Raddoppio dei termini per Sanzioni ex D.L. 78/2009
Risulta necessario premettere, sul tema, che, in via di statuizione transitoria, il Legislatore ha disciplinato l’entrata in vigore delle norme introdotte dal D.L. 78/2009. Difatti, l’art. 26 del già menzionato D.L. 78/2009 stabilisce che: "1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare".
Le nuove modalità accertative dispiegano la propria efficacia a partire dagli accertamenti relativi ai redditi del periodo d’imposta 2009.
Di conseguenza, per i periodi precedenti ancora accertabili, ossia quelli che vanno dal 2005 al 2008, trovano applicazione le norme generali sui termini e sulla determinazione del reddito.
Invece, per l’anno 2009, e per quelli successivi, si applicherà la nuova normativa.
Nel disciplinare la menzionata norma transitoria il legislatore non ha previsto né disciplinato delle modalità di applicazione temporale alle rettifiche. La menzionata carenza consegue alla valutazione effettuata dal Legislatore sulla tipologia di norma introdotta che, essendo norma di natura "sostanziale", non può che avere efficacia per l’avvenire.
Difatti, la norma menzionata dispone una determinazione presuntiva di una peculiare categoria reddituale (redditi di fonte estera). Conseguentemente, le previsioni di cui alla norma in commento non possono essere qualificate come mere disposizioni procedimentali in tema di accertamento ma, al contrario, assumono contenuto teso alla determinazione di una categoria reddituale autonoma.
In tal senso si pronuncia la CTR di Napoli, con la sentenza n. 4276/15/2017 ove si osserva che la natura sostanziale della predetta disposizione appare agevolmente rilevabile, essendo stata introdotta, in deroga ad ogni vigente disposizione, una presunzione legale secondo cui gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli stati o territori a regime fiscale privilegiato siano costituite, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. L'impossibilità di un'applicazione retroattiva della citata norma e, cioè, l'impossibilità di ritenere applicabile la disposizione normativa tributaria a periodi d'imposta precedenti rispetto a quello di entrata in vigore della disposizione stessa discende direttamente, dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di efficacia nel tempo delle norme tributarie, laddove si è incisivamente affermato che "in base all'art. 3 L. 212/2000, il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività stabilito dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l'applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista"; Cassazione, sentenza n. 25722/2009). Nello stesso senso, ancor più recentemente la Suprema Corte ha affermato che "secondo la giurisprudenza di queste giudice di legittimità, in tema dí efficacia nel tempo delle norme tributarie, in base all’art. 3 della L. 27 luglio 2000, n. 212, che ha codificato in materia fiscale il principio di irretroattività delle, leggi stabilito dall'art. 11 disp. gen., va esclusa l'applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista (v. tra le altre Cass. n. 5915 del 2003; Cass. n. 111 del 2011).
Come noto, l'art. 3 dello statuto del contribuente stabilisce al primo comma che: "salvo quanto disposto dall'art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modificazioni introdotte sono efficaci solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono". Appare dunque evidente come, a fronte dell'assenza di una precisa disposizione derogatoria circa l'efficacia temporale della norma — richiesta dalla Corte di Cassazione perché possa ritenersi superata l’irretroattività della norma tributaria sancito dai primO tOmní dell'art. 3 —non solo l’applicazione della presunzione legale di cui al secondo comma dell'art. 12 ma anche la previsione del raddoppio dei termini per l'aceertamento previsti dai commi 2-bis e 2-ter della disposizione, riferendosi agli accertamenti basati sulla suddetta presunzione di evasione di cui all’art. 12 del D.L. 78/2009, non possa che trovare applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della norma.
A sostegno di una diversa portata applicativa non può risultare di supporto per l'Ufficio neanche il voler trarre uno spunto interpretativo dalla speciale efficacia temporale stabilita dal D.L. 223/2006 per l'ipotesi di raddoppio in presenza di una notitia criminis. Al fine, infatti, dei mero dato formale del "raddoppio" dei termini per l'accertamento, previsto dalle norme introdotte dal D.L. 223/2006, è stata prevista un'espressa deroga ai principi generali ed un'efficacia della norma anche per le annualità accertabili al momento della entrata in vigore.
Nel D.L. 223/2006, non solo è stato previsto il raddoppio dei termini per l'accertamento (come avvenuto nel D.L. 78/2009), ma à stato espressamente previsto, quale norma transitoria, che tale "raddoppio" sia applicabile anche agli anni per i quali, all'atto di trasmissione della notitia crminis, gli Uffici siano ancora legittimati a procedere all'accertamento secondo i termini ordinari.
L'art. 37, comma 2 del D.L. n. 223/2006 infatti prevede che "le disposizioni si applicano a decorrere dal periodo di imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al secondo comma dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell'art. 57 del decreto del preskiente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633". Tale deroga all'ordinario regime di irretroattività delle norme tributarie rappresenta evidentemente previsione espressamente voluta dal Legislatore.
Parimenti, non sarebbe plausibile l’applicazione retroattiva della normativa in esame neanche volendo assumerne la natura procedimentale e non sostanziale
Difatti, la Corte di Cassazione, proprio perché occorre fare i conti anche con il principio di affidamento e con il principio di irretroattività introdotti espressamente dallo Statuto del Contribuente, pone limiti precisi alla utilizzazione retroattiva delle norme, anche procedimentali.
Lo statuisce una recente sentenza della Suprema Corte ove si legge (Cass. sez. trib., 29 aprile 2009, n. 10028): "L’utilizzo dei coefficienti presuntivi indicati nel redditometro sui redditi dei periodi di imposta anteriori comporta l’applicazione retroattiva di disposizioni normative contrarie allo Statuto del contribuente e quindi vietata quando i nuovi decreti prendono in considerazione indici di capacità contributiva prima ininfluenti e quindi lungi dal rappresentare un semplice aggiornamento Istat delle tabelle precedenti stabiliscono una normativa diversa di calcolo, con differenti parametri di base e con nuovi coefficienti di valutazione, il tutto con incidenza sull’ammontare del tributo richiesto".
Conseguentemente, si può affermare che la Suprema Corte ha ribaltato il proprio precedente orientamento, affermando come le norme, seppur procedimentali, qualora modifichino radicalmente i criteri istruttori ponendo a base dell’accertamento nuove modalità o nuovi criteri, non possano avere efficacia retroattiva.
Tale criterio, esposto in puntuale applicazione degli artt. 3 e 10 della L. 212/2000, non può non applicarsi alle norme introdotte dal D.L. 78/2009.
E’ di tutta evidenza che, a tutela dell’affidamento, della buona fede e del diritto di difesa, il contribuente deve essere edotto, sin dal momento della predisposizione della dichiarazione dei redditi, dei fatti, degli indizi, delle modalità e degli strumenti attraverso i quali l’Amministrazione può procedere alla rettifica della dichiarazione stessa proprio perché la prova e la documentazione ex post delle circostanze possono essere più difficili, rendendo arduo l’esercizio del diritto di difesa. Non a caso l’art. 5 dello Statuto del contribuente statuisce che "l’amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente con mezzi idonei tutte le circolari e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti" (così il 2° comma).
In altre parole, non mancano argomenti per dubitare della legittimità costituzionale di norme procedimentali con efficacia retroattiva e a maggior ragione di quella qui in esame.
Difatti, l’art. 12 del D.L. 78/2009, nella parte in cui disponesse l’efficacia retroattiva di una norma procedimentale innovativa, si manifesterebbe in diretta violazione dell’art. 3 e 10 della L. 212/2000, dell’art. 3 della Carta Costituzionale nonché dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 51 della Carta di Nizza.
In tal senso, difatti, le norme sopra menzionate dispongono la tutela della parità delle armi in sede processuale e la illegittimità di norme procedimentali retroattive.
Segnatamente, la Carta di Nizza, nella esplicitazione dei principi del giusto processo, afferma la sussistenza, all’interno dell’ordinamento comunitario, di un immediato principio sanzionatorio delle norme intese a violare il principio di parità delle armi. La sussistenza del menzionato principio, inquadrabile come principio generale immanente nell’ordinamento comunitario, ammette la disapplicazione della norma interna confliggente e l’applicazione del generale principio tempus regit actum.
Nell’applicazione del principio comunitario e nella disapplicazione della norma interna s’insiste per la immediata declaratoria di illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato in conseguenza dell’applicazione retroattiva di norme procedimentali.
In via subordinata, si rileva la confliggenza dell’art. 12 del D.L. 78/2009 con l’art. 3 della Carta Costituzionale in combinato con gli artt. 3 e 10 della L. 212/2000 in considerazione della irragionevolezza della affermazione retroattiva della norma.
La Corte Costituzionale, difatti, ha più volte affermato (Corte Cost. 13 ottobre 2000, n. 419 e anche Corte cost. 24 luglio 2000, n. 341) la portata del principio di irretroattività, affermando che lo stesso "non è stato elevato a dignità costituzionale, salva la previsione dell’art. 25 Cost., relativo alla materia penale, sicchè il legislatore ordinario, nel rispetto di tale limite, può emanare norme retroattive purchè esse trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti così da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti".
Nel caso in esame risulta pacifico il contrasto con i principi di buona fede e tutela dell’affidamento nonché di irretroattività, tutti elevati dallo Statuto del Contribuente a principi generali dell’ordinamento.
La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, sposando il suesposto orientamento, ha affermato la natura sostanziale della norma in esame e la conseguente applicabilità della stessa unicamente per i periodi d'imposta successivi alla sua entrata in vigore, annullando l'atto di rettifica fondato sulla asserita efficacia retroattiva della disciplina.
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