Coltivazione di canapa e arresto in flagranza
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Libertà personale: flagranza di reato e coltivazione di canapa
1. Lo stato di flagranza
E’ in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.
La norma dell’art. 382 c.p.p. fotografa la situazione di fatto che deve essere presente a chi opera nel campo della polizia giudiziaria al fine di effettuare un arresto legittimo che, successivamente, ed entro termini brevissimi, deve essere sottoposto al vaglio dell’Autorità Giudiziaria per la necessaria convalida.
La Costituzione prevede solo in casi eccezionali la possibilità di privare un cittadino della libertà personale, e soltanto a seguito di un provvedimento “motivato” dell’Autorità Giudiziaria.
E ancora più eccezionale è la possibilità che si proceda alla privazione della libertà personale, anche in via provvisoria, ad opera ed iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di qualsiasi provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.
Per poter procedere all’arresto di una persona, prima dell’intervento della A.G, deve ricorrere il requisito della flagranza del reato, ossia, come ha avuto modo di scrivere Cassazione a SS.UU. (n. 39131/16) “la eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione (solo) nella altissima probabilità (e, praticamente, nella certezza) della colpevolezza dell’arrestato”.
Quindi, solo la diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto possono suffragare, nel senso indicato, la previsione dell’accertamento giudiziale di alta probabilità di colpevolezza.
La Cassazione ha anche più volte chiarito il principio di diritto secondo il quale non sussiste la condizione di quasi flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato non già a seguito e a causa della percezione diretta dei fatti da parte dell’Autorità Giudiziaria bensì solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi.
Pertanto, il cittadino può essere arrestato soltanto se sta commettendo un reato e venga sorpreso dall’autorità giudiziaria nell’atto di commetterlo oppure se la commissione del reato è avvenuta da poco ed egli abbia ancora su di sè le tracce del reato, oppure se è stato avvistato da agenti di polizia giudiziaria nell’atto di commettere un reato e si sia dato alla fuga e venga inseguito.
2. L’ “inseguimento" a seguito di fatto-reato: precisazioni
Qualche anno fa si era appalesato in Giurisprudenza un altro orientamento che aveva allargato il concetto di flagranza e di quasi flagranza e che intendeva rispondere ad una esigenza pratica di assicurare la reazione istituzionale nella repressione dei reati, di maggiore gravità, dei quali la polizia giudiziaria ha contezza nel medesimo contesto storico –temporale della loro perpetrazione.
Tale orientamento equiparava il cosiddetto “inseguimento investigativo” all’inseguimento vero e proprio operato in successione temporale con il fatto commesso.
Per inseguimento “investigativo” si intendeva quello attuato da agenti della polizia giudiziaria sulla scorta di informazioni resa da testimoni, o dalla stessa persona offesa, in mancanza cioè di una percezione diretta del fatto da parte degli operatori.
Già la dottrina più attenta aveva avvertito il rischio di “pericolose estensioni giurisprudenziali” e di prassi poliziesche che, attraverso la dilatazione del concetto di inseguimento potevano condurre lontano dal concetto stesso di “flagranza” e portare ad inammissibili interpretazioni ”oltre i limiti della norma”, mentre si è in presenza di una chiara disposizione Costituzionale che prevede la “eccezionalità” dei provvedimenti di restrizione della libertà personale adottati dall’autorità di polizia.
A sgombrare il campo da questa interpretazione giurisprudenziale non costituzionalmente orientata è intervenuta Cassazione a Sezioni Unite del 21 settembre 2016 che, decidendo sulla seguente questione di diritto “Se può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto”, ha stabilito che:
- l'art. 13 Cost. stabilisce che solo in casi eccezionali l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori de libertate sottoposti alla comunicazione all’autorità giudiziaria e alla convalida della stessa, da eseguirsi entro termini perentori, a pena di revoca;
- la Corte Costituzionale con sentenza n. 89 del 1970 ha statuito che le disposizioni sull’arresto contenute nel codice di rito sono norme di “stretta interpretazione" e quindi non suscettibili di “applicazione estensiva” in quanto trovano collocazione nell’ambito della deroga al principio “che incentra nella sola autorità giudiziaria ogni potere di disporre misure incidenti sulla libertà delle persone”;
Lo stato di “flagranza” si caratterizza sulla base della percezione dell’evidenza della reità da parte degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria senza l’ordine del magistrato perché deve essere ridotto al minimo il pericolo di una ingiusta privazione della libertà.
Quindi, secondo le Sezioni Unite: “Non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto”.
3. Flagranza e coltivazione di piantagioni di canapa. Il Giudice di merito ribadisce i principi espressi da SS.UU. 39131/2016
Un recente caso di “arresto in flagranza” ha visto richiamare da un Giudice di merito si sopra esposti principi.
Nel caso di specie, personale operante della polizia giudiziaria ha eseguito una serie di appostamenti presso un appezzamento di terreno adibito alla coltivazione di canapa indiana.
In uno di questi appostamenti notava una autovettura, da cui scendevano due occupanti, fermarsi in prossimità del terreno, osservare la piantagione e subito andar via.
Successivamente, nel corso dell’ultimo appostamento, i militari, notavano arrivare una autovettura dalla quale scendevano 4 occupanti che si dirigevano verso il terreno oggetto di osservazione, vi camminavano dentro, visionando le piante e parlando tra di loro.
In quel frangente gli operanti circondavano il gruppo di persone e procedevano all’arresto.
Quindi, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria richiedevano la convalida dell’arresto in flagranza e di applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico nei confronti degli arrestati perché indagati e provvisoriamente incolpati del delitto di cui all’art. 110, 73 comma IV DPR 309/1990 perché in concorso e di concerto tra loro su un terreno agricolo coltivavano 70.000/80.000 piante di canapa indiana, giunte ad altezza varia da un metro a due metri, già in florescenza, idonee a produrre sostanza stupefacente.
Alla udienza di convalida le difese degli arrestati contestavano la sussistenza del requisito della “flagranza” necessario per procedere all’arresto, sia per il ruolo non definito né accertato dell’eventuale responsabilità penale personale di ciascuno degli indagati, sia per la assoluta mancanza di ogni preventivo e necessario a accertamento circa la legittimità della produzione della canapa e l’eventuale superamento della soglia di THC presente nelle florescenze al fine di ritenere o meno la violazione della norma penale.
Il GIP (presso il Tribunale di Taranto) con ordinanza del 9.7.2020, ha innanzitutto rammentato, richiamando Cass. sez. VI 13 aprile 2016 n. 18196 che il giudice della udienza di convalida dell’arresto in flagranza deve operare con giudizio ex ante, avendo riguardo alla situazione in cui la polizia giudiziaria ha provveduto, senza tener conto degli elementi non conosciuti o non conoscibili della stessa, che siano successivamente emersi.
Quindi, ha ritenuto di non convalidare l’arresto in quanto: “la mera presenza di un individuo presso un fondo coltivato a marijuana, di per sé sola, laddove ricorrente, è circostanza di per sé poco significativa a fini accusatori, inidonea a comprovare il concorso dell’indagato di turno nell’attività illecita svolgentesi presso l’appezzamento in questione”.
Lo stesso Giudice delle Indagini Preliminari ha poi specificato che quando hanno provveduto all’esecuzione della misura pre-cautelare, gli operanti non sapevano:
- a che titolo ciascuno degli individui arrestati fosse concorso, stesse concorrendo oppure avrebbe concorso, materialmente o moralmente, nella coltivazione delle sopramenzionate piante di canapa;
- se il titolare della coltivazione fosse uno o più di uno dei quattro arrestati;
- se tra i quattro individui fossero annoverabili dei meri “conniventi non punibili” ed eventualmente quanti e quali;
- se tra i quattro soggetti fosse stipulato o meno un qualche factum sceleris.
E, quindi, che tale “modus operanti” si pone in evidente contrasto con quanto condivisibilmente stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 39131/2016 del 21 settembre 2016.
Inoltre, ha scritto che non è stato accertato:
- quale fosse lo specifico genere botanico delle piante, pur dando atto che si trattava di canapa;
- quale fosse il contenuto di THC della canapa indiana” di cui hanno riscontrato la coltivazione;
- se il contenuto di THC delle piante superasse o meno i limiti di legge.
Pertanto il GIP ha definitivamente ritenuto che l’arresto cui sono stati sottoposti gli indagati non sia eseguito nella sussistenza dei presupposti di cui all’art. 382 c.p.p.
Con la medesima ordinanza, esaminando le dichiarazioni rese nel corso degli interrogatori di garanzia, ha altresì dichiarato la carenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto contestato e ordinato la liberazione degli indagati.
Avv. Filippo Castellaneta (www.avvocatocastellaneta.it)
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