La sindrome di burnout o stress da lavoro, riconosciuto anche dell’OMS

Dopo svariati studi e ricerche negli ultimi decenni sul “burnout”, l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha deciso di classificarlo come una sindrome, dunque, come un disagio a tutti gli affetti da diagnosticare e curare.
Adesso, dunque, nell’elenco stilato dall’OMS appare anche la sindrome da burnout.
Però, va sottolineato che non è considerato una vera e propria malattia, quanto una sindrome causata da uno specifico contesto (quello lavorativo) ma caratterizzata da sintomi aspecifici e che possono avere forma e gravità differente in base a chi ne è colpito.
Ma cos’è il burnout?
Il burnout, oppure stress da lavoro correlato, è un disturbo definito come una forma di esaurimento che genera una depersonalizzazione e una derealizzazione personale a causa dello svolgimento di una mansione lavorativa che potrebbe implicare una elevato grado di relazioni interpersonali.
Il termine burnout può essere tradotto in italiano con i termini “bruciato”, “scoppiato”, “crollato” o “esaurito” e ha fatto la sua prima apparizione negli anni ’30 in ambito sportivo per identificare quegli atleti che non riuscivano più a superare, ma neppure mantenere i risultati acquisiti dopo aver accumulato diversi successi.
Solo dopo diversi decenni, il termine burnout è stato ripreso in ambito psichiatrico e psicologico, quando, nel 1974, lo psicologo Herbert Freudenberger pubblicò un articolo scientifico in cui metteva in correlazione le manifestazioni di burnout con i lavoratori impegnati nelle professioni di assistenza, come gli infermieri e i medici.
Solo un anno dopo, nel 1975, l’ipotesi fu avvalorata anche dalla psichiatra americana C. Maslach, che sottolineava come la depersonalizzazione colpisse i lavoratori che, proprio per la natura delle loro mansioni, avevano continuo contratto con gli altri prendendosi cura di essi.
E proprio il costante confronto con gli altri e con le loro esigenze potrebbe collidere con la propria personalità e bisogni. Per tale motivo, la sindrome può manifestarsi soprattutto quando l’ambiente lavorativo che circonda la persona non rispecchia, in realtà, la sua natura, le sue aspettative e le sue inclinazioni.
Oggi, il burnout è considerato una sindrome che colpisce coloro che, dopo una prima fase di notevole dedizione e impegno nello svolgimento dell’attività lavorativa, tende poi a “spegnere” gradatamente il proprio interesse fino ad esaurire la sua motivazione e ad avere un comportamento disincantato e disilluso.
Quali sono i sintomi del burnout?
I sintomi del burnout sono di diversa natura, ma soprattutto, come accennato prima, possono essere differenti da persona a persona in base alla propria personalità. Alla base del disagio, vi è una mancanza di interesse professionale legata a una carenza di energia o di spossatezza e ad un comportamento cinico nei confronti di colleghi e dell’ambiente lavorativo in generale. A questi segnali, si associa anche una diminuzione evidente delle performance professionali.
Da un punto di vista fisico, chi soffre di burnout potrebbe manifestare sintomi somatici di vario tipo, come:
• disturbi gastrointestinali (gastriti, colon irritabile, nausea, ecc…)
• disturbi cardiovascolari (pressione alta, dolori al petto, tachicardie, ecc…)
• cefalee
• disturbi del sonno
• difficoltà sessuali
L’elenco dei disturbi fisici potrebbe essere ancor più lungo poiché, come detto, non sono stati identificati sintomi precisi e sempre ripetitivi, però, possono tutti manifestare uno stato di stress emotivo. Accanto a questi, i principali segnali psicologici sono:
• stanchezza e apatia
• esaurimento e paranoia
• mancanza di autostima e sensi di colpa
• nervosismo, irrequietezza e irritabilità
• rabbia e aggressività
• cinismo e indifferenza per il prossimo
• depressione e stati d’ansia
Come si cura il burnout?
Il primo passo nella cura del burnout è quello di individuare le cause che lo generano e ciò non sempre è facile. Di certo, farsi aiutare da uno psicologo nella ricerca delle cause del proprio malessere è senz’altro d’aiuto. Innanzitutto perché potrebbe emergere come la causa non è “interna” all’individuo, ma “all’esterno”, ovvero legata esclusivamente alla tipologia di lavoro svolto, che non rispecchia o, addirittura, contrasta con i valori interni della persona che riscontra il disagio.
In secondo luogo, perché uno psicologo è in grado di fornire gli strumenti adatti per concludere un percorso di autoanalisi alla ricerca del proprio benessere psicologico e autostima alla ricerca di una soddisfazione e consapevolezza di sé piena e totale, anche sotto l’aspetto professionale.
Per ottenere maggiori informazioni in merito, vi consigliamo di contattare uno psicologo esperto. Cercatelo nel nostro sito. Il primo contatto in studio è gratuito!
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