Rubare per fame non è reato


La Cassazione annulla la condanna per furto inflitta dalla Corte di Appello di Genova a un senzatetto
Rubare per fame non è reato

Rubare non è reato se lo si fa per fame. La Corte di Cassazione ha sancito tale principio annullando la sentenza di condanna per furto che era stata inflitta dalla Corte di Appello di Genova a un senzatetto di nazionalità straniera.

L’uomo, per sfamarsi, aveva pagato alla cassa di un supermercato solo un pacco di grissini mentre aveva nascosto tra gli abiti wustell e crauti. Un furto dal valore totale di circa quattro euro che è costato al clochard due processi, in Tribunale e in Corte di Appello con le sentenze di condanna per furto lieve.

Il caso, poi, è finito in Cassazione dato che il procuratore generale della Corte di Appello ha fatto ricorso chiedendo che l’imputato fosse condannato per tentato furto e non per furto lieve.
La Cassazione, pur ribadendo che nel caso specifico non si è trattato di tentato furto, ma di furto consumato dato che l’uomo aveva sottratto la refurtiva ed era stato scoperto dai vigilanti solo a fronte delle segnalazioni di alcuni clienti, ha stabilito che non è punibile colui che ruba al supermercato piccole quantità di alimenti spinto dal bisogno di sfamarsi.

La "imprescindibile necessità di alimentarsi", quindi, giustificherebbe il furto di minime quantità di cibo causate dallo stato di necessità.

Il nostro ordinamento disciplina il furto lieve nell’articolo 626 del codice penale che recita: "Si applica la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a duecentosei euro, e il delitto è punibile a querela della persona offesa:
1) se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita;
2) se il fatto è commesso su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno;
3) se il fatto consiste nello spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto."

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