Le vecchie polizze rendita: un tesoro da tenere stretto!


Pensioni integrative derivanti da vecchie polizze rendita: si stanno rivelando un autentico affare
Le vecchie polizze rendita: un tesoro da tenere stretto!

Fino a una quindicina di anni fa gli assicuratori erano soliti proporre in tutte le salse le cd “polizze rendita a tariffa fissa” quale investimento destinato ad avere un buon rendimento sicuro e che in alcuni casi poteva anche essere fiscalmente detraibile fino ad un massimo di € 1.291,14 (importi poi ridotti a 630,00 e quindi a 530,00 euro).
Un discreto affare per chi voleva accantonare annualmente una piccola somma e che, secondo le promesse degli assicuratori, alla fine avrebbe garantito un capitale molto superiore al versato!
Purtroppo, nella maggioranza dei casi questo non è avvenuto perché chi, dopo aver accumulato con pazienza e speranza i propri risparmi per dieci, quindici o anche vent'anni (difficilmente i piani superavano questa durata), alla scadenza pattuita scopriva con disappunto che il capitale finale era di molto inferiore a quello promesso/ipotizzato dall'assicuratore di turno, e in qualche caso (per le durate più brevi) era addirittura inferiore a quello versato.
Anche nelle migliori ipotesi, però, il capitale ritirato risultava spesso di poco superiore al versato e, comunque, il rendimento della polizza era quasi sempre inferiore di quello medio dei titoli di stato nel periodo.
Perché avveniva questo?
Le ragioni sono più d'una, a cominciare da quelle tecnico/finanziarie.
Le cd “polizze rendita” erano strumenti con dei costi di sottoscrizione/gestione altissimi (i cd caricamenti, un tempo non esplicitati), che in buona parte andavano a remunerare i venditori/assicuratori e questo faceva sì che, specialmente sulle brevi durate (meno di dieci anni), producessero un ritorno insufficiente a coprire i costi e dare un rendimento adeguato.
Un'altra causa delle deludenti prestazioni rispetto a quelle promesse era legata al vistoso calo dei rendimenti dei titoli di stato che, a partire dalla fine degli anni ‘90, ha di fatto reso irrealistiche le previsioni di rendimento basate sui tassi degli anni ‘80 e ‘90 prese a base per i futuri guadagni.
Ultimo, ma non meno importante, ma anzi fondamentale, era la natura dello strumento, una polizza rendita appunto; rendita in quanto lo scopo primario di questo investimento era di assicurare una pensione integrativa (o rendita) a scadenza e, pertanto, il prodotto privilegiava quest'aspetto. Peccato però che sia gli assicuratori, sia i contraenti di queste polizze, nella quasi totalità dei casi, vendevano e acquistavano questo prodotto con il proposito di ritirare a scadenza un capitale e non una rendita, benché l'opzione capitale fosse soltanto secondaria rispetto alla rendita, però di questo molto spesso gli assicuratori omettevano di informare i clienti, sicuri che tanto avrebbero comunque ritirato il capitale.
Senza addentrarci nei tecnicismi delle polizze, dobbiamo dire che la rendita, essendo l'obiettivo che il prodotto si proponeva, aveva un onere, ovviamente a carico dei sottoscrittori, sotto forma di alti costi di gestione, rigidità della polizza, principio della mutualità e penalizzazioni per ritiri anticipati; onere giustificabile se finalizzato alla realizzazione di una rendita, ma assolutamente ingiustificato se lo strumento era di fatto utilizzato come semplice piano di accumulo di capitale.
La comune, quanto tranquillizzante, frase che ogni assicuratore recitava ai suoi clienti: “intanto pensiamo ad accumulare i soldi, poi abbiamo tempo fino alla fine per decidere cosa farne” era un vero e proprio “inganno” per coloro che già da allora non avevano l’obiettivo di una rendita e che prevedevano già a priori di ritirare il capitale a scadenza.
In buona sostanza, gli unici a trarre beneficio da queste polizze rendita (se si eccettua quello fiscale) erano le compagnie di assicurazione e gli assicuratori, ma non certo i sottoscrittori delle polizze, che non avevano quasi mai come obiettivo quello di crearsi una pensione integrativa, (almeno fino al 1995, data dalla quale lo Stato ha cambiato le regole pensionistiche, passando dal generoso sistema retributivo a quello ben più avaro del contributivo, i cui primi effetti, però, si sarebbero visti soltanto a partire dal 2010/15). Per le compagnie assicurative, però, era importante solo fare business; così, per tutti gli anni hanno continuato a proporre ai loro clienti un prodotto (polizza rendita) ben sapendo che gli stessi non lo avrebbero utilizzato a questo fine, ma facendogli lo stesso sostenere un onere molto elevato per qualcosa di cui non avrebbero mai veramente usufruito.
Poi, però, è arrivato il momento in cui le compagnie hanno cominciato a rendersi conto che questo strumento poteva diventare una fonte di notevoli oneri, anziché di guadagno, e da allora hanno fatto di tutto, prima per eliminare le polizze rendita a tariffa fissa dalla loro offerta (cosa avvenuta già nei primi anni del nuovo secolo) e poi per convincere i loro clienti che le avevano sottoscritte, a ritirare le loro polizze sotto forma di capitale anziché di rendita, proponendo loro prodotti alternativi più interessanti.
L’era dell’Euro, infatti, ha portato ad un generale calo dei tassi dei titoli di Stato (investimento base di molte polizze) che non solo ha ridimensionato le iperboliche aspettative di resa delle stesse, ma ha anche messo in discussione quello che era il rendimento minimo garantito che ogni polizza rendita aveva (solitamente un 4%, detto anche tasso tecnico).
Per questo motivo le compagnie hanno eliminato il minimo garantito, e lo hanno fatto passando dalle polizze rendita (con minimo) a quelle senza nessun rendimento garantito (Unit linked).
Questo però non bastava, infatti, le compagnie hanno fiutato il pericolo che con il modificarsi delle pensioni pubbliche (più esigue), un numero sempre maggiore dei loro clienti non avrebbe più ritirato il capitale, ma avrebbe effettivamente richiesto le rendite, e questo per loro significava un vero e proprio “tracollo finanziario”, poiché le vecchie polizze rendita a tariffa fissa, se ritirate come rendita, avrebbe comportato un costo molto grande per le Compagnie, costo che per inciso era più che giustificato perché, a fronte dello stesso, i loro clienti avevano già pagato un onere altrettanto grande per assicurarsi una rendita certa.
Con l'allungamento della vita media, infatti, l'onere per garantire una pensione vitalizia rivalutabile, per compensare l'inflazione, avrebbe costretto le compagnie di assicurazione ad assumersi un onere maggiore, e quindi a rinunciare ad un'enorme fetta del proprio guadagno. Per contro le nuove polizze Unit Linked, non solo non hanno più un rendimento minimo garantito, ma soprattutto non fissano (bloccano) più la tariffa rendita all'età della stipula, così che la pensione, o rendita, che la compagnia darà ai suoi clienti al momento della loro pensione dipenderà da quanto avranno reso i propri soldi nel frattempo, e soprattutto da quanto sarà la durata della vita media al momento in cui il soggetto va in pensione.
Tradotto in cifre, oggi per ottenere una rendita pari a quella che poteva ottenere chi avesse sottoscritto una vecchia polizza rendita negli anni ‘80 o ‘90, una persona dovrebbe avere a disposizione un capitale circa due volte e mezzo più grande, ovvero a parità di capitale versato/accumulato, con le nuove polizze Unit Linked avrebbe una pensione circa 2 volte e mezza inferiore alle vecchie!
Da qui si può ben comprendere il perché le compagnie hanno cercato in tutti i modi di convincere i propri clienti a smantellare le vecchie polizze rendita, convertendole in Unit Linked o ritirando il capitale a scadenza.
Tutti coloro che ancora posseggono queste vecchie polizze rendita, perciò, dovrebbero tenersele ben strette e a scadenza scegliere di prendere la rendita, perché oggi sono diventate degli autentici “tesori”!

 

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di Giuseppe Rai

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