Mantenimento: calcolo diverso nel caso di separazione e divorzio

La condizione di crisi coniugale e la conseguente separazione dei coniugi, pone a carico del consorte economicamente più forte il dovere di sostenere l’altro più debole, in ossequio a quanto previsto da uno dei principi cardini del nostro ordinamento giuridico, ovverosia quello della solidarietà e dell’assistenza familiare.
Il cosiddetto “mantenimento” che dovrà essere rifuso in favore della parte più debole, non mantiene nel tempo la stessa funzione, per cui anche i criteri per determinarne in concreto l’importo, dovranno essere valutati rispetto al preciso momento storico di riferimento, quindi, sarà in via preliminare da considerare se ci troviamo di fronte ad una separazione o ad un divorzio.
La differenza tra il primo ed il secondo caso non è da considerarsi di poco conto, in quanto, sia sotto un profilo terminologico che anche squisitamente sostanziale, separazione e divorzio perseguono scopi diversi, pertanto anche i rispettivi mantenimenti vengono costituiti secondo criteri differenti.
Nel caso in cui sia intercorsa tra gli ex coniugi solo una separazione, il sostentamento economico da rifondere prende il nome di “assegno di mantenimento” e la sua funzione è totalmente assistenziale, ossia quella di garantire al coniuge più debole di essere sostenuto economicamente da quello più forte e di mantenere lo stesso tenore di vita di quello condiviso durante il matrimonio, proprio in virtù del fatto che, con la separazione, il rapporto di coniugo viene solo “sospeso” e non del tutto spezzato.
Nel caso, invece, in cui sia intervenuto il divorzio, venendo meno in maniera definitiva il rapporto di coniugo, cessano quindi anche tutti gli effetti civili del matrimonio, per cui il versamento del cosiddetto “assegno divorzile” non dovrà più essere parametrato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma dovrà essenzialmente tener conto della circostanza che l’ex coniuge più debole non sia in grado di provvedere economicamente al proprio sostentamento.
L’orientamento prospettato, condiviso dalla giurisprudenza più recente, si basa sul fatto che in caso di divorzio, essendo ormai reciso il legame tra i coniugi, non risulta equo continuare a garantire al soggetto debole un tenore di vita pari a quello del matrimonio, non essendo più possibile considerare tale circostanza un parametro legittimo; l’assegno divorzile sarà, quindi, parametrato tenendo conto di un valore intermedio che non sia né lo stretto necessario per vivere, ma neanche il vecchio tenore di vita matrimoniale.
Ovviamente, come logico che sia, nella determinazione dell’assegno divorzile, si dovrà tener conto delle peculiarità del caso di specie, come ad esempio il fatto che l’ex moglie abbia lasciato il lavoro per seguire le esigenze quotidiane della famiglia, per cui nell’eventuale determinazione del medesimo si dovrà tener anche conto del fatto che un coniuge abbia potuto far carriera, contando sul contributo domestico dell’altro.
Ciò detto, l’intento del legislatore, congiuntamente a quello di giurisprudenza, è quello di uniformarsi il più possibile a parametri che possano rispettare il caso concreto, evitando di creare situazione di parassitismo reddituale, consentendo a chi ha realmente contributo all’interno di un nucleo familiare, e soprattutto a chi ne ha realmente la necessità, di sentirsi confortato dal principio di solidarietà familiare che, com’è giusto precisare, deve uniformarsi a criteri fattuali reali e concreti.
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