Libertà personale e pene pecuniarie
1. Premessa
“Il procedimento di esecuzione della pena pecuniaria, è oggi ancor più farraginoso, prevedendo l’intervento in successione, dell’ufficio del giudice dell’esecuzione, dell’agente della escussione, del pubblico ministero e del magistrato di sorveglianza”.
“A questi soggetti sono demandati plurimi adempimenti più o meno complessi che tuttavia non riescono ad assicurare né adeguati tassi di riscossione delle pene pecuniarie, né l’effettività della conversione delle pene pecuniarie non pagate”.
Queste parole sono state scritte dalla Corte Costituzionale con sentenza del 6 novembre 2019 n. 279 con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato la infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 238 bis DPR 115/2002 nella parte in cui consente darsi luogo alla conversione delle pene pecuniarie ove l’agente della riscossione non abbia svolto alcuna attività esecutiva nell’arco di 24 mesi, allorché il condannato ha comunque avuto comunicazione di provvedere al proprio obbligo a mezzo dell’avviso di pagamento.
La procedura, in effetti, non è delle più lineari e le competenze si sovrappongono: come fare per sanare una pena pecuniaria non avendo la possibilità di farlo?
Prima di procedere a rispondere al quesito che molti condannati si pongono è opportuno fare una disamina dell’Istituto alla luce degli interventi della Corte Costituzionale che hanno avuto il pregio di mettere un po’ di chiarezza nella materia.
2. Gli interventi della Corte Costituzionale
Già con la sentenza n. 131 del 21 novembre 1979 aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’automatica conversione delle pene pecuniarie in detentive ritenendo, in sostanza, che la menzionata norma da un lato contraddiceva il principio del finalismo rieducativo della pena, principio che ha portato ad una riduzione delle brevi pene detentive con le pene pecuniarie; e da un latro alto, che la norma ledeva il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro condizioni economiche in quanto portava al carcere cittadini che per ragioni di indigenza economica non erano in grado di pagare le pene della multa o dell’ammenda.
Nel 1981 viene approvata la legge n. 689 dal titolo “depenalizzazione e modifiche al sistema penale” che contiene sistematici provvedimenti in materia di depenalizzazione di reati, di sostituzione di pene detentive brevi e di snellimento delle procedure per il pagamento delle importanti e di snellimento delle procedure di pagamento.
L’art. 102 della legge 689 prevedeva che la pena della multa e dell’ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato si convertono nella libertà controllata per un periodo massimo di un anno (multa) e sei mesi (ammenda).
La stessa norma prevedeva la possibilità di convertire la in lavoro sostitutivo la pena pecuniario soltanto nella ipotesi in cui la pena non fosse superiore ad € 516,00.
Anche in questo caso intervenne la Corte Costituzionale con la sentenza n. 206 del 21 giugno 1996 e dichiarò la illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non consente che il lavoro sostitutivo, a richiesta del condannato, sia concesso anche nel caso in cui la pena pecuniaria sia superiore ad un milione (ora € 516;00).
Sempre la norma dell’art. 102 legge 689/81 prevedeva che il “ragguaglio” ha luogo calcolando € 12,00 o frazione di € 12,00 (venticinquemila lire) di pena pecuniaria per ogni giorno di libertà controllata ed € 25,00 o frazione di € 25,00 per un giorno di lavoro sostitutivo.
La Corte Costituzionale, già con sentenza n. 440 del 23 dicembre 1994 dichiarava la illegittimità costituzionale di questa norma, nella parte in cui stabiliva che, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato il ragguaglio avveniva calcolando € 12,00 e non € 38,00per ogni giorno di libertà controllata.
Tanto in quanto la legge 402 del 1993 aveva modificato l’art. 135 c.p. aumentando il ragguaglio a lire 75.000 mila per ogni giorno di pena detentiva.
Successivamente il medesimo art. 135 c.p. venne nuovamente modificato dalla legge n. 94 del 2009 e l’attuale formulazione è al seguente: “Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando € 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva”.
Poiché la legge n. 94 del 2009, prevedendo l’aumento del ragguaglio, non aveva altresì previsto di adeguare gli importi previsti dall’art. 102 legge 689/81, la Consulta è dovuta nuovamente intervenire per provvedere all’allineamento delle disposizioni in mancanza di una volontà legislative in senso contrario.
Con sentenza n. 1 del 9 gennaio 2012 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 102 terzo comma L. 689/1981 nella parte in cui stabilisce che, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando € 38, o frazione di € 38, anziché e 250, o frazione di € 250, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata.
Tale intervento ha permesso di evitare che una fattispecie meno grave ricevesse un trattamento nettamente più sfavorevole di una fattispecie più grave atteso che gli articoli 53 e 57 terzo comma della legge 689/1981, in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, prevedono che un giorno di pena detentiva è suscettibile di essere sostituito con due giorni di libertà controllata, mentre € 250,00 di pena pecuniaria si convertivano in 7 giorni di libertà controllata.
3. Il sistema vigente: come eliminare la pena pecuniaria
Quanto sopra descritto permette di ritenere vigenti i seguenti principi:
1. Il mancato pagamento della pena pecuniaria della multa o dell’ammenda non comporta l’applicazione di una pena detentiva;
2. Il condannato che non ha capacità economiche per versare l’importo della multa o dell’ammenda può chiedere la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata o in lavori sostitutivi;
3. Il condannato che ha ridotte capacità economiche più chiedere la rateizzazione del pagamento della multa o dell’ammenda;
4. Competente a decidere sulla richiesta di conversione della pena pecuniaria è il Magistrato di Sorveglianza.
Cosa deve fare pertanto una persona condannata che non abbia la possibilità di versare l’importo della pena pecuniaria di cui alla sentenza di condanna?
Va ricordato che il Pubblico Ministero agisce per la esecuzione della pena pecuniaria e quindi dopo l’irrevocabilità della sentenza gli atti vengono rimessi all’Ente incaricato per la riscossione.
L’Ente procede alla iscrizione a ruolo delle somme dovute e richiede il pagamento.
In caso di mancato adempimento spontaneo del condannato l’ente promuove l’esecuzione forzata. In caso di esito negativo delle procedure esecutive, l’ente restituisce gli atti all’ufficio recupero crediti che provvederà ad investire il Pubblico Ministero al quale spetta il potere di chiedere al Magistrato di Sorveglianza competente per territorio, la conversione.
Il Magistrato di Sorveglianza, a sua volta, provvede all’accertamento della effettiva insolvibilità del condannato chiedendo le necessarie informazioni all’UEPE, alla Guardia di Finanza ed agli Uffici finanziari.
Tre sono le ipotesi possibili:
1. Accertata insolvibilità del condannato: si procede alla conversione della pene pecuniaria in libertà controllata, oppure, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo;
2. Accertata la difficoltà economica transitoria del condannato si dispone la rateizzazione;
3. Accertata la solvibilità del condannato si dispone la restituzione degli atti al Pubblico Ministero perché dia impulso al procedimento di riscossione coattiva.
La persona condannata, se versa in stato di insolvibilità può proporre istanza al Magistrato di Sorveglianza per chiedere la conversione e quindi in tal caso il Magistrato procederà agli accertamenti di cui sopra.
La ragione che può indurre la persona condannata ad anticipare le iniziative del Pubblico Ministero può essere di ordine pratico: eliminare le pendenze in corso con l’Agenzia delle Entrate che potrebbero impedirgli una piena facoltà di movimento e impedirgli la concessione del passaporto.
Infatti, l’Agenzia delle Entrate riscossione non blocca i cittadini all’espatrio ma a seguito del processo penale nel quale è stata comminata una multa o una ammenda potrebbe attuare un limite all’espatrio attraverso il mancato rilascio dei documenti (passaporto) per effettuare il viaggio.
Da ricordare infine che l’autorità che sta procedendo all’esecuzione della sentenza può, a richiesta dell’interessato rilasciare idoneo “nulla osta” per ottenere il passaporto.
Pertanto è sempre garantita la possibilità per ogni persona anche se condannata al pagamento di pene pecuniarie non ancora versate, o per le quali non è stata ancora disposta la conversione, di indicare al Magistrato specifici motivi per ottenere il “nulla osta” al passaporto pur in pendenza di situazioni di carattere penale ancora aperte.
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