Licenziamento illegittimo per mancata giustificazione

Il licenziamento illegittimo per difetto di giustificatezza si riferisce a un licenziamento che non è supportato da una motivazione adeguata secondo la legge. In particolare, il concetto di “giustificatezza” è utilizzato principalmente nel contesto dei dirigenti, i quali non godono delle stesse tutele previste per gli altri lavoratori dipendenti (come l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori o la normativa sui licenziamenti individuali).
Un licenziamento è ingiustificato quando il datore di lavoro non fornisce una ragione valida e comprovata, o quando la motivazione è pretestuosa, discriminatoria o contraria ai principi di correttezza e buona fede.
Se il licenziamento di un dirigente viene ritenuto illegittimo per difetto di giustificatezza, il datore di lavoro può essere condannato a pagare un risarcimento danni, il cui importo dipende dalla durata del rapporto di lavoro, dalla retribuzione e da eventuali previsioni contrattuali. Tuttavia, di solito non si ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, a meno che il licenziamento sia discriminatorio o nullo per altre ragioni di legge.
Con l’ordinanza n. 807 del 13.01.2025, la Cassazione afferma che il licenziamento non può avvenire in relazione esclusivamente ai dati rinvenuti nel pc del dipendente, se gli stessi sono riferibili ad un periodo antecedente all’insorgere del fondato sospetto che ha generato il controllo datoriale.
Il licenziamento viene impugnato dal dirigente il quale contesta il fondamento dello stesso. Il lavoratore era stato licenziato per informazioni contenute in alcuni file che la società aveva reperito all’interno del suo pc, grazie ad un controllo scaturito da un alert del sistema informatico.
La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che le informazioni poste alla base del recesso erano inutilizzabili ai fini disciplinari in quanto antecedenti rispetto al fondato sospetto creato dal citato alert.
La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori legittima unicamente controlli tecnologici ex post, vale a dire su comportamenti posti in essere successivamente all'insorgenza di un fondato sospetto. La Suprema Corte ha chiarito che, in tema di prova civile, l'indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisca o meno confessione, cioè ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all'altra parte, si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se fondato su di una motivazione immune da vizi logici (Cass. n. 3698 del 2020; n. 5330 del 2003).
Per la sentenza, ciò significa che il datore deve provvedere alla raccolta delle informazioni solo dal momento dell’insorgenza del sospetto e può utilizzare solo detti dati per l'(eventuale) esercizio dell'azione disciplinare. Secondo i Giudici di legittimità è, invece, precluso al datore sia ricercare nel passato lavorativo elementi di conferma del fondato sospetto che utilizzare gli stessi a scopi disciplinari, in quanto ciò equivarrebbe a legittimare l'uso di dati probatori raccolti prima ed a prescindere dal sospetto di condotte illecite da parte del dipendente.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società, confermando l’illegittimità dell’impugnato licenzicenziamento.
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