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Trasformazione da società a comunione: assoggettabilità a fallimento


Vediamo cosa può succedere, secondo la norma fallimentare, nel caso di trasformazione di una società in una comunione d'impresa
Trasformazione da società a comunione: assoggettabilità a fallimento

Trasformazione eterogenea della srl in comunione d'azienda 

I soci di una società di capitale che non desiderassero continuare l’attività imprenditoriale, ma per esempio, intendessero concludere un contratto d'affitto dell’azienda, prima della riforma potevano solamente deliberare lo scioglimento e la messa in liquidazione.

Dopo la riforma, si discute di trasformazione eterogenea. La disciplina della trasformazione assorbe la disciplina in materia di trasferimento dell’azienda e dei beni che ne fanno parte.

Nel caso di trasformazione in comunione d’azienda tutti i soci, quali comunisti, assumono responsabilità illimitata anche per le obbligazioni anteriori (art. 2500 quinquies e 2500 sexies). La delibera di trasformazione richiede il consenso di tutti i soci ex art. 2500 septies c.c., in quanto tutti assumono responsabilità illimitata.

La delibera di trasformazione esige la forma pubblica

Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, 19 giugno 2019 n. 16511, nell’ipotesi di trasformazioni eterogenee, si determina un rapporto di successione tra soggetti distinti, con la conseguenza che la nascita di una comunione indivisa non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. Quindi la srl trasformata può essere dichiarata fallita, essendo la trasformazione da società a comunione di azienda un fenomeno di successione tra soggetti distinti, sia per forma che per natura, con conseguente applicabilità dell’art. 10 l. fall.: l’applicazione di tale articolo dipende dagli effetti che essa produce sul piano dell’impresa, la cui vicenda si configura in termini estintivi-costitutivi.

L’attuale operazione di trasformazione può comportare anche l’estinzione della società trasformata e la definitiva cessazione dell’attività di impresa da essa esercitata: la trasformazione in comunione di azienda implica, quasi sempre anche se non sempre, cessazione nell’esercizio diretto dell’impresa.

Si è però scritto (Federico Trotti) che l’art. 10 l. fall. non troverebbe applicazione nella trasformazione di società in comunione d’azienda se, quest’ultima venisse gestita da entrambi i coniugi comunisti ex art. 177 comma 1 lett. d), non comportando in tal caso la trasformazione l’epilogo dell’impresa.

Con una ancor più recente sentenza (Cass. Civ. sez. I, 22.10.2020 n. 23174), la Corte Suprema di Cassazione ha ribadito il principio che nell’ipotesi di trasformazione di una società di capitali in comunione di azienda, i creditori muniti di titolo anteriore alla trasformazione, beneficiano dell’originario regime di responsabilità della società “la quale nel termine di cui all’art. 10 l. fall. potrà essere dichiarata fallita, dovendo escludersi che l’opposizione dei creditori, ex art. 2500 novies c.c., costituisca un rimedio sostitutivo al fallimento, trattandosi piuttosto di uno strumento aggiuntivo che appronta una tutela di intensità inferiore”.

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