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Le norme per evitare che i bambini seguano le madri in carcere


L'ordinamento penale appresta una serie di previsioni per evitare il carcere alle donne con prole inferiore ai 10 anni. L'analisi della normativa e delle sentenze
Le norme per evitare che i bambini seguano le madri in carcere

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Premessa: il carcere per le madri

L’art. 47 quinquies delle legge sull’ordinamento penitenziario dispone: “Quando non ricorrono le condizioni di cui all’art. 47 ter, le condannate madri di prole non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo, secondo le modalità di cui al comma 1 bis”.

La detenzione domiciliare speciale prevista da questa norma si configura come una misura alternativa volta a ripristinare la convivenza con i figli di età non superiore a 10 anni, sempre che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e quando non ricorrano le condizioni per l’applicazione di una misura alternativa quale la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario.

La norma fu introdotta nel nostro ordinamento con la Legge n. 40 del 2001 con il titolo “detenzione domiciliare speciale”.

In questa misura non solo è presente, come in tutte le previsioni di misure alternative, la finalità di reinserimento sociale del condannato, ma assume un rilievo del tutto prioritario l’interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera età, ad instaurare un rapporto quanto più possibile nomale con la madre e con il padre in una fase nevralgica del suo sviluppo.

Al centro della tutela apprestata dalla norma viene collocato quindi, non solo il diritto alla rieducazione del condannato, ma soprattutto l’interesse esterno ed eterogeneo ad un corretto sviluppo del minore estraneo e distinto dal condannato che vede ricadere su se stesso gli effetti negativi della condotta del condannato ascendente.

 


2. La eliminazione di tutti gli automatismi ostativi alla concessione di misure alternative per le detenute madri nella Giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana

Negli anni la Giurisprudenza della Consulta è intervenuta su questa norma e su altre norme dell’ordinamento penitenziario, al fine di eliminare gli automatismi previsti nel tempo dal legislatore attento, purtroppo, a rendere più impervio il percorso verso le misure alternative e a rendere inapplicabili i benefici a certe persone condannate per un certo tipo di reati.

La sentenza n. 234 del 22.10.2014 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 47 quinquies nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari la misura della detenzione domiciliare speciale, sicché anche se il reato è “ostativo” e anche se la condannata non ha collaborato con la giustizia, può ottenere tale beneficio.

La stessa sentenza ha esteso la illegittimità costituzionale anche alla detenzione domiciliare ordinaria prevista dall’art. 47 ter comma 1) lett. a) e b) della legge 354/1975, onde evitare che una misura avente finalità identiche alla detenzione domiciliare speciale, ma riservata a soggetti che debbono espiare pene meno elevate, restasse assoggetta ad un trattamento deteriore.

In continuità con questa sentenza, tre anni dopo la Corte Costituzionale con sentenza n. 76 dell’8.03.2017 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 1 bis della legge 354/1975 con riferimento alle parole

Tanto in quanto la norma censurata escludeva in assoluto dall’accesso all’istituto primariamente volto alla salvaguardia del rapporto con il minore in tenera età le madri accomunate dall’aver subito una condanna per uno dei delitti indicati nell’art. 4 bis.

Pertanto l’interesse del minore prevale anche sulla presunzione di pericolosità del reo presunta dalla violazione di uno dei reati (per la verità complesso, eterogeneo, stratificato e di diseguale gravità) previsto dalla norma dell’art. 4 bis o.p..

Di recente la sentenza n. 18 del 15.01.2020 è intervenuta ancora sulla norma in commento, sanzionandone la illegittimità nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madri di figli affetti da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3 legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate).

La Consulta con questa ultima sentenza ha stabilito che il limite di età dei dieci anni previsto dalla disposizione censurata per l’accesso alla detenzione domiciliare speciale della condannata madre contrasta quando si tratti di figlio gravemente disabile, con i principi di eguaglianza e di protezione e pieno sviluppo dei soggetti deboli, unitamente a quello di tutela della maternità, cioè del legame tra madre e figlio che non si esaurisce dopo le prime fasi di vita del bambino.

Anche tale intervento si inserisce nel solco di rafforzare la tutela e l’interesse del figlio estraneo alla pena della madre ma suo malgrado compartecipe della afflittività della pena inflitta alla genitrice.

 


3. Le previsioni normative per evitare il carcere alle donne ed ai loro figli

 

 

3.1.    Previsioni cautelari. Prima della condanna definitiva

Allorché debba essere disposta una misura cautelare nei confronti di una donna incinta o madre con prole di età non superiore a sei anni in fase cautelare, il legislatore ha previsto l’applicazione della seguente norma:

•    275 comma 4 c.p.p.: “Quando imputati siano una donna incinta o madre con prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di particolare rilevanza”.

La misura degli arresti domiciliari è così disciplinata nel rito penale:
•    284 c.p.p. I comma: “con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta”.

La Legge n. 62 del 21 aprile 2011 ha poi introdotto la figura degli istituti a custodia attenuata per detenute madri.

Pertanto nel codice di rito penale è stato introdotto l’art. 285 bis c.p.p.  che prescrive “nelle ipotesi di cui all’art. 275 comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano”.

La possibilità di applicazione di misure attenuate è comunque subordinata all’assenza di situazioni cautelari di eccezionale gravità.

 

 


3.2. Previsioni penitenziarie. Successive alla condanna definitiva

In sintesi, allora, le misure alternative alla detenzione per le persone condannate di genere femminile, previste dal nostro ordinamento, sono le seguenti:

a)    L’affidamento in prova al servizio sociale. L’art. 47 ord. Pen. (L. 354/1975) prescrive: “Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare”.

b)    La detenzione domiciliare. L’art. 47 ter ord. Pen. (L.354/1975) comma 1, recita “La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di assistenza o accoglienza ovvero, nell’ipotesi di cui alla lettera a) in case famiglia protette quando trattasi di:
1.    Donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni 10 con lei convivente;
2.    Padre esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole
;

c)    La detenzione domiciliare speciale. L’art. 47 quinquies dell’o.p. (Legge n 354/1975) prevede la detenzione domiciliare speciale.

La norma, come scritto sopra, contiene la previsione per le madri con prole inferiore ad anni 10 o con prole superiore ad anni 10 affetta da grave handicap, della possibilità di espiare la pena in un luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza.

Il comma 1 bis poi prevede l’espiazione di un terzo della pena o dei primi 15 anni della pena dell’ergastolo possa avvenire, per le detenute madri, presso un istituto a custodia attenuata.

Altre misure sono state introdotte sempre dalla legge 62/2011 e volte a favorire, in casi assolutamente particolari e gravi, il rapporto tra madre detenuta e figlio.

E’ stato, infatti, introdotto nella legge sull’ordinamento penitenziario l’art. 21 bis dal titolo “Assistenza all’esterno di figli minori”. Detta norma recita “Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ad anni dieci, alle condizioni previste dall’art. 21”.
“Si applicano le disposizioni relative al lavoro all’esterno, in particolare l’art. 21, in quanto compatibili”
La misura dell’assistenza all’esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”

Inoltre, è stato introdotto l’art. 21 ter ord. pen. che prevede le visite della madre detenuta al minore infermo o al figlio, al coniuge o convivente affetto da handicap in situazione di gravità.

 


4. Gli ostacoli al divieto di carcerazione dei bambini. Gli arresti giurisprudenziali più garantisti

L’ordinamento ha apprestato tutta una seri di rimedi atti ad evitare il fenomeno spiacevole e deleterio della “cancerizzazione della infanzia”.

Gli ostacoli possono essere rappresentati dalla “esigenze di particolare gravità” nella fase cautelare, e il “concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti” nella fase della esecuzione della pena.

Di recente sono da segnalare due sentenze della Cassazione in direzione garantista, la prima per la fase cautelare, la seconda per quella di esecuzione della pena.

La prima sentenza è della Prima sezione penale della Cassazione (la n. 47861 del 3.10.2012) riguardava proprio il caso di una donna che aveva pianificato, insieme a dei complici, la uccisione di un uomo, e che poi era stata scoperta e fermata prima del delitto grazie alla confessione di uno dei correi effettuata poco prima che iniziasse l’opera di attuazione del piano criminale.

Detta sentenza ha stabilito detto principio: “La eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari richiesta dall’art. 275 comma 4 c.p.p. per disporre o mantenere, nei confronti di madre di bambino in tenera età con lei convivente, la misura della custodia cautelare in carcere, nell’ipotesi in cui la misura custodiale sia stata applicata ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p. sussiste se il concreto pericolo di commissione di gravi delitti della stessa specie di quelli per cui si procede sia elevatissimo, così da permettere una prognosi di sostanziale certezza in ordine al fatto che l’indagata, se sottoposta a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continuerebbe a commettere i predetti delitti”.

La seconda sentenza è sempre della Prima sezione della Cassazione, la n. 920 del 25.5.20, che in riferimento al “concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti” che, esclude la possibilità di applicazione della detenzione domiciliare ha affermato ha annullato con rinvio la decisione del Giudice di Sorveglianza che aveva negato la possibilità di accesso al beneficio sul presupposto che le precedenti carcerazioni eseguite in regime alternativo si erano dimostrate prive di efficacia deterrente.

Entrambe le pronunce sembrano ridurre le possibilità di custodia e di carcerazione delle madri di figli minori, a casi davvero eccezionali.


Avv. Filippo Castellaneta (www.avvocatocastellaneta.it)

 

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