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La colpa medica e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo


Nuovi scenari di ricorso alla CEDU per colpa medica: inefficienza dell'organizzazione sanitaria e inadeguatezza del sistema giudiziario in caso di danno alla vita
La colpa medica e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

La colpa medica nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'uomo 

In Italia è vigente la Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, ratificata con la Legge del 04.08.1955 n. 848, per cui ciascun cittadino o gruppo di cittadini, o soggetto di diritto privato, non governativo, che ritenga di avere subito una reale ed effettiva lesione dei diritti e delle libertà fondamentali tutelati dalla Convenzione può adire, quando ne ricorrano i presupposti, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), per conseguire la condanna dello Stato colpevole a una somma di denaro a titolo di indennizzo oppure alla rimozione delle cause che hanno prodotto il danno sofferto o che può essere sofferto.

Vi è da osservare che il tema della "tutela dalla colpa medica" non è espressamente previsto come diritto dell'uomo regolato e disciplinato dalle norme della Convenzione; tuttavia, il "diritto alla vita", definito dall'art. 2, consente di intravedere una chiave di accesso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in alcune ipotesi specifiche e ben definite. Espressamente così si esprime l'art. 2: "il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita".

Il tema della colpa medica certamente non attiene ad una offesa intenzionale al bene della vita. La CEDU, ragionando sugli obblighi che derivano agli Stati membri, per la effettiva e integrale tutela della vita, nel corso degli anni ha sviluppato un ormai definito orientamento giurisprudenziale.

In base ad esso si ritiene che è fatto obbligo agli Stati membri non solo di non provocare la morte di cittadini attraverso i propri organi e agenti, ovviamente salvo i casi di legittimita difesa e stato di necessità, ma anche di porre in essere ogni idonea organizzazione e ogni valida misura per prevenire che possa esservi danno alla vita delle persone.

In tale ambito, ad esempio, si è affermato che vi è certamente la responsabilità degli Stati, che non adottino misure di protezione efficaci quando vi sia un pericolo di azioni delittuose, che minacciano la vita, qualora ne siano stati informati. È il caso di soggetti minacciati di morte da organizzazioni criminali oppure nell'ambito di relazioni affettive o da stalkers.

Inoltre nel caso Voudaieva e altri v. Russia (sentenze della I Sezione nn. 15339/02, 11673/02, 15343/02, 20058/02, 21166/02) si è affermato che lo Stato è stato responsabile per i danni prodotti dalla rottura di una diga che proteggeva da frane la città caucasica di Tyrnyauz, quando, a seguito degli eventi calamitosi, vi furono morti e fu messa in pericolo la vita di alcuni dei ricorrenti: in particolare i ricorrenti lamentarono la carenza di sorveglianza della zona a rischio, le deficienze di costruzione della diga e la mancata adozione di uno stato di allerta e di altre misure idonee ad attenuare il rischio e le conseguenze della catastrofe naturale, con riferimento proprio all'art. 2 della Convenzione.

Nel caso in esame la Corte europea ha sancito la responsabilità per la carenza dello stato di allerta e di opere di protezione volte ad impedire i danni causati, ancorché non avrebbe potuto impedirsi l'evento naturale, osservando che lo Stato in questione aveva omesso ogni valida indagine penale, amministrativa o tecnica, di conseguenza producendo la perdita di probabilità di successo di un'azione civile, così concretandosi un'assenza di risposta giudiziaria adeguata in un caso che aveva leso la vita o messo in pericolo la vita, determinandosi una "lesione procedurale" del diritto alla vita, che impone una idonea azione giudiziaria.

L'evoluzione della giurisprudenza della CEDU è costante e, approfondendo sempre più il tema dei doveri degli Stati per la tutela della vita, anche al fine di svolgere una doverosa opera di prevenzione, si è affermato che può essere dichiarata la responsabilità degli Stati anche in talune fattispecie di colpa medica, radicandosi sempre più il convincimento che la vita è bene assolutamente primario e che gli Stati devono perseguire una condotta volta a garantirne, per quanto possibile, il valore e l'esistenza.

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La CEDU non si occupa, quindi, di qualsivoglia caso di colpa medica ma, sulla scia dell'interpretazione dell'art. 2 della Convenzione, che impone un " obbligo positivo" per gli Stati, di adozione di ogni misura adeguata alla protezione della vita, come affermato sin dal 1978 (n.7154/75, deciso il 12.7.1978; n.9348/81, deciso il 28.2.1983; 20948/92, deciso il 22.5.1995), ha statuito in primo luogo che gli Stati sono obbligati ad organizzare attraverso gli ospedali misure regolamentari idonee ad assicurare la protezione della vita dei malati (n.16593/90, deciso il 12.9.1991).

Peraltro ha affermato che gli "obblighi positivi" degli Stati impongono un sistema giudiziario efficace che consenta di stabilire le cause di un decesso avvenuto in ospedale ed eventualmente la responsabilità dei medici che abbiano avuto in cura il paziente. Da tali enunciati emerge che la competenza della CEDU, attraverso la sua giurisprudenza, si estende, in caso di colpa medica, all'esame della efficacia e del sistema ospedaliero, per la prevenzione della morte dei pazienti, e del sistema giudiziario per l'accertamento delle cause della perdita della vita dei pazienti.

Nell'importante sentenza pronunciata nel caso Erikson/Italia (n.37900/97, deciso il 26.10.1989) la CEDU, ribadendo i principi sopraindicati, pur rilevando che si evidenziavano nella vicenda deficienze della struttura ospedaliera, che non aveva condotto alcuna indagine in relazione alla circostanza che la paziente era stata dimessa dall'ospedale solo alcune ore prima della morte, tuttavia ha osservato che il ricorrente, figlio della defunta, avrebbe potuto esercitare l'azione risarcitoria nella sede civile, non avendola esercitata.

Inoltre, con riferimento alle deficienze dell'indagine penale, ha precisato in modo molto netto che non è sua competenza valutare errori valutativi di fatto o di diritto compiuti dalle autorità giudiziarie ma, piuttosto, può solo considerare se lo Stato sia munito di un sistema giudiziario idoneo per l'accertamento della responsabilità della morte dei pazienti.

A questo punto vi è da osservare che, nella valutazione delle idoneità del sistema giudizario a giudicare le cause e le responsabilità della morte dei pazienti, vi è anche, come accaduto in diversi casi, l'analisi della eccessiva durata dei giudizi, dal momento che i processi di eccessiva durata denotano una inidoenità del sistema giudiziario a svolgere il compito che la Convenzione assegna.

La sentenza del 4.5.2000, resa nel ricorso Powell/Regno Unito (n.45305/99), ha confermato che la CEDU non ritiene responsabile gli Stati per le erronee condotte compiute dai medici, quando sia stata allestita dagli Stati una idonea organizzazione per la salvaguardia della vita dei pazienti.

Interessante è la sentenza del 7.11.2002 (richiesta n.53749/00) relativa al ricorso Lazzarini e Ghiacci/Italia perchè, pur rigettando la domanda, in quanto tra l'altro gli istanti già avevano percepito a titolo di provvisionale la somma di euro 658.482,55 dallo Stato Italiano, ha esaminato il caso di una domanda relativa alle conseguenze patite dal figlio dei ricorrenti a causa di trasfusioni che avevano trasmesso il virus HIV: la sentenza in oggetto appare di grande rilievo perchè dimostra che, oltre ai casi di perdita della vita o di reale pericolo per la perdita della vita, la CEDU può ritenersi investita dalla competenza a decidere anche in ipotesi di colpa medica che abbiano prodtto gravissimi danni alla vita, estendendo così l'ambito di competenza della Corte.

Nel caso V.O./Francia definito in data 8.7.2004 (richiesta n.53934/00), concernente la perdita di un feto a causa di erronea condotta medica, la CEDU non si è pronunciata sul tema se il feto possa considerarsi una "persona" ai sensi dell'art.2 della Convenzione ma ha affermato, incidentalmente, pur rigettando il ricorso per questioni procedurali, che in ogni caso la perdita involontaria di un feto, a causa di una erronea condotta medica, può considerarsi un danno rilevante alla salute della madre, lasciando intendere che forse potrebbe in tali fattispecie richiamarsi l'art. 2 sotto il profilo del grave danno alla salute psichica della partoriente.

In un caso di morte per schock anafilattico la Corte Europea, accogliendo la richiesta di condanna per danni morali e per spese ed onorari (sentenza n.71463/01, del 28.6.2007) la Corte ha condannato lo Stato contraente per violazione dell'obbligo procedurale di cui all'art. 2 della Convenzione, in quanto la giurisdizione penale competente aveva delegato sostanzialmente alle parti private ogni attività di indagine, precludendo un concreto giudizio e la giurisdizione civile ugualmente aveva rigettato la domanda attorea richiamandosi alle statuizioni della giurisdizione penale.

Successivamente era stato ripreso il giudizio civile che, dopo 12 anni dall'evento della morte, non si era ancora concluso, con la considerazione della Corte che l'organizzazione statuale non aveva consentito la conoscenza dei fatti ed eventuali errori, violando così un criterio essenziale per permettere ogni idonea statuizione e per indurre il personale medico a rimediare alle carenze potenziali, in modo da prevenire errori simili. La Corte ha rilevato che il celere esame giudiziario di tale vicende è quindi importante per la sicurezza dei fruitori dell'insieme dei servizi sanitari.

Ugualmente nel caso Gheorghe/Romania (n.19915/04 deciso il 15.6.2007) è stato condannato lo Stato in una vicenda concernente un soggetto handicappato, che aveva subito gravissime emorragie interne con devastanti complicanze, a causa degli eccessivi ritardi della procedura di esame medico per il riconoscimento del suo grado di invalidità, ritardi che non gli avevano consentito di poter fruire gratuitamente dei trattamenti farmacologici che avrebbero potuto ridurre le sue patologie e sofferenze.

Nel ricorso Karchen ed altri/Francia (deciso il 4.3.2008 n.5622/04) la CEDU, affermando che nel caso di erronea condotta medica che possa porre in pericolo la vita, quali le trasfusioni praticate nella vicenda, che avevano trasmesso l'AIDS, vi è la competenza della Corte a decidere, tuttavia non ha accolto la domanda, osservando che lo Stato contraente aveva definitivamente condannato i responsabili a pene detentive e al risarcimento dei danni. Lo Stato italiano è stato poi condannato per danni morali, in attesa di decidere poi sui reati materiali, per aver violato l'art.2 della Convenzione, sia nel suo significato sostanziale che nel suo significato procedurale, a causa di una epatite, poi degenerata sino alla morte, procurata dalla trasfusione di sangue infetto, in quanto la malattia conseguita aveva messo in pericolo la vita del paziente.

Si è ritenuto altresì che era da considerarsi inaccettabile la durata del processo, tre anni e dieci mesi dinanzi alla Corte Suprema e rinvii abnormi nel primo grado di giudizio per mutamento del giudice, quale quello di un anno e tre mesi, disposto dal Tribunale di Roma.

Infine, affermando la violazione del diritto alla vita, l'eccessiva durata delle procedure e la carenza di rimedi idonei nel diritto interno per accelerarne il corso, la Corte ha riconosciuto agli istanti euro 300.000,00 per danni monetari, euro 78.000,00 per danni morali, oltre alle spese e ai costi della difesa, nel caso Oyal/Turchia (deciso il 23.3.2010 n.4864/05), in una vicenda in cui un bambino era stato infettato da AIDS a causa di trasfusioni.

In conclusione, dalla osservazione attenta della giurisprudenza della CEDU in tema di colpa medica, sono desumibili le seguenti indicazioni:

  1. La colpa medica rilevante per la Corte Europea è quella che abbia condotto alla perdita della vita o abbia messo in pericolo la vita o comunque abbia prodotto danni assai gravi e irreversibili alla qualità della vita;

  2. La Corte non può infliggere condanne agli Stati per casi di colpa medica, a meno che non possano rispondere di una carente e deficitaria organizzazione delle strutture sanitarie, che dovrebbero essere idoneamente predisposte per la salvaguardia della vita umana;

  3. La Corte può pronunciare altresì condanna nei confronti degli Stati contraenti quando, in caso dei danni sopradescritti da colpa medica, gli Stati contraenti non abbiano consentito di poter esperire procedure idonee all'accertamento della responsabilità e non abbiano operato per le necessarie attività volte alla individuazione delle responsabilità mediche, o comunque non abbiano facilitato la ragionevole durata dei processi, senza però potersi pronunciare su errori di fatto o di diritto compiuti nell'esercizione delle funzioni giurisdizionali. In tale ambito, ad esempio, potrebbe individuarsi una responsabilità degli Stati, qualora non abbiano adottato idoeni strumenti di emergenza per fronteggiare crisi cardiache, quali defribillatori, in luoghi di detenzione oppure in luoghi pubblici particolarmente frequentati ed affollati oppure potrebbe indivuarsi una responsabilità qualora, in caso di sospetta colpa medica accertabile attraverso l'esame autoptico, che comunque non può essere effettuato dai familiari delle vittime, l'accertamento non sia stato disposto.

Il tema è di per sè complesso e merita una continua attenta riflessione, dal momento che la giurisprudenza della CEDU, come ha affermato la Corte, esprime un diritto in costante evoluzione, in quanto diritto vivente che trae linfa continua dal progredire della conoscenza e del vivere sociale.

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