Stralcio dei debiti con liquidazione del patrimonio in assenza di beni
La legge n. 3 del 2012, c.d. “legge salva suicidi”, ha introdotto tre distinti istituti giuridici diretti a consentire al soggetto non fallibile (quindi l’imprenditore che non supera le soglie di fallibilità dell’art. 1 della Legge Fallimentare, il consumatore indebitato e il professionista) di uscire dalla propria situazione di crisi debitoria, colmando così un vuoto legislativo presente nell’Ordinamento.
Nello specifico le procedure introdotte riguardano: l’accordo di composizione della crisi, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio, così che il sovraindebitato abbia la possibilità di formulare una proposta ai creditori – per la procedura di accordo e il piano del consumatore – ovvero di mettere a disposizione il proprio patrimonio liquidandolo – per la liquidazione del patrimonio.
Oltre all’importanza delle prime due procedure citate, è fondamentale focalizzare l’attenzione sulla liquidazione del patrimonio in particolare nell’eventualità in cui il soggetto sovraindebitato non sia proprietario di beni utilmente liquidabili (sia beni immobili – la casa – che beni mobili – ad es. autovetture) ma sia solamente titolare di un reddito, da lavoro dipendente ovvero da pensione, e questo perché alcuni Tribunali di merito hanno posto dubbi sull’ammissibilità della citata procedura.
L’articolo di riferimento è l’art. 14 ter della L. 3/2012 che espressamente prevede che “in alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore, in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le condizioni di inammissibilità di cui all’art.7 comma 2 lettera a e b, può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni” e si anticipa che un’interpretazione organica della norma porta a ritenere ammissibile la procedura di liquidazione anche in assenza di beni, questo anche ponendo attenzione alla finalità voluta dal Legislatore con l’introduzione della Legge del 2012.
È importante evidenziare come gli artt. 14 ter e seguenti prevedano la liquidazione dei beni del sovraindebitato nell’ambito della procedura a vantaggio dei creditori, senza che venga espressamente richiesta la presenza di beni mobili o immobili liquidabili essendo sufficiente anche la sola esistenza di un reddito (qualificato e considerato appunto come “bene”).
A sostegno di ciò deve farsi ricorso sia alla nozione di “beni” di cui all’art. 810 c.c. nella quale rientrano pacificamente anche le somme di denaro sia proprio all’art. 14 ter comma 6 lett. B) della L. 3/2012 che espressamente esclude dalla liquidazione i redditi da stipendi e pensioni solamente nei limiti di quanto occorra al mantenimento proprio e delle propria famiglia pertanto stabilendo che i redditi, per la parte eccedente, siano beni liquidabili in grado di determinare l’apertura delle liquidazione.
A sostegno di ciò è bene evidenziare, a titolo interpretativo, che se il fine voluto per la norma fosse stato differente il Legislatore avrebbe semplicemente escluso dalla procedura i redditi in qualunque forma percepiti, ma così non pare essere avvenuto.
Non solo, l’art. 14 undecies L. 3/2012 prevede che nel patrimonio da liquidare rientrino anche i crediti eventualmente sopravvenuti nel quadriennio successivo al deposito delle domanda di ammissione alla procedura così da far rientrare all’interno del patrimonio del debitore ogni somma idonea a soddisfare i creditori (come appunto lo stipendio) essendo la liquidazione del patrimonio una procedura dinamica tale per cui il soddisfacimento dei creditori non è preventivabile al momento delle sua apertura ma solamente alla chiusura della stessa con il definitivo piano di riparto. Questo, come riconosciuto da molti Tribunali di merito, rende comunque necessaria la figura del Liquidatore che avrà il compito di formare lo stato passivo della liquidazione, predisporre il programma di liquidazione (anche solo limitato all’incasso di una quota di stipendio) e formare il piano di riparto delle somme incassate tra i creditori presenti.
Ad avviso di chi scrive, inoltre, a far propendere verso l’interpretazione citata di ammissibilità vi è anche un’attenta lettura dell’art. 14 quater L. 3/2012 il quale prevede che la risoluzione dell’accordo e la revoca del piano del consumatore consentano la conversione di tali procedure nella procedura di liquidazione, così evidentemente da desumersi che la procedura liquidatoria sia la più ampia tra le procedure introdotte dalla L. 3/2012. Il Legislatore infatti ha previsto la liquidazione quale procedura frutto della conversione delle altre presenti nell’articolato legislativo senza tuttavia porsi questioni inerenti alla presenza o meno di beni liquidabili ma evidentemente quale procedura, sotto certi punti di vista, “aperta a tutti”.
Secondo la giurisprudenza inoltre i profili che riguardano l’ammissibilità della liquidazione non devono essere confusi con quelli relativi alla futura esdebitazione ai sensi dell’art. 14 terdecies comma 2 L. 3/2012 come da orientamento del Tribunale di Milano 06.06.2020.
L’ammissibilità della procedura di liquidazione in assenza di patrimonio è stata sancita recentemente anche dal Tribunale di Pordenone in composizione collegiale del 14.03.2019 accogliendo il reclamo formulato e revocando il decreto di inammissibilità (si è consentito al debitore di accedere alla procedura senza la presenza di un patrimonio costituito da beni immobili e/o mobili essendo titolare solamente di un reddito da stipendio).
Sul punto devono inoltre richiamarsi le pronunce di ammissibilità in tal senso adottate dai Tribunali di Milano, Monza e Lecco con la conseguente apertura della liquidazione nonostante l’assenza di beni, consentendo così una via d’uscita al soggetto sovraindebitato (questa interpretazione è stata riassunta in maniera limpida già nel 2017 dal Tribunale di Milano nel decreto 16.11.2017, nel quale è possibile leggere “non rappresenta motivo di inammissibilità alla procedura il fatto che il debitore sovraindebitato non sia, al momento della presentazione dell’istanza di liquidazione, proprietario di alcun bene mobili o immobile, ove lo stesso possa comunque contare su un reddito da potersi usare come fonte di soddisfacimento parziale dei creditori”).
Oltre che all’interpretazione della L. 3/2012 è necessario uno sguardo anche alla normativa introdotta di recente dal Legislatore a modifica della Legge Fallimentare e del sovraindebitamento mediante di c.d. Codice della Crisi e dell’insolvenza.
Infatti l’ammissibilità della liquidazione del patrimonio anche in assenza di beni mobili e immobili è stata espressamente prevista dalla Legge Delega 155/2017 di riforma del diritto fallimentare che, in quanto legge dello Stato pienamente in vigore, oltre a orientare le scelte normative del Governo – ora tradotte nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza che nel suo complesso dovrà entrare in vigore a settembre 2021 – deve orientare anche le scelte degli Organi Giudicanti soprattutto alla luce dell’art. 283 Codice della Crisi che consente l’esdebitazione del debitore incapiente, ovvero del soggetto privo di alcun bene che può liberarsi dalla propria posizione debitoria.
In ultimo, per cercare di permettere ad imprenditori e consumatori di uscire dalla crisi generata dalla diffusione della pandemia da Covid-19, il Legislatore ha previsto di anticipare l’entrata in vigore di alcune norme comprese nel Codice della Crisi mediante il c.d. Decreto Ristori D.L. n. 137/2020 e nello specifico, oltre alla procedura di sovraindebitamento familiare e alla falcidia dei debiti per cessione del quinto dello stipendio e della pensione, la citata esdebitazione del soggetto incapiente fornendo così un chiaro segnale positivo rispetto all’ammissibilità della liquidazione “a zero”.
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