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Scioglimento della comunione tra coniugi e arricchimento senza causa


Ecco quando è possibile applicare l'istituto giuridico dell'arricchimento senza causa
Scioglimento della comunione tra coniugi e arricchimento senza causa

 

L'arricchimento senza causa, ex artt. 2041 c.c. e ss., risulta essere una norma di chiusura, che 'dispone-offre' uno strumento di tutela, esperibile in tutti i casi in cui tra soggetti si verifica uno spostamento patrimoniale, tale che uno subisca un danno e l'altro si arricchisca, 'senza giusta causa' e cioè senza che sussista una ragione che secondo l'ordinamento giustifichi il profitto o il vantaggio dell'arricchito.

Da ciò discende, a carico dell'arricchito, un obbligo di indennizzo o di restituzione in favore del danneggiato, il quale è legittimato, quindi, ad esperire l'azione di ingiustificato arricchimento (v. Cass. civile, Sez. III, del 15 maggio 2009, n. 11330).

L'azione in quaestio ha carattere generale perché è esperibile "in una serie indeterminata di casi"; ha, inoltre, carattere sussidiario perché è esercitabile solo quando al depauperato non spetti nessun'altra azione (basata su un contratto, su un fatto illecito o su un altro atto o fatto produttivo dell'obbligazione restitutoria o risarcitori), ex art. 2042 c.c.

Va puntualmente precisato che la misura dell'indennizzo, che consegue al valido esperimento dell'azione di ingiustificato arricchimento, va contenuta entro i limiti dell'arricchimento realizzato e, quindi, provato, ex art. 2697 c.c.

In relazione al caso di specie, è intervenuta la Corte di Cassazione, con sentenza 15644 del 2012 affermando che: "in caso di conto cointestato, l'ex convivente ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l'acquisto di un immobile intestato ad uno solo dei due conviventi con denaro proveniente dal medesimo conto".

La Corte, pertanto, accerta la sussistenza di un diritto di credito a favore dell'ex convivente nella misura del 50% degli esborsi a tali fini sostenuti con denaro comune delle parti provenienti dai conti cointestati. A dire della Cassazione, la richiesta presentata dalla donna non è diretta al riconoscimento di un acquisto comune, ma al pagamento di un credito costituito dal rimborso del contributo economico all'acquisto e alla ristrutturazione dell'immobile di cui solo l'altro convivente è divenuto proprietario.

Frequente è il caso in cui una coppia decida di edificare un immobile sul terreno di proprietà esclusiva di uno dei due e ci si deve interrogare su cosa accada qualora il progetto di vita comune non si realizzi ovvero qualora esso si interrompa per effetto della separazione.

I principi da applicare sono stati compiutamente espressi da Cass. n. 11330 del 2009, che da un lato ricostruisce sistematicamente tutte le ipotesi in cui non si possa legittimamente richiamare la mancanza di causa del conferimento, a fondamento dell'azione di arricchimento, dall'altro fa applicazione degli indicati principi proprio in relazione ad un disciolto rapporto di convivenza more uxorio: "l'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un' obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente 'more uxorio' nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza".

Riprendendo i principi sopra citati, deve puntualizzarsi che all'interno dell'azione di indebito arricchimento, la volontarietà del conferimento è idonea ad escludere il diritto alla ripetizione di quanto spontaneamente pagato in quanto (o come anche si usa dire, nella misura in cui) essa è spontaneamente indirizzata ad avvantaggiare il soggetto in cui favore viene effettuato il conferimento, ovvero in quanto essa sia una volontaria attribuzione patrimoniale a fondo perduto in favore di una determinata persona, che il conferente intende sostenere o aiutare economicamente in una sua attività o iniziativa, o esigenza.

Il conferimento di denaro e del proprio tempo libero, impegnato in ore di lavoro per la costruzione della casa da adibire a dimora comune, può considerarsi senz'altro volontario, va però evidenziato che tale conferimento di tempo e denaro può ben essere valutato ai fini della realizzazione di un progetto di vita comune, in vista della instaurazione della futura convivenza.

L'immobile edificato avrebbero consentito di realizzare la vita comune, all'interno del rapporto, per consentire ad entrambi di coabitare in una casa che avevano progettato e costruito anche materialmente insieme, nell'ambito e per la realizzazione di un progetto comune.

In ragione della proprietà esclusiva del terreno e dell'operatività del principio dell'accessione, quel conferimento integra un bene che è entrato, per le regole che disciplinano i modi di acquisto della proprietà, nella proprietà esclusiva di uno dei partner.

Ciò non fa venir meno il fatto che la volontarietà del conferimento fosse indirizzata non al vantaggio esclusivo del partner, ma alla formazione e poi alla fruizione comune di un bene e non costituisse né una donazione né una attribuzione spontanea in favore del solo soggetto che se ne è giovato.

Nel momento in cui lo stesso progetto dell'esistenza di un patrimonio e di beni comuni è venuto meno, perché si è sciolto il rapporto sentimentale tra i due ed è stato accantonato il progetto stesso di vita in comune, al convivente che non si è preventivamente tutelato in alcun modo non potrà essere riconosciuta la comproprietà del bene che ha collaborato a costruire con il suo apporto economico e lavorativo, ma avrà diritto a recuperare il denaro che ha versato e ad essere indennizzato per le energie lavorative impiegate volontariamente, per quella determinata finalità, in applicazione e nei limiti del principio dell'indebito arricchimento.

Pertanto, i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa, comunque, non sono prestati a vantaggio esclusivo dell'altro partner e, pertanto, non sono sottratti alla operatività del principio della ripetizione di indebito.

Neppure è idoneo, al fine di escludere l'applicabilità della disciplina dell'art. 2041 c.c., il richiamo al principio delle obbligazioni naturali. Premesso quanto sopra in relazione alla applicabilità della disciplina sull'ingiustificato arricchimento qualora le prestazioni siano state spontaneamente erogate non in favore esclusivo del partner ma in vista della realizzazione di un progetto comune, occorre poi verificare se all'applicabilità delle norme sull'ingiustificato arricchimento osti la disciplina delle obbligazioni naturali, o se nel caso di specie le somme (e le prestazioni lavorative) erogate non fossero ripetibili perché effettuate in adempimento di una obbligazione naturale.

Si tratta di prestazioni esulanti dall'adempimento di obbligazioni inerenti al rapporto di convivenza. (Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza 12 gennaio - 7 giugno 2018, n. 14732). I conferimenti in denaro e in lavoro per la costruzione della casa comune non sarebbero in ogni caso riconducibili alle obbligazioni naturali in tutti i casi in cui essi siano ben superiori al normale tenore di vita del conferente e perché finalizzati non ad una liberalità e non al normale contributo alle spese ordinarie della convivenza, ma a realizzare quella che avrebbe dovuto essere la casa della coppia, (Cass. Civ. Sent. n. 1266 del 2016).

 

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L'autore è esperto in Diritto di famiglia
Avv. Valentina Di Bartolomeo
VIALE ALESSANDRINO, 385 SCALA C INTERNO 3 00172 R
00172 - Roma (RM), Lazio


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