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Contraddittorio obbligatorio anche per il registro


La CTR di Potenza pone al vaglio il contraddittorio endoprocedimentale negli accertamenti di registro affermandone la necessarietà
Contraddittorio obbligatorio anche per il registro
La Commissione Tributaria Regionale di Potenza affronta la problematica dell'applicabilità del contraddittorio endoprocedimentale al comparto delle imposte indirette e, con la sentenza n. 260/2/2015, ne afferma l’obbligatorietà.
La questione controversa, alla base della menzionata decisione, prende le mosse dalla qualificazione, ai fini delle imposte ipocatastali, di un operazione di scissione (parziale e proporzionale) seguita dalla stipulazione di un patto di famiglia i cui effetti hanno comportato la definizione di un assetto societario composto da due società unipersonali (ciascuna delle quali proprietaria di un distinto compendio immobiliare). L’Amministrazione Finanziaria contesta la elusività del complesso di operazioni di riorganizzazione societaria in quanto, ritenuta l’assenza di valide ragioni economiche, assume l’effetto dell’operazione equivalente ad un assegnazione di beni ai soci e, dunque, assume illegittimamente risparmiate le imposte ipotecarie e catastali sul trasferimento alle persone fisiche dei beni immobili. I giudici di prime cure, rilevando come l’Ufficio abbia proceduto ad una rettifica fondata sull’art. 20 del D.p.r. 131/1986 ed intesa a riqualificare l’atto negoziale posto in essere dalle parti, assumono la natura giuridica "antielusiva" della norma menzionata. Rilevata la struttura dell’art. 20 del D.p.r. 131/1986 come norma intesa a riqualificare gli effetti giuridici (e non mai economici) dei negozi oggetto di registrazione (pur collegati tra loro) e, pertanto, intesa a contrastare comportamenti elusivi dei contribuenti (e, pertanto, finalizzati ad un mero risparmio fiscale in assenza di valide ragioni economiche), i giudici di prime cure inferiscono come i presidi di tutela del contribuente, individuati nella instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, debbano essere applicati al comparto delle imposte indirette in forza di specifica previsione normativa. In tal senso, difatti, i giudici di prime cure rilevano come l’art. 53-bis del D.p.r. 131/1986 estenda la disciplina procedimentale disposta per le imposte dirette alla rettifica di registro. Per l’effetto, risulterebbe direttamente applicabile l’art. 37-bis del D.p.r. 600/1973 alle rettifiche antielusive in tema di imposta di registro, ipotecaria e catastale, in forza di espressa disposizione di legge e, conseguentemente, il presidio di garanzia del contribuente, individuabile nell’obbligatorio contraddittorio endoprocedimentale, risulta applicabile alle rettifiche in tema di registro. Ulteriormente, i giudici di prime cure rilevano come la disciplina dell’abuso di diritto consegua alla sussistenza di un principio immanente all’ordinamento tributario e, per l’effetto, l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale riveste l’eguale carattere di principio immanente all’ordinamento. In forza di tale constatazione (e assunta la natura di principio immanente nell’ordinamento dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale nelle rettifica intese a contestare l’abuso del diritto) i giudici di prime cure pervengono alla ulteriore affermazione della immanenza dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale per le rettifiche intese a contestare l’abuso del diritto in tema di imposta di registro: tale affermazione è argomentata dai giudici di primo grado sulla irragionevolezza di un trattamento diseguale (in riferimento ai singoli comparti impositivi) di un procedimento di rettifica che assume carattere unitario e finalizzato alla contestazione antielusiva di comportamenti negoziali del contribuente.
Sul punto, l’Ufficio propone appello sostenendo una lettura dei principi enunciati tesa ad affermare il trattamento diseguale della disciplina antielusiva ai fini della rettifica delle imposte dirette e delle imposte indirette.
La Commissione Tributaria Regionale di Potenza afferma la correttezza dell’impostazione dei giudici di prime cure nella misura in cui ritengono che una rettifica intesa a rilevare il comportamento abusivo del contribuente e finalizzata, dunque, ad un’accertamento di un vantaggio fiscale indebito non possa che essere sostenuta dall’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in quanto principio immanente all’ordinamento tributario, indipendentemente dal comparto impositivo analizzato.
A sostegno della decisione, i giudici territoriali ribadiscono che l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, nell’ambito dell’accertamento dell’imposta di registro, consegue da un duplice ordine di ragioni.
In primis, appare dirimente rilevare come, in via generale, il contraddittorio endoprocedimentale sia stato elevato a principio generale dell’ordinamento tributario. Il diritto al contraddittorio endoprocedimentale rappresenta, dunque, principio generale dell’ordinamento Europeo, direttamente applicabile nell’ambito dei tributi armonizzati e non recessivo rispetto ad ulteriori principi pur di natura unionale (ad esempio il principio di abuso del diritto). Statuisce, sul punto, la Corte di giustizia Europea (Corte di giustizia UE, Sez. II, Sent. 18 dicembre 2008, causa C-349/07): "36. Orbene, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo".
Tuttavia, non può sostenersi la sussistenza del diritto al contraddittorio endoprocedimentale unicamente quale principio afferente l’ordinamento Europeo (e, dunque, limitarne l’efficacia precettiva alle materie di competenza unionale). Al contrario, la Suprema Corte ha, da ultimo, ribadito la sussistenza, quale principio immanente all’ordinamento tributario nazionale, del generale principio di obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale. In tal senso e con portata decisamente innovative, si richiama Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 18-09-2014, n. 19667:
"15.2.2. Conclude la Corte che in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l'amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni. Tale obbligo, ad avviso della Corte, incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, quand'anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità".
Conseguentemente, in forza del principio di diritto rappresentante l’approdo più recente della giurisprudenza di legittimità, il diritto al contraddittorio endoprocedimentale rappresenta principio immanente all’ordinamento tributario nazionale, indipendentemente dalla previsione espressa di detto principio da parte di norme positive interne ai singoli comparti d’imposta. L’approdo della Suprema Corte rappresenta l’esito di un percorso che ha inteso distaccarsi dall’interpretazione della esclusione dei principi partecipativi alla materia tributaria, affermando, per singoli istituti accertativi (dapprima gli studi di settore, successivamente le rettifiche di natura sintetica e le rettifiche derivanti da accesi) la rilevanza dei principi del contraddittorio endoprocedimentale.
Tale previsione, che eleva l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale a principio generale dell’ordinamento nazionale quale attuazione del diritto di difesa preventive alla emanazione di atti incidenti sulla posizione giuridica soggettiva del contribuente, consegue alla procedimentalizzazione del contraddittorio all’interno dello Statuto del contribuente. Al fine di una compiuta disamina, si evidenzia, dapprima, necessario analizzare la corretta qualificazione giuridica dei precetti normativi contenuti nella L. 212/2000. Il primo elemento teso a determinare la richiamata qualificazione ermeneutica si rinviene nel tenore letterale della norma, enunciante i principi generali della L. 212/2000 e contenuta nell’art. 1 della medesima disposizione normativa, che dispone: "1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali".
Conseguentemente, dalla mera analisi testuale della norma risulta evidente che i principi enunciati dalla L. 212/2000 sono elevati a principi generali dell’ordinamento tributario[1]. Tale qualificazione delle norme contenute nella L. 212/2000, che addirittura attribuisce alle medesime natura di norme sovraordinate e paracostituzionali, determina la qualificazione delle summenzionate norme, elevate dallo Statuto del Contribuente a principi generali dell’ordinamento, a principi dotati di forza normativa ed efficacia precettiva nei confronti dei soggetti del rapporto tributario.
Ad eliminare qualsiasi dubbio in ordine al valore normativo delle disposizioni Statutarie è intervenuta, chiaramente, la Suprema Corte[2]: "A queste specifiche "clausole rafforzative" di qualificazione delle disposizioni stesse deve essere attribuito, perciò, un preciso valore normativo ed interpretativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo statuto sia perché costituiscono "principi generali dell’ordinamento tributario".
Conseguentemente ed in forza delle riflessioni suesposte, si ribadisce l’assoluta precettività delle norme dello Statuto del Contribuente, tra cui nella fattispecie concreta l’obbligo di garantire il contraddittorio endoprocedimentale anteriormente alla notifica dell’avviso di accertamento, stabilito dall’art. 12 L. 212/2000.
Di poco rilievo, sul punto, la sussistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti sull’applicabilità del contraddittorio obbligatorio nelle fattispecie di rettifica che non trovano genesi in accessi (cd. accertamenti a tavolino) e, comunque, risulta rilevante sottolineare come la questione sia devoluta alla decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
Assunta, dunque, la centralità, all’interno dell’ordinamento interno e Comunitario, del diritto di difesa endoprocedimentale, si può sostenere che tale modalità di attuazione del diritto di difesa, in quanto corollario del principio del giusto processo, non può essere esclusa dal comparto dell’imposta di registro e, pertanto, deve essere affermata anche in riferimento all’art. 20 del D.p.r. 131/1986 ove si rilevi che, sebbene non espressamente statuito normativamente, il detto principio assume immanenza in qualità di principio generale dell’ordinamento tributario.
*****
Ulteriormente, con riferimento alla fattispecie in esame, emergono elementi ulteriori che sostengono la centralità del contraddittorio nel procedimento di rettifica esperito.
Difatti, la centralità del contraddittorio endoprocedimentale consegue alla qualificazione dell’art. 20 del D.p.r. 131/1986 e del procedimento di verifica fondato sulla medesima norma nell’alveo della normativa antielusiva. Difatti, la nota questione interpretativa sull’estensione della portata dell’art. 20 del D.p.r. 131/1986 è risolta dalla giurisprudenza di legittimità estendendo la possibilità di rettificare gli effetti giuridici in forza della valorizzazione di un concatenamento di atti ed, in tal senso, prescidendo dalla forma oggetto di registrazione dei singoli atti, valorizzare la portata antielusiva del collegamento negoziale.
In riferimento al procedimento di accertamento delle fattispecie antielusive, con riguardo al comparto delle imposte dirette, è il Legislatore che rende obbligatorio l’esperimento del contraddittorio endoprocedimentale.
Appare evidente che, volendo conferire un significato estensivo all’art. 20 D.p.r. 131/1986, la scansione procedimentale dell’accertamento antielusivo debba essere applicata nella sua interezza secondo il modello di cui all’art. 37-bis D.p.r. 600/1973 che impone il contraddittorio endoprocedimentale. La menzionata applicabilità del modello antielusivo è conseguenza della applicabilità, in forza del disposto di cui all’art. 53-bis D.p.r. 131/1986, delle modalità di accertamento di cui al D.p.r. 600/1973 in tema di imposte sui redditi. Logico precipitato di tale estensione è l’applicabilità analogica del disposto normativo di cui all’art. 37-bis D.p.r. 600/1973 all’ambito accertativo delle imposte indirette: tale applicabilità è conseguenza della struttura procedimentale della norma di accertamento che permette un’estensibilità analogica anche al di fuori dell’ambito sostanziale di riferimento. Ulteriormente, la lettura del combinato disposto dell’art. 20 D.p.r. 131/1986 e dell’art. 53-bis D.p.r. 131/1986 impone un’interpretazione che deponga per l’applicabilità obbligatoria, in sede di accertamento antielusivo, delle modalità procedimentali previste per le imposte dirette, in quanto una interpretazione differente esporrebbe ad una inevitabile censura di illegittimità costituzionale l’art. 53-bis D.p.r. 131/1986.
Le conclusioni a cui si perviene in tema di accertamento antielusivo sono assolutamente applicabili anche nell’ipotesi in cui si ritenga di attribuire alle modalità di accertamento esplicate dall’ufficio natura di attuazione del principio di abuso di diritto.
In tal senso, difatti, permane l’assoluta applicabilità analogica delle norme procedimentali dell’art. 37-bis D.p.r. 600/1973 in quanto norme strettamente procedimentali. A tali conclusioni è pervenuta la più autorevole Dottrina[3]:
"Logica, quindi, vorrebbe che, se il contrasto dell'elusione è generalmente applicabile proprio perché di natura costituzionale, identica fosse la procedimentalizzazione per tutti i tributi, diretti e indiretti, comunitari e nazionali, a pena di avere un «abuso » di prima serie e un «abuso » di serie minore, uno disciplinato e tutelato, a forma obbligata, e uno libero. Con la conseguenza che, nel momento in cui in ultima istanza si contestasse a un contribuente una scelta elusiva, costui potrebbe invocare l'insussistenza della pretesa perché azionata al di fuori e a prescindere dalle forme rigorose previste dall'art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e quindi con violazione del principio di uguaglianza. Lo si ripete: se il principio invocato è unico e unificato, unica deve essere la procedura di contestazione".

Ulteriormente, anche nella denegata e non creduta ipotesi in cui si volesse ritenere non applicabile in via analogica l’art. 37-bis del D.p.r. 600/1973 (seppur espressamente richiamata dal comparto impositivo in esame), si deve rilevare come la mera qualificazione della norma in esame come "anti-abusiva" determina l’applicabilità del correlato principio di obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale.
Difatti, la Suprema Corte non ha dubbi nella qualificazione dell’art. 20 del D.p.r. 131/1986, per come utilizzato dall’Ufficio, come norma intesa a contrastare gli effetti elusivi di un comportamento negoziale (sul punto Cass. 14900/2001).
Pertanto, anche qualora si intendano non espressamente richiamate le norme di cui all’art. 37-bis del D.p.r. 600/1973, è insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità ammettere l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale per tutte le norme anti-abusive, seppur non riconducibili al novero delle fattispecie elencate dall’art. 37-bis del D.p.r. 600/1973.
Sul tema si richiama, da ultimo, la sentenza n. 406 del 2015 della Suprema Corte di Cassazione.
La sentenza esamina il problema della sorte dell’avviso di accertamento che rechi una contestazione di abuso del diritto c.d. non codificato, ossia non rientrante nell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973. Il primo contenuto - ammirevole - della sentenza, è che essa afferma a chiare lettere come la garanzia del contraddittorio, espressamente prevista per l’ipotesi codificata, non può cancellarsi per l’abuso di creazione giurisprudenziale.
La sentenza n. 406/2015 della Corte di Cassazione, dunque, esamina il problema della sorte dell’avviso di accertamento che rechi una contestazione di abuso del diritto c.d. non codificato (non rientrante nell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973) ed afferma, a chiare lettere, che la garanzia del contraddittorio, espressamente prevista per la ipotesi codificata, non può cancellarsi per l’abuso di creazione giurisprudenziale.
Pertanto, tale ultimo principio di diritto risulta idoneo ad eliminare qualsiasi residuo dubbio sul contraddittorio endoprocedimentale applicato all’imposta di registro in considerazione del fatto che, anche dubitando dell’applicabilità diretta dell’art. 37-bis, D.P.R. n. 600/1973, non può revocarsi in dubbio che la norma di cui all’art. 20 del D.p.r. 131/1986 sia da ricondurre alle norme "antielusive"; è altrettanto indubbio che in tali casi, anche se non codificati, risulti immanente l’obbligo del contraddittorio endiprocedimentale.
Pertanto, non appare revocabile in dubbio che anche nelle fattispecie contestate ai sensi dell’art. 20 del D.p.r. 131/1986 debba applicarsi il principio della obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale preventivo in quanto immanente all’ordinamento tributario nazionale ed al più specifico comparto delle contestazioni antielusive.
La unitarietà delle rettifiche antielusive è ribadita, da ultimo, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 132/2015 che affronta la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis del D.p.r. 600/1973 per violazione dell’art. 3 della Carta Costituzionale in conseguenza del trattamento lesivo del principio di uguaglianza nella parte in cui dispone il contraddittorio endoprocedimentale differentemente ad alter fattispecie tra cui l’art. 20 del D.p.r. 131/1986 La Consulta, ritenendo inammissibile la prospettata questione, risolve il paragone rilevando che "nemmeno l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, in tema di applicazione dell’imposta di registro, secondo cui «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente», costituisce un idoneo tertium comparationis. Secondo la rimettente, anche tale norma avrebbe natura antileusiva, ma la sua violazione non comporta una sanzione analoga a quella stabilita dalla norma denunciata. Senza entrare nel merito della qualificazione della norma, è sufficiente osservare che la mancanza dell’espressa previsione, in essa, del contraddittorio anticipato non sarebbe comunque d’ostacolo all’applicazione del principio generale di partecipazione del contribuente al procedimento, di cui si è detto. Sicché nemmeno questo termine di riferimento assunto dalla rimettente è idoneo a dimostrare la denunciata disparità di trattamento".
In conseguenza di tale orientamento interpretativo, si può affermare come la disciplina antielusiva rappresenta una species del più ampio genus dell’abuso di diritto, cronologicamente anteriore e non positivizzato ed, in riferimento a tali contestazioni, il contraddittorio preventivo rappresenta principio immanente nell’ordinamento, di origine unionale e, pertanto, non comprimibile nel richiamo ad ulteriori principi, tale da garantire l’attuazione del diritto di difesa anteriormente all’elevazione dell’atto impositivo e tale da determinare la nullità dell’atto medesimo qualora tale garanzia venga violate, indipendentemente dalla positivizzazione del principio nei singoli comparti d’imposta.
*****
In forza dei rilievi sopra esposti, si ribadisce la conformità a diritto della sentenza della CTR di Potenza per l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo nelle verifiche fondate sull’art. 20 del D.p.r. 131/1986.
Affermata tale garanzia e la chiara natura antielusiva della norma in esame, l’enunciazione dei menzionati principi non potrà che essere rafforzata in conseguenza della emanazione del D.Lgs. 128/2015 e dell’introduzione dell’art. 10-bis della L. 212/2000, tipizzandosi la struttura procedimentale del contraddittorio preventivo a modello generale dell’ordinamento tributario.






[1] Cfr., in Dottrina, N. D’AMATI - A. URICCHIO, Corso di diritto tributario, CEDAM, 2008, p. 23: "la disciplina in esame risponde all’intento di definire i principi generali dell’ordinamento tributario, dando al contempo attuazione agli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. Lo Statuto sembra, quindi, atteggiarsi come una vera e propria legge fiscale generale, assolvendo una funzione di supplenza rispetto alle preleggi di un codice tributario mai emanato e forse ancora lontano".
[2] Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 14-04-2004, n. 7080 - Pres. Favara - Rel. Monaci.
[3] G. Marongiu, Abuso del diritto, Poteri di accertamento e principio di legalità, in Corriere Tributario, 44/2009, p. 3631.

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