Imposta di registro ed interpretazione analogica

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Potenza, con la sentenza n. 08/02/2024, ricostruisce i principi della fattispecie impositiva relativa all’imposizione di registro dei provvedimenti giurisdizionali dichiarativi dell’accessione, pervenendo all’enunciazione di un interessante principio in tema di interpretazione analogica della fattispecie d’imposta.
Necessaria la ricostruzione del fatto.
Un contribuente ottiene, in sede civile, una sentenza che dichiara l’accessione, ex art. 934 c.c., di taluni terreni. L’accessione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario e, precisamente, quel fenomeno in base al quale la proprietà di una cosa si estende a quello che si unisce ad essa, per il fatto dell’incorporazione materiale, indipendentemente dalla scienza o dalla volontà del proprietario. Il principio dell’accessione, in base all’articolo 934 del codice civile, agisce quando il bene acceduto si incorpora al suolo accedente, in modo che la relativa pronuncia del giudice abbia natura dichiarativa. Il principio è affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 ottobre 2015, n. 21683), che statuisce come il principio dell’accessione, posto dall’articolo 934 del codice civile, configura un acquisto a titolo originario della proprietà che consegue all’incorporazione di una cosa nel fondo altrui.
Pertanto, l’accessione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario e, per l’effetto, la sentenza che ne accerta i presupposti assume natura di provvedimento di accertamento di un diritto (con efficacia erga omnes ed ex tunc) a contenuto patrimoniale.
Conseguentemente, la sentenza avente natura dichiarativa, in forza del combinato disposto dell’art. 37 del D.p.r. 131/1986 e dell’art. 8, comma 1, let. c) della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. 131/1986, subisce l’imposizione indiretta ai fini del registro con l’aliquota applicabile per gli atti di “accertamento di diritti a contenuto patrimoniale” pari alla misura dell’1%.
Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria procede a richiedere l’imposta principale, ai sensi dell’art. 37 del D.p.r. 131/1986 e dell’art. 8, comma 1, let. a) della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. 131/1986, assumendo, l’applicabilità dell’aliquota in misura pari al 15%.
La detta aliquota è ritratta dall’asserita applicazione dell’art. 37 del D.p.r. 131/1986 e dell’art. 8, comma 1, let. a) della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. 131/1986, assumendo la natura traslativa o costitutiva del provvedimento giurisdizionale ed invocando l’applicazione analogica del trattamento impositivo dell’usucapione.
Il contribuente impugna il provvedimento di liquidazione, assumendo che la detta aliquota risulti erronea, in quanto la sentenza che accerta l’accessione assume natura dichiarativa e, pertanto, dal combinato disposto dell’art. 37 del D.p.r. 131/1986 e dell’art. 8, comma 1, let. c) della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. 131/1986, l’aliquota applicabile per gli atti di “accertamento di diritti a contenuto patrimoniale” risulta pari alla misura dell’1%, risultando inibita l’applicazione analogica di altra e differente fattispecie impositiva.
In tal senso, il contribuente rileva che le sentenze aventi natura dichiarativa sono assoggettate, in forza del combinato disposto dell’art. 37 del D.p.r. 131/1986 e dell’art. 8, comma 1, let. c) della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. 131/1986, all’aliquota pari alla misura dell’1%. Conseguentemente, non può sostenersi la sussistenza di una lacuna normativa per l’imposizione indiretta degli acquisti avvenuti per accessione in quanto, avendo il Legislatore disciplinato l’aliquota per i provvedimenti giudiziali aventi natura dichiarativa ed avendo la sentenza che dichiara l’accessione pacifica natura dichiarativa, la fattispecie risulta disciplinata dall’art. 37 del D.p.r. 131/1986 e dall’art. 8, comma 1, let. c) della Tariffa Parte Prima allegata al D.p.r. 131/1986.
Al contrario, nel genere degli atti aventi natura dichiarativa, il Legislatore ha ritenuto di applicare, unicamente agli acquisti avvenuti per usucapione, l’aliquota propria dei trasferimenti a titolo oneroso. Si tratta di una norma che si limita a stabilire, perché non residuino perplessità, che anche laddove il titolo di acquisto della proprietà sia a carattere originario e non derivato, nondimeno la tariffa applicabile è quella relativa agli atti di trasferimento: tale fattispecie è di stretta interpretazione e, pertanto, applicabile unicamente agli acquisti per usucapione.
Difatti, nella materia tributaria è vietata l’interpretazione analogica in considerazione del principio di riserva di legge che sottende alla previsione ed all’introduzione di qualunque norma tributaria.
Com’è noto, ai sensi dell’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale, se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (analogia legis); se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (analogia iuris).
Non va però sottaciuto che l’analogia è esclusa dal citato articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale, ove si discuta di norme che fanno eccezione a regole generali.
Nell’applicazione di tale disposizione, per quel che concerne le norme impositive, dottrina e giurisprudenza sono orientate nell’affermare l’inapplicabilità dell’interpretazione analogica.
In tal senso, il ricorso all’analogia è precluso dall’esistenza della riserva di legge di cui all’articolo 23 cost..
Ulteriormente, l’ostacolo discende dalla circostanza che le norme tributarie sono il più delle volte a fattispecie esclusiva (in quanto, ad avviso della dottrina, l’estensione per analogia si renderebbe possibile soltanto rispetto alle norme che possono ricondursi ad un principio, mentre tali non sarebbero per l’appunto le norme a fattispecie esclusiva, le quali riflettono situazioni di fatto ben determinate).
Orbene, fuori dei casi espressamente disciplinati dalla norma, una volta ricostruitane la portata alla stregua degli ordinari canoni interpretativi, interviene ed opera il principio di intangibilità della sfera personale e patrimoniale dell’individuo, lasciando sopravvivere il correlato diritto soggettivo fondamentale; con la conseguenza che il ricorso all’analogia resta precluso in radice, per difetto del suo presupposto essenziale costituito dalla presenza di un vuoto normativo.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Potenza, con la sentenza n. 08/02/2024, enuncia il seguente principio di diritto:
“Ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (analogia legis): se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato (analogia iuris). Tuttavia, l’analogia è esclusa dal citato articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale ove si discuta di norme che fanno eccezione a regole generali. Nell’applicazione di tale disposizione, per quel che concerne le norme impositive, dottrina e giurisprudenza sono orientate nell’affermare l’inapplicabilità dell’interpretazione analogica. Il ricorso all’analogia è precluso dall’esistenza della riserva di legge di cui all’articolo 23 cost.. Orbene, nel caso in esame il ricorso all’analogia resta precluso in radice, per difetto del suo presupposto essenziale costituito dalla presenza di un vuoto normativo. Infatti, i giudici di prime cure erroneamente hanno inteso applicare alla fattispecie impositiva degli atti di acquisto per accessione la differente e speciale norma dettata in tema di atti di acquisto per usucapione in quanto non si sono avveduti del fatto che è del tutto erronea l’affermazione della sussistenza di una lacuna normativa per l’imposizione indiretta degli acquisti avvenuti per accessione”.
Il principio di diritto enunciato si presenta del tutto rigoroso nella ricostruzione del limite all’analogia dettato dalla riserva di legge ove appare coerente con l’applicazione sostanziale della riserva legislativa che se una legge ometta di assoggettare a tassazione (o di sanzionare) un caso simile a quello tassato (o sanzionato), la scelta ideologica del legislatore non possa essere superata dall’interprete, per la (banale) considerazione che mancano i presupposti dell’analogia, ossia perché non c’è alcun “vuoto” da riempire.
Tale conclusione, nella valutazione delle norme impositrici come fattispecie rigide e non suscettibili di interpretazione analogica, è stata condivisa dalla giurisprudenza di legittimità che ha affermato “in materia tributaria, l'interpretazione analogica, pur essendo in astratto possibile, in quanto le norme impositive non appartengono alle categorie contemplate dall'art. 14 preleggi (che concerne solo le norme penali e quelle eccezionali), trova, tuttavia, in concreto, difficile possibilità di applicazione in ragione della struttura solitamente rigida della loro formulazione” (Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 02/05/2016) 20/05/2016, n. 10481).
Su tale delicatissimo tema è intervenuto il Legislatore con il D.Lgs. 219/2023.
La recente revisione dello Statuto dei diritti del contribuente, nel manifestato obiettivo di realizzare un “rafforzamento della certezza del diritto” (cfr. Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023) ha disposto, con il nuovo comma 4-bis dell’art. 2 dello Statuto, entrato in vigore lo scorso 18 gennaio, che: “Le norme tributarie impositive che recano la disciplina del presupposto tributario e dei soggetti passivi si applicano esclusivamente ai casi e ai tempi in esse considerati”.
Tale regola, ancorché diretta “nell’intendimento del Governo ad escludere la possibilità di interpretazione analogica delle norme tributarie” (Relazione del 30 novembre 2023 allo Schema di decreto legislativo recante modifiche allo Statuto), rischia di legittimare delle scelte applicative non più in linea con gli approdi giurisprudenziali già raggiunti sul tema ed, in perfetta eterogenesi dei fini, ampliare gli ambiti (sinora ristretti) dell’interpretazione analogica in ambito tributario.
Difatti, sulla scorta di un’interpretazione testuale della norma e, pertanto, limitando il divieto di interpretazione analogica alle norme relative ai soggetti passivi ed al presupposto del tributo, potrebbe argomentarsi sull’ammissibilità dell’interpretazione per analogia delle norme che individuano la base imponibile e le aliquote.
Sul punto, non può non rilevarsi che, come le norme relative ai soggetti passivi ed al presupposto del tributo, anche le norme che individuano la base imponibile e le aliquote sono soggette al principio di riserva di legge fissato dall’art. 23 della Costituzione, che impone la base legislativa per tutti gli elementi essenziali del tributo (in tal senso la Sentenza della Corte costituzionale, 28 dicembre 2001, n. 435).
Conseguentemente, sarebbe irrazionale pretendere “a monte” dal legislatore la fissazione di criteri e limiti (di natura oggettiva o tecnica) atti a vincolare la determinazione quantitativa dell’imposizione, se poi “a valle” si consentisse all’Amministrazione finanziaria e al giudice di applicare le regole sulla base imponibile e sulle aliquote al di fuori delle ipotesi definite in via esclusiva dal Legislatore.
Per l’effetto, appare obbligata un’interpretazione costituzionalmente orientata del nuovo comma 4-bis dell’art. 2 dello Statuto, intesa ad assumere il divieto di interpretazione analogica per le norme impositrici, in relazione a ciascun elemento costitutivo delle stesse, nonché per le norme agevolatrici in ambito tributario.
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