Riscossione cartella esattoriale: la serva di due padroni
“Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro” (Mt. 6,24)
Queste parole, tratte da un noto passo del vangelo di Matteo, descrivono una realtà frequente nei rapporti umani. Non stupisce, pertanto, di trovare una loro corrispondenze nel mondo del diritto. Un esempio dei più evidenti lo vediamo nell'ambito tributario.
A molte persone capita di ricevere atti di riscossione, quali cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento. E spesso la relativa comunicazione non reca alcuna firma, neppure sotto forma di rappresentazione grafica. In questi casi il primo pensiero che sfiora il contribuente è “allora non devo pagare”. Logico. Viviamo in una cultura in cui si pretende che il cittadino firmi di tutto, dai contratti alle autocertificazioni, passando per le semplici lettere.
Perché la pubblica amministrazione non dovrebbe fare altrettanto? E, infatti, così dovrebbe essere, se non fosse per il fatto che il diritto tributario, come Arlecchino, è spesso servo di due padroni.
Dobbiamo premettere che gli atti di riscossione esattoriale sono provvedimenti amministrativi e dovrebbero, pertanto, sottostare alle regole generali del diritto amministrativo.
A questo riguardo nei TAR si sono contrapposti nel tempo due orientamenti circa la sorte dell'atto privo di firma.
Secondo la tesi ormai consolidata, il provvedimento sarebbe nullo per mancanza di un requisito essenziale. Infatti, come osservato dal Consiglio di Stato (Sentenza n. 1792/2005) “allorché il provvedimento non rechi alcuna sottoscrizione esso non può che essere invalido per l’assoluta impossibilità di individuare elementi utili ad indicare, con inequivoca precisione, il soggetto emanante”.
Secondo la tesi più rigorosa, poi, l'omessa firma determinerebbe addirittura l'inesistenza dell'atto, in quanto sarebbe privo di paternità.
Perciò, in base alle regole generali, una cartella esattoriale totalmente priva di firma sarebbe impugnabile.
Peccato solo che il diritto tributario, pur facente parte del diritto amministrativo, sia sottratto al controllo dei TAR e affidato a un apposito giudice: le Commissioni Tributarie Provinciali in primo grado, le Commissioni Tributarie Regionali in appello, e da ultimo alla Cassazione.
E secondo la Cassazione "l'omessa sottoscrizione del funzionario competente non comporta l'invalidità dell'atto tributario [...] giacché l'autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell'atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre l'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma solo la sua intestazione" (Cass. 16211/2018).
Né si può discutere l'esistenza del provvedimento dal momento che questa "non dipende tanto dall'apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all'organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che [...] la cartella [...] deve essere predisposta secondo modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell'esattore" (Cass. 27784/2017).
In sintesi, due regole diverse pur con la pretesa di unità dell'ordinamento, di cui una che attribuisce un forte peso al ministero, il quale viene quasi autorizzato a derogare alle regole generali.
Verrebbe spontaneo chiedersi quanto ciò sia dovuto al fattore umano e quanto alle conseguenze sul gettito fiscale per lo stato.
Ma del resto il diritto tributario è servo sia dell'economia che del diritto. Quale sarà dei due il vero padrone?
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