Tutela della libertà personale e contestazioni a catena
Tutela della libertà personale: contestazioni a catena. Cosa sono.
1. La custodia cautelare e i termini di durata della misura
L’ordinanza che dispone la custodia cautelare, su richiesta del PM, deve contenere ai sensi dell’art. 292 lett. c), “l’esposizione ed autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato”.
Il presupposto della attualità della esigenze di cautelari è presupposto indefettibile della ordinanza cautelare tant’è che è richiamato espressamente tra i requisiti previsti dall’art. 292.
Ai sensi dell’art. 13 della Costituzione la libertà personale è inviolabile e ogni forma di detenzione o di restrizione della libertà personale può essere disposta solo con atto “motivato” dell’autorità giudiziaria e nei casi e nei modi previsti dalla legge.
La legge, nel codice di procedura penale, stabilisce la procedura penale, stabilisce il procedimento applicativo della misura cautelare ed i requisiti che deve contenere la ordinanza del Giudice.
L’art. 297 del c.p.p. stabilisce che gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo.
Gli effetti delle altre misure (divieto di espatrio, divieto ed obbligo di dimora, allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, e altre misure interdittive) decorrono dal momento in cui l’ordinanza che le dispone è notificata.
Nella ipotesi in cui nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze, i termini decorrono dal giorno in cui è stata emessa o seguita la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave così come dispone l’art. 297 comma 3 c.p.p.
La custodia cautelare perde efficacia quando sono scaduti i “termini di durata massima della custodia cautelare” disciplinati dall’art. 303 c.p.p. a seconda delle fasi in cui si trova il processo rispetto alla data di inizio della custodia e, successivamente dal procedere delle single fasi del procedimento.
I detti termini sono cadenzati a seconda della gravità del reato.
L’art. 303 comma 4 prevede la durata complessiva della custodia cautelare considerate anche le proroghe previste dall’art. 305 che, per l’appunto disciplina i casi in cui i termini di custodia cautelare sono prorogati per l’importante compimento di atti di indagine quali ad esempio una perizia.
2. Le contestazioni a catena
La norma di riferimento è l’art. 297 c.p.p.
Può accadere che nei confronti della stessa persona vengano emesse più ordinanze che dispongono la misura cautelare.
In questo caso si correrebbe il rischio di sommare i termini di custodia e di produrre come effetto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2012, ha chiarito l’istituto delle contestazioni a catena tende ad evitare che, rispetto ad una custodia cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione, determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura.
Occorrono allora parametri certi e predeterminati al fine di configurare limiti obiettivi ed ineludibili alla durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale.
L’obiettivo è quello di evitare il rischio di una espansione potenzialmente indefinita della restrizione complessiva della libertà personale.
A questo proposito l’art. 297 prevede che la disciplina suddetta si applica nei seguenti casi:
1. Se sono state emesse due o più ordinanze cautelari nei confronti della stessa persona;
2. Se la contestazione riguarda lo stesso fatto benché diversamente circostanziato e qualificato;
3. Se la contestazione riguarda “fatti diversi” commessi anteriormente alla prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione in quanto commessi con una sola azione od omissione o con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso;
4. Se la contestazione riguarda “fatti diversi” commessi anteriormente alla prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione in quanto commessi per eseguire occultare altri reati.
Ulteriore requisito per l’applicazione della disposizione è quello per il quale i fatti di cui all’ordinanza successiva non sono desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto per il quale vi è connessione.
La nozione di “desumibilità dagli atti” con riguardo al procedimento in seno al quale è stata emessa una precedente ordinanza custodiale, riguarda non solo il fatto reato oggetto della ordinanza custodiale successiva, ma anche il complesso probatorio che ha consentito l’emissione di tale successiva ordinanza, con riferimento tanto ai gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato quanto alle esigenze cautelari che hanno giustificato l’emissione della misura.
La regola della retrodatazione dei termini di durata delle misure cautelari trova applicazione anche quando una prima ordinanza abbia disposto gli arresti domiciliari e una seconda la custodia cautelare.
3. Onere della prova, procedimento e competenza
In tema di contestazione a catena, è onere della parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, provare la desumibilità dagli atti del primo procedimento del fatto di reato oggetto della ordinanza successiva.
Ossia la parte, ai fini della desumibilità del fatto di cui alla seconda ordinanza, deve provare il deposito, all’interno del procedimento nel quale è stata emessa la prima ordinanza e al momento della emissione della stessa, dell’informativa finale della polizia giudiziaria, contenente il compendio dei risultati investigativi, ovvero di elementi desunti dalla Polizia Giudiziaria rispetto alle quali la successiva informativa ed il successivo compendio indiziario non presentino profili di novità.
Il difensore, quindi, deve farsi promotore della richiesta e della relativa decisiva allegazione: la difesa tecnica può desumere dagli atti la esistenza delle condizioni per ottenere la retrodatazione dei termini di custodia cautelare.
L’istanza va presentata la Giudice titolare del procedimento o anche, in sede di riesame, ed a determinate condizioni, al Tribunale del Riesame.
Sul punto si è pronunciato il massimo consesso nomofilattico, con la sentenza 45246 del 19.7.2012.
La questione sottoposta alle SS.UU. della Cassazione in quella occasione era la seguente: “se, nel caso di contestazione a catena, la questione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare possa essere dedotta nel procedimento di riesame oppure soltanto con l’istanza di revoca ex art. 299 c.p.p.”.
La sentenza n. 45246 dopo una attenta disamina e alla fine di un excursus storico delle pronunce che hanno posto principi ineludibili in tema di estinzione delle misure cautelari, ha affermato che in tema di contestazione a catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare;
b) desumibilità dall’ordinanza cautelare applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva.
Ove, invece, si tratti di un evento intervenuto tra l’emissione della ordinanza e la decisione del Tribunale del Riesame, l’avvocato dovrà presentare una richiesta di revoca ai sensi dell’art. 299 comma 3.
In caso di rigetto di detta richiesta sarà sempre possibile il ricorso in sede di appello cautelare al Tribunale del Riesame al fine di assicura altro principio ineludibile che è quello della esigenza di rapida definizione delle decisioni in materia di libertà personale.
Avv. Filippo Castellaneta
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