di lesioni colpose per infortunio sul lavoro, poiché dimostrato che il lavoratore, affetto da pregressa malattia, non aveva tempestivamente informato la Società del suo stato di salute.
Nel caso concreto, si lamentava la mancata adozione da parte del datore di lavoro di strumenti idonei ad evitare che il dipendente sollevasse quotidianamente dei pesi, in presenza di una pregressa patologia dorsale.
Tuttavia, si è dimostrato che il lavoratore non aveva adeguatamente informato il proprio datore di lavoro della patologia in essere, limitandosi ad un accenno al diretto superiore, tardando di oltre due anni la produzione della propria cartella clinica.
Secondo il principio adottato dai Supremi Giudici, il datore di lavoro, che non è posto a conoscenza dello stato di salute dei propri dipendenti, non può prevedere il pericolo concreto di un danno provocato al lavoratore dalle sue specifiche mansioni.
Di contro, un’adeguata informativa obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure organizzative necessarie e di ricorrere ai mezzi appropriati per ridurre al minimo il rischio-lesione cui è sottoposto il lavoratore.
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