Danno da rumore e/o inquinamento acustico
Danno da rumore: definizione
Secondo l’allegato A del dpcm 1-3-1991, rumore è “qualsiasi emissione sonora che provochi sull’uomo effetti indesiderati, disturbanti o dannosi o che determini un qualsiasi deterioramento qualitativo dell’ambiente”.
Gli fa eco (a tale norma), la Direttiva 2002/49/CE per cui (art. 3) i rumori sono “suoni indesiderati o nocivi in ambiente esterno prodotti dalle attività umane, compreso il rumore emesso dai mezzi di trasporto, dovuto al traffico veicolare, al traffico ferroviario, al traffico aereo e proveniente da siti di attività industriali".
Altra definizione si rinviene nella legge quadro sull’inquinamento acustico, la l. 26.10.1995 n. 447 e nel d.p.c.m. del 14 novembre 1997.
Problematiche
Il rumore provoca negli esseri umani problematiche di concentrazione, disagi, rabbia, frustrazione, compromissione della capacità lavorativa, stress, grave compromissione delle relazioni umane.
Il rumore comporta spesso anche, a livello psicofisico, l’aumento della pressione sanguigna, del ritmo cardiaco e la vasocostrizione; ma anche una modificazione della motilità gastrica, dell’acuità visiva, del sistema nervoso, etc. L’esposizione a rumori superiori a 80 dB può comportare ipoacusia.
Gli effetti di disturbo sono riscontrabili per esposizioni dell’ordine di 70 dB, e consistono in alterazioni spesso, ma non sempre, temporanee delle condizioni psicofisiche. Non sono escluse conseguenze a livello di salute mentale, con induzione conseguente dei soggetti danneggiati all’impiego di psicofarmaci ed, in particolare, di tranquillanti, antidepressivi e sonniferi.
Normativa
Le prime due norme codicistiche che si sono occupate del rumore sono l’art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e l’art. 844 c.c. La prima norma tutela l’incidenza del fatto sulla tranquillità pubblica, correlata all’attitudine del disturbo di turbare un numero indeterminato di persone.
Anche l’emissione di rumori per motivi professionali comporterà responsabilità penale, dato che ci si deve rapportare alla tollerabilità dell’uomo medio, che venga disturbato nel proprio riposo, inteso non solo come sonno notturno.
Per quanto riguarda la tutela civilistica, il concetto di “intollerabilità delle immissioni” ha carattere non assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, secondo le caratteristiche della zona, per cui tale limite è più basso in zone destinate ad insediamenti abitativi (Cass. Civ. sez. II, 11.02.2011 n. 3440).
Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 844 c.c. ha portato a ravvisare l’illegittimità delle immissioni in ogni caso in cui il diritto fondamentale della salute viene compromesso. Si è ragionato - dunque - nel senso che l’immissione che superi la normale tollerabilità integri violazione dell’art. 32 Cost., con conseguente legittimazione a radicare l’esperimento dell’azione inibitoria.
Secondo un orientamento tuttora presente in giurisprudenza sono sostanzialmente irrilevanti i limiti previsti dalla normativa sull’inquinamento acustico, ai sensi dell’art. 844 c.c.
Il giudizio di superamento della normale tollerabilità non deve poi necessariamente poggiare su di una CTU (o consulenza tecnica disposta d’ufficio dal giudice), ma può anche basarsi sulle presunzioni (art. 2727 c.c.)
I danni vantati possono essere dai più disparati: si va dal danno biologico, nel caso in cui l’inquinamento acustico trasmodi in una vera e propria malattia del danneggiato, al cosiddetto danno alla vita di relazione ed ai pregiudizi di natura esistenziale, concernenti aspetti relazionali della vita.
La prova può essere data, si é detto, anche per presunzioni; ed è frequente l’affermazione secondo cui deve applicarsi in particolare il criterio cd. comparativo-differenziale, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo costituiti dalla somma degli effetti acustici prodotti dalle sorgenti sonore esistenti ed interessanti una determinata zona.
Viceversa, la normativa sull’inquinamento acustico è di natura pubblicistica e si occupa dei rapporti tra i privati e la PA: è il d.p.c.m. 1.3.1991, che introduce il concetto di classificazione acustica delle aree comunali in zone (la cd. zonizzazione), distinte in sei classi, a seconda della destinazione d’uso.
La legislazione prevede poi dei piani di risanamento (e la conseguente definizione di azioni coordinate e specifiche). È consentito anche il ricorso ad ordinanze amministrativi contingibili ed urgenti se ricorrono necessità improcastinabili di tutela. Dunque l’art. 844 c.c. concerne i rapporti fra privati.
Viceversa, le leggi e i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità hanno carattere pubblicistico e operano nei rapporti fra i privati e la PA (pubblica amministrazione), potendo dar luogo a sanzioni amministrative e financo penali.
Questi ultimi regolamenti e le pubbliche leggi possono essere utilizzati e impiegati come parametro di riferimento per stabilire la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose anche fra privati. Per esempio, si può chiedere l’intervento dell’ARPA (Agenzia Regionale per la protezione dell’ambiente) ai fine di effettuare una valutazione dei rumori emessi e per verificare se questi superano la normale tollerabilità e quale può essere il livello di danno.
Casistica
Sarà consentita una breve casistica relativa a recenti vicende giudiziarie.
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paga i danni chi produce rumore giudicato intollerabile in un condominio, impedendo ai vicini di attendere alle proprie occupazioni ed al riposo (Corte Cass. 18377/2021): il giudice di legittimità ha in particolare affermato che il reato previsto dall’art. 659 c.p. esiste quando la condotta (del ricorrente) abbia prodotto rumori caratterizzati da notevole diffusività e disturbato un numero indeterminato di persone;
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in un altro caso giudiziario recente (Cass. n. 2258/2021) la Suprema Corte, sezione penale, evidenzia che per integrare il reato è necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente sonora, occorrendo la prova che la propagazione delle onde sonore sia estesa ad una consistente parte degli occupanti dell’edificio;
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la cassazione civile con la sentenza n. 23283/2014 ha stabilito che nel caso di immissioni rumorose provenienti anche dall’impianto termico condominiale, sussiste la responsabilità dei danni subiti dal proprietario dell’unità immobiliare;
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la Cassazione penale (sentenza n. 34780/2017) in un altro caso, ha rigettato il ricorso del musicista di strada, che disturbava la quiete pubblica perché munito di amplificatore;
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in altra ipotesi, la Corte Suprema di Cassazione, questa volta sezione civile, ha affermato che in tema di locazione, qualora il contratto che la regoli preveda a carico del locatario l’obbligo di servirsi della cosa secondo la regola della diligenza del buon padre di famiglia, la violazione di tale obbligazione espressa in continui rumori molesti ai danni dei vicini può provocare la risoluzione del contratto di locazione e/o lo sfratto dell’inquilino molesto. Questa sentenza quindi dimostra che l'impiego illegittimamente "rumoroso" di un appartamento inserito in un condominio può avere conseguenze civilistiche (e non solo civilistiche) sotto molteplici punti di vista: non solo sotto i profili risarcitori (nei confronti dei danneggiati), ma anche per quanto concerne la risoluzione del contratto.
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Gli avvisi, con cartello, all'esterno del bar e la presenza dei dipendenti quali sorveglianti non sono sufficienti ad escludere la responsabilità del titolare di un locale per gli schiamazzi molesti dei clienti ed avventori (Cass. civ., sez. VI, ord., 22 luglio 2021, n. 21097). All'origine della vicenda c'è il monitoraggio compiuto dalla Polizia municipale. A finire nel mirino è il titolare di un bar.
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