Aspetti risarcitori nella tematica del servzio delle cassette di sicurezza
Sull’inquadramento contrattuale del deposito nelle cassette di sicurezza, l’art. 1839 c.c. prevede la responsabilità della banca per “l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito”.
Il limite della responsabilità considerata deriva da un evento che esibisce i caratteri della imprevedibilità e della inarrestabilità, andando oltre la sfera dell’agente.
Vi può essere tuttavia anche un esonero pattizio da responsabilità per colpa lieve in considerazione dell’art. 1229 c.c.
La casistica delle difese dell’istituto di credito a fronte della richiesta del correntista di vedersi rimborsato l’intero valore dei beni depositati in cassette di sicurezza, evidenzia, soprattutto:
a) l’eccezione di caso fortuito (è stato impiegato, per esempio, nel caso delle cassette danneggiate, dall’alluvione dell’Arno degli anni 60 del Novecento);
b) l’eccezione dell’esistenza di una clausola limitativa del risarcimento, in relazione all’oggetto contrattuale;
c) la negazione della sussistenza del dolo o della colpa grave, con applicazione della clausola limitativa ex art. 1229 c.c..
I Supremi Giudici raccordano gli artt. 1218 c.c. e 1229 c.c. per farne discendere “che il debitore, il quale voglia andare esente da responsabilità, pur in presenza di clausola di esonero come quella di specie, ha l’onere di provare che l’inadempimento o l’inesatto adempimento è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè al di fuori del suo potere di controllo oppure che la sua attività o inattività, in rapporto causale con la mancanza o inesattezza dell’adempimento, concreta colpa lieve anziché grave” (Cass. Civ. sez. III 10 settembre 1999, n. 9602).
Se fallisce la prova del caso fortuito, la banca può dimostrare che la sua condotta è soltanto lievemente colposa ex art. 1229 c.c.. tuttavia l’art. 1229 c.c. va coordinato con l’art. 1218 c.c., in forza della quale, la presunzione di responsabilità non trova motivo di essere derogata, in difetto di norme scritte o di ragioni giustificative di un’interpretazione di segno contrario (Cass. Sez. III 05 aprile 2005 n. 7081).
In pratica la banca deve dimostrare l’adozione dei migliori e più aggiornati sistemi anti intrusione nel caveau.
Al cliente spetta dimostrare:
a) il contratto avente ad oggetto la cassetta;
b) l’ammanco dei valori depositati;
c) il nesso causale fra ammanco e inadempimento della banca.
Al contrario, la banca deve provare: che l’ammanco non si deve a dolo o colpa grave dei suoi operatori (cd. colpa di organizzazione); l’adozione di misure preventive idonee, con conseguente operatività della clausola limitativa della responsabilità.
Per quanto attiene il danno, è nota la sua difficoltà a cagione della segretezza che caratterizza l’immissione ed il ritiro dei beni custoditi (così Gnani, 2000,440, 3), per cui può soccorrere la prova presuntiva.
In un noto caso giudiziario sono stati in particolare valorizzati:
- una denuncia circostanziata alla Polizia Giudiziaria;
- la prova della proprietà degli oggetti;
- le deposizioni testimoniali che i beni erano custoditi in banca;
- l’assenza di ogni indizio contrario (cfr. Cass. Civ. sez. III 25 novembre 2008 n. 28067).
Per il resto, ad impossibilia nemo tenetur, nel senso che non si può rendere il carico probatorio effettivamente insostenibile per una parte.
Deve tuttavia essere evidenziato che è raro che il teste abbia assistito in prima persona all’immissione dei beni nel forziere, sì da avere diretta visione del profilo interno. Quindi, le prove testimoniali devono essere comunque vagliate con cautela.
La questione più rilevante concerne la precisione della dichiarazione del teste: quid juris se chi rende la testimonianza non sa ricostruire con precisione il contenuto della cassetta di sicurezza?
In tal caso, si pone la questione della deposizione generica e come tale inammissibile (come nel caso di Cass. Civ. sez. I, 29 settembre 1999 n. 10807); in un altro caso, tale giudizio è stato ribaltato, avendo la Suprema Corte evidenziato che “non vi è alcuna disposizione che vieti l’assunzione di un teste, sol perché ritenuto non idoneo a rendere un resoconto preciso delle circostanze oggetto di prova” (Cass. Civ. 10 settembre 1999 n. 9640).
L’interessato può infine - raggiunta una prova semipiena - ricorrere al giuramento suppletorio e/o decisorio. In tal caso, la banca deve risarcire quanto denunciato (sotto giuramento) dal cliente danneggiato (Cass. Civ. prima sez. sent. 18637 dep. 27 luglio 2017). Da tener presente che nel giuramento estimatorio, ciò che rileva è l’essenzialità dell’accertamento del valore della cosa in relazione al patitum (Cass. Civ. sez. I, 15.03.2015 n. 5090).
In altre decisioni si é ammesso pacificamente il ricorso alla prova presuntiva: si veda a tal riguardo la decisione del Tribunale di Torino 29 luglio 2019, in Plus Plus 24 Diritto, che ha condannato un noto istituto bancario a risarcire il danno subito da un cassettista, facendo affidamento sulla buona fede di quest’ultimo nel dichiarare il contenuto della cassetta al momento del furto. Rilevano secondo tale decisione la tempestività della denuncia con indicazione dei beni sottratti; la condizione di agiatezza del correntista, compatibile con la detenzione di preziosi; il precedente furto in casa del cassettista, il che rendeva verosimile che i preziosi fossero ricoverati in una cassetta; alcune foto ritraenti i medesimi; da ultimo le testimonianze concordanti.
Una problematica a parte si ha quando si verifichi la morte di uno degli intestatari della cassetta, situazione in relazione alla quale l’art. 1840 c.c. stabilisce che la banca non può consentire l’apertura della cassetta, se non con l’accordo di tutti gli aventi diritto. Le modalità di apertura della cassetta sono disciplinate nel TU Successioni (d.lgs. n. 346 del 31 ottobre 1990).
Si segnalano da ultime queste interessanti sentenze sul tema:
La sentenza passata in giudicato, relativa al riconoscimento del diritto del titolare della cassetta di sicurezza ad ottenere la liquidazione dell'intero massimale assicurativo, non costituisce giudicato sostanziale in ordine alla quantificazione del valore degli oggetti custoditi, nel successivo giudizio introdotto al fine di ottenere il risarcimento del maggior danno subito, mancando il nesso causale inscindibile tra l'accertamento compiuto nel giudizio chiusosi con sentenza passata in giudicato, avente ad oggetto esclusivamente l'integrità del massimale, e quello successivo, volto ad accertare il valore degli oggetti custoditi nella cassetta, né costituendo il primo giudizio la premessa logica ineludibile del secondo. Cassazione civile sez. I, 09/10/2013, n.22922.
Nel servizio delle cassette di sicurezza, la clausola del contratto che dispone che l'uso della cassetta è concesso per la custodia di cose di valore complessivo non superiore ad un certo limite e che comporta l'obbligo dell'utente di non conservare nella cassetta cose aventi nel complesso valore superiore a detto importo, in correlazione con l'altra che, in caso di risarcimento del danno verso l'utente, dovrà tenersi conto della precedente clausola, si qualifica come attinente alla limitazione della responsabilità, solo sotto il profilo della limitazione del risarcimento dovuto, ed è pertanto nulla, ai sensi e nei limiti stabiliti dall'art. 1229, comma 1, c.c. Corte appello Reggio Calabria, 21/01/2019, n.40 Redazione Giuffrè 2019.
Quanto al profilo di un'eventuale responsabilità della parte odierna appellata in ordine alla violazione dell'art. 1375 c.c., deve osservarsi che nessuna violazione del principio di buona fede, nella fase della esecuzione del contratto è, in termini giuridici, ascrivibile alla stessa. Infatti, non è configurabile, da parte dei clienti della banca, una violazione del dovere di buona fede per il solo fatto che questi abbiano omesso di informare la banca circa i beni immessi nella cassetta ed il loro valore, né tale mancata comunicazione è suscettibile di circoscrivere l'obbligo risarcitorio della banca sotto il profilo della imprevedibilità del danno, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1225 c.c. Corte appello Napoli, 15/05/2017, n.2109 Redazione Giuffrè 2018.
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