Maltrattamenti e stalking, il percorso giusto per evitare il carcere

La sospensione condizionale della pena dopo il codice rosso
1. La sospensione condizionale della pena
L'art. 163 del codice penale stabilisce che il giudice nel pronunciare la sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore ad anni due, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'art. 135 c.p. (€ 250,00 al giorno), sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo, non superiore, nel complesso a due anni, può ordinare che la esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni.
L'art. 165 c.p. già stabiliva che il giudice poteva subordinare la sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata quale risarcimento del danno, alla pubblicazione della sentenza di condanna, ovvero alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato o anche alla prestazione di attività non retribuite a favore della collettività.
La legge 19 luglio 2019, la n. 69/2019, meglio conosciuta come "codice rosso", ha introdotto un nuovo quinto comma che stabilisce: "Nei casi di condanna per i delitti di cui agli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis, nonché agli articoli 582 e 582 quinquies, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma numeri 2,5 e 5.1 e 577 primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati".
Pertanto, la sospensione della pena è necessariamente subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero per tutti i seguenti reati:
1) Maltrattamenti in famiglia;
2) Violenza sessuale;
3) Atti sessuali con minorenne;
4) Corruzione di minorenne;
5) Violenza sessuale di gruppo;
6) Atti persecutori;
7) Deformazione dell'aspetto di una persona mediante lesioni permanenti al viso commesso ai danni dell'ascendente o discendente, o della persona offesa dei reati di maltrattamenti, violenza sessuale ed atti persecutori, nonché contro il coniuge anche legalmente separato, contro l'altra parte dell'unione civile o contro il convivente, o contro il fratello o la sorella, o contro l'adottante o adottato, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo o contro un affine in linea retta.
2. La illusione del recupero. La ennesima scelta carcerocentrica del legislatore
Il legislatore del codice rosso è intervenuto in maniera pesante ed in direzione univoca: aumentare le pene, chiudere le prospettive di sospensione delle stesse e rendere difficoltosi i percorsi riabilitativi, in spregio ai dettami Costituzionali (art. 27 Cost.), che declamano il principio della pena "tendente" alla rieducazione.
Infatti:
a) E' fuor di dubbio che la nuova previsione dell'art. 165 comma 5 pone un obbligo al giudice e non una facoltà: subordinare la sospensione condizionale della pena all'assegnazione del condannato ai predetti percorsi di recupero;
b) Il reato di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al volto prevede una pena minima di anni 8, aumentabile ai sensi dell'art. 585 c.p. e, quindi, rende quasi impossibile la possibilità di giungere ad una pena finale di anni 2 (raggiungibile forse soltanto con la applicazione di più attenuanti e col riconoscimento del vizio parziale di mente e di riduzione per il rito scelto);
c) Il reato di maltrattamenti ora, ha una previsione di pena minima edittale di anni 3, il reato di violenza sessuale non aggravata prevede una pena minima di anni 6: difficile anche in questi casi arrivare a pene finali che possano essere sospese;
d) Il reato di atti persecutori ha, invece, una pena base di anni 1 e mesi 6: più probabile in questi casi l'applicazione della sospensione;
e) La norma dell'art. 275 comma 2 bis c.p.p. prevede la inapplicabilità della custodia cautelare in carcere o domiciliare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere applicata la sospensione della pena non si applica ai reati di cui agli articoli 572 e 612 bis c.p.;
f) La norma dell'art. 275 comma 2 bis c.p.p. che prevede il divieto di custodia cautelare in carcere se il giudice, ritiene che all'esito del giudizio la pena irrogata non sarà superiore a tre anni non si applica ai reati cui agli artt. 572 e 612 bis c.p.;
g) La previsione della "partecipazione a percorsi di recupero" idonea a sospendere la pena detentiva appare generica e priva di addentellati concreti.
Da questa serie di norme di ultimo conio appare evidente che la persona accusata di maltrattamenti o atti persecutori, sottoposta alla custodia cautelare in carcere o domiciliare, abbia poche possibilità di sfuggire prima alla custodia e poi di ottenere, in caso di condanna, una pena sospesa, sia per i minimi edittali alti del trattamento sanzionatorio, sia per le difficoltà di individuare un valido percorso di recupero e soprattutto un Ente o un'Associazione capace di assicurare assistenza psicologica e recupero a soggetti condannati per tale tipo di reati.
3. Le problematiche applicative dell'istituto della pena sospesa condizionata alla partecipazione ad un percorso di recupero
La previsione legislativa, seppure meritevole di considerazione, in astratto, perché, anche se genericamente, si inserisce nel solco delle tematiche culturali e giuridiche volte a recuperare e non solo a "punire" la persona condannata, in ossequio ai dettami della Costituzione e dell'ordinamento penitenziario, tuttavia appare di problematica attuazione per questi motivi:
a) Oggettiva difficoltà per il Giudicante di reperire Enti o Associazioni che possano imporre al condannato un percorso riabilitativo e tanto perché sono ancora poche sul territorio le associazioni che assicurano una consulenza e poi un "trattamento" anche ai soggetti imputati o condannati per stalking o maltrattamenti (l’associazione "Psicologi di strada" è una delle poche così organizzate (stalkingpsicologodistrada@gmail.com);
b) Oggettiva difficoltà per il Giudicante di coniugare l'attività di giudizio con le previsioni successive alla emanazione della sentenza ed alla sua successiva "esecutività": compito questo affidato alla Magistratura di Sorveglianza);
c) L'assenza di previsioni di spesa nell'ottica di un recupero imposto dal Giudice: l'art.6 della legge 19 luglio 2019 n. 69 al primo comma stabilisce: le modifiche sopra evidenziate e quindi, al secondo comma, prevede: “Dall’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli oneri derivanti dalla partecipazione ai corsi di recupero di cui all'art. 165 c.p., come modificato dal comma 1, sono a carico del condannato". Difficile che un non abbiente, ad esempio, possa permettersi questi costi.
4. La soluzione possibile: difensore consapevole e sinergicamente attrezzato
Il difensore di imputati accusati dei reati di maltrattamenti, atti persecutori o violenza sessuale, per cui vi è obbligo di "percorsi di recupero" ai sensi dell'art. 165 c.p., non deve cambiare il proprio ruolo, sempre attento alle esigenze difensive, ma modificarlo in previsione degli sviluppi processuali.
Quindi:
a) Impostare la strategia difensiva a seconda che vi siano possibilità di ottenere l'assoluzione ma prevedendo la ipotesi di eventuale condanna;
b) Avvalersi di esperti in psicologia per verificare la sussistenza di patologie psichiche conclamate sulla persona dell'imputato;
c) Stabilire, sempre con l'aiuto dello psicologo, se il proprio cliente ha:
- una devianza radicata in una patologia psichiatrica;
- una devianza che provochi solo anomalie della personalità;
- una devianza di carattere "culturale" consistente in una forma di discostamento da modelli culturali ispirati alla parità di genere;
d) prevedere, in caso di evidenza della prova a carico, la possibilità della condanna e quindi avviare già il cliente a effettuare colloqui psicologici volti al recupero e, ove possibile, avviare, prima della sentenza, il cliente a intraprendere il periodo di trattamento individuando Enti o Associazioni disponibili;
e) chiedere al Giudice, di assegnare, in caso di condanna, un congruo termine, ai sensi dell'art. 165 comma 6, per adempiere agli obblighi. Infatti tale norma stabilisce che: "Il giudice nella sentenza stabilisce il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti".
In definitiva l'avvocato deve coadiuvarsi con esperti del settore psicologico per trovare le soluzioni più congrue per evitare il carcere ed ottenere la pena sospesa, nell'interesse esclusivo delle sorti giudiziali ma anche extra giudiziali della persona che a Lui si è affidato.
Una attenta sinergia tra aspetti giuridici e aspetti psicologici del caso e della persona sottoposta a processo, è la strada percorribile per evitare sanzioni carcerarie infruttuose dal punto di vista rieducativo.
Avv. Filippo Castellaneta (www.avvocatocastellaneta.it)
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