Il Giudice non può porre domande suggestive al testimone

L’accusatorio segna un punto a suo favore: le regole dell’esame testimoniale valgono anche per il giudice.
1. Nella cross examination si scontrano da anni due diverse culture del processo penale. Il ruolo del difensore penale
L’esame incrociato rappresenta, per tutti i protagonisti del processo e soprattutto per gli avvocati penalisti, una tra le più importanti rivoluzioni di ruolo e di funzioni che il nuovo codice di procedura penale ha introdotto.
La cross examination ha imposto non solo una modifica del ruolo del difensore rispetto al passato, ma implica una crescita culturale e professionale degli avvocati penalisti che si cimentano nel dibattimento penale.
In passato, prima del 1989, era il Giudice a rivolgere direttamente le domande al teste e solo al termine del suo “interrogatorio” chiedeva al difensore se voleva rivolgere anch’egli delle domande, ma costui, per “non intralciare i lavori”, spesso si asteneva “prudentemente” dall’esercitare tale sua facoltà.
Con il codice del 1988, invece il difensore è il propulsore e il protagonista nella assunzione della prova orale: sceglie e cita i testi a discarico, conduce l’esame ed il controesame, ed inoltre deve curare di preparare una scaletta per far emergere quello che è il suo “thema probandi”, deve essere pronto ad opporsi a domande suggestive nel corso dell’esame, deve curare gli aspetti psicologici della testimonianza, deve opporsi alla forza d’urto dell’art. 507 spesso utilizzato per colmare vuoti probatori che sono esclusivamente a carico dell’accusa.
2. Le modalità di assunzione dell’esame testimoniale e i poteri del Giudicante
Nei primi anni di applicazione della nuova normativa, il difensore ha dovuto anche sopportare, e a volte cercare prudentemente di rintuzzare, gli interventi del Giudice incapace di resistere all’impulso di chiedere chiarimenti al teste e di fare delle vere e proprie domande a volta anticipatrici di quelle che il difensore voleva porre, a volte fuorvianti, a volte denotanti il retro pensiero del Giudice in riferimento alla “idea” che si è fatto circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato.
I difensori più attenti e più ossequiosi del rito accusatorio e più coraggiosi hanno fatto notare spesso nelle aule di udienza che il Giudice doveva astenersi dall’intervenire giacché la norma dell’art 540 comma 6 c.p.p recita “Il Giudice interviene dopo l’esame e il controesame”.
Ma, nella maggioranza dei casi il difensore ha lasciato fare consentendo al Giudice di porre le domande e di mettere in campo la sua strategia motivazionale; sì esatto, perché il Giudice senza il dovuto controllo delle parti, può formulare tutte le domande possibili al fine magari di dimostrare la tesi che gli sta più a cuore.
Certo il Giudice è il direttore del dibattimento e può intervenire anche nel corso dell’esame o del controesame per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni.
E questo profilo attiene specificamente al ruolo di conduzione del dibattimento che appartiene esclusivamente al Giudice.
Le problematiche maggiori sono sorte, quando il Giudice si è sostituito alle parti nella conduzione dell’esame o del controesame oppure quando, una volta terminato l’esame delle parti ha rivolto al testimone domande non consentite dalle regole dell'esame incrociato.
La Giurisprudenza della Cassazione pur in presenza di una norma che vieta la domande suggestive alle parti aveva ritenuto, seppure con riferimento all’esame testimoniale di un minore assunto nel corso di un incidente probatorio, che il divieto valesse esclusivamente per la parte che aveva proposto l’esame.
Una sentenza della Suprema Corte dell’anno 2010 così stabiliva “Il divieto di domande suggestive viene posto dalla legge esclusivamente con riferimento all’esame condotto dalla parte processuale che ha introdotto il testimone (art. 499 comma 3 c.p.p.), ma non opera in sede di controesame e, tantomeno, opera nei casi in cui sia il giudice a condurre direttamente l’esame del minore o delle persone che versano in speciali condizioni (art. 498 coma 4 cp.p.) nel rispetto delle regole previste dai commi 2,4 e 6 dell’art. 499 c.p.p., miranti a tutelare la dignità della persona esaminata e, nello stesso tempo, a garantire la genuinità e l’efficacia delle risposte” (Cass sez. III 4.3.2010 n. 16854).
3. La sentenza della IV sezione penale della Cassazione n. 15331 del 19.5.2020
La questione del mancato rispetto di regole processuali, in tema di assunzione di una testimonianza, può essere posta in evidenza laddove la stessa abbia fatto maturare una decisione sbagliata circa l’attendibilità del teste o circa l’accertamento di una circostanza decisiva per la decisone giudiziale.
Di recente la Cassazione si è occupata di una questione posta alla sua attenzione nei termini di "modalità di escussione della prova testimoniale", in quanto il risultato testimoniale era stato assunto non a seguito di un esame e controesame, bensì all'esito di domande “palesemente suggestive, poste direttamente dal consigliere relatore al teste, così minandone la credibilità”.
Il processo si era svolto dinanzi la Corte di Appello di Genova dopo che la Corte Suprema aveva richiesto che si procedesse alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale attraverso l’esame testimoniale della persona offesa in una fattispecie di reati sessuali.
La seconda decisione della Corte di Appello veniva impugnata dal difensore e la Cassazione, sezione IV, ha rilevato la presenza di irregolarità nella conduzione e nella assunzione della testimonianza della persona offesa.
La Cassazione, con questa decisione ha precisato che:
1. La disciplina dell’esame dei testimoni costituisce piena espressione della scelta, operata dal legislatore del 1988, per un processo di parti;
2. La puntualizzazione che il Presidente può porre domande solo dopo lo svolgimento dell’esame e del controesame è stata considerata opportuna, posto che un intervento officioso del giudice con finalità chiarificatrice dei fatti del processo in tanto trova giustificazione in un processo tendenzialmente accusatorio, in quanto non sia stato possibile ottenere i necessari chiarimenti mediante le domande che hanno posto le parti;
3. L’art. 499 c.p.p. detta le regole ed il Giudice deve vietare in modo assoluto le domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, vietare alla parte che ha addotto il teste o che ha un interesse comune con lo stesso di formulare domande in modo da suggerirgli le risposte; assicurare durante l’esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni;
4. Il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste in quanto tale è ritenuta dal legislatore interessata a suggerire risposte utili per la sua difesa;
5. A maggior regione detto divieto deve applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte ai sensi del comma 6 dell’art. 499 cpp.
Pertanto la sentenza in esame ha affermato il principio secondo il quale anche al Giudice sono vietate domande suggestive, e rilevato che l’esame del teste, ad opera del consigliere relatore della Corte di Appello, conteneva domande vietate perché suggestive, ha annullato la sentenza giacché le manchevolezze e le violazioni rilevate avevano avuto il loro riverbero sul piano dei fatti da provare.
Detta sentenza ha, quindi, ci auguriamo definitivamente, stabilito il principio secondo il quale la cross examinaton deve essere lasciata in prima battuta al lavorio delle parti, con interventi solo chiarificatori del Giudice, e che l’intervento del Giudice deve essere limitato a chiarire quelle circostanze che a seguito dell’esame e del controesame non sono state definitivamente accertate.
Inoltre, appare ormai raggiunto l’approdo di vietare anche al Giudice le domande suggestive che possono distorcere, anche per autorità di chi le pone, il risultato probatorio che è oggetto dell’accertamento giudiziale.
4. Il processo accusatorio e le sue regole
La sentenza in commento rappresenta senz’altro un punto in avanti per il processo accusatorio per la vera affermazione dei suoi principi ineludibili.
E’ opportuno ricordare che il metodo migliore per l’accertamento della verità processuale è il metodo dialettico: ossia la possibilità che due parti possano provare i fatti attraverso gli strumenti che il contraddittorio processuale mette loro a disposizione.
A decidere lo scontro dialettico deve essere un Giudice terzo e imparziale, capace di essere equidistante dalle parti.
La modalità tipica dell’escussione della prova orale è l’esame incrociato che è sottratto al monopolio del Giudice così come stabilito dai principi desumibili dall’art. 111 Costituzione, dall’art. art. 6 par. 3 lett. e) C.E.D.U., dall’art. 14 par. 3 lett. e) del patto internazionale dei diritti civili e politici.
Le regole del processo accusatorio fanno riferimento a questo quadro nel quale la sentenza 15331/2020 si inserisce perfettamente.
Le parti processuali e il difensore soprattutto che ha l’onere di invalidare la tesi dell’accusa, deve essere consapevole della centralità dell’esame incrociato nell’accertamento della verità e quindi deve preparare e partecipare allo stesso con grande consapevolezza, e con grande accortezza.
Avv. Filippo Castellaneta (www.avvocatocastellaneta.it)
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