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Detraibile l’IVA anche a fronte dell’omesso versamento del cedente


La CGT2° di Potenza assume la detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto anche qualora il cedente/prestatore abbia omesso il versamento
Detraibile l’IVA anche a fronte dell’omesso versamento del cedente

La CGT2° di Potenza, con le Sentenze n. 221/02/2023, n. n. 122/02/2023, n. 244/01/2023, affronta la problematica della detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, da parte del cessionario, qualora il cedente non abbia adempiuto al versamento dell’imposta.

L’Amministrazione Finanziaria, nei casi in commento, ha sostenuto la tesi per cui la limitazione del diritto alla detrazione IVA sarebbe ammissibile anche nella sola ipotesi di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente/prestatore.

Dunque, l’Amministrazione Finanziaria intende come riconducibili alle limitazioni alla detrazione comportamenti, quali l’omesso versamento dell’imposta da parte del cedente, che, a proprio dire, sarebbero riconducibili alla nozione di “frode”.

Tale ricostruzione è espressamente rigettata dalla Corte di giustizia tributaria Potentina che, con le sentenze in commento, richiamando l’orientamento consolidatosi in seno alla Corte di Giustizia dell’Unione, ribadisce che sono ammissibili limitazioni alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto unicamente nelle ipotesi di  “frode conclamata” e che non sono sussumibili a tale fattispecie le situazioni in cui il cedente/prestatore non abbia versato l’imposta sul valore aggiunto a debito pur avendola esposta in dichiarazione.

1. Sulla neutralità nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto

Risulta necessario e centrale alla valutazione della tematica in esame svolgere una riflessione in merito alle modalità di attuazione della detrazione IVA sugli acquisti.

Nell’ambito della Sesta direttiva comunitaria, la norma cardine relativa al diritto di detrazione è contenuta nell'art. 17, n. 2, secondo cui: “nella misura in cui i beni e i servizi sono utilizzati ai fini di sue operazioni soggette all’imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore [...] l’imposta dovuta o assolta all'interno del Paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da altro soggetto passivo”. 

La detrazione costituisce infatti la regola generale, caratterizzante il meccanismo di funzionamento dell'imposta, e non può dunque essere soggetta, di norma, a limitazioni, (Corte di Giustizia UE sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93; BP Soupergaz; sentenza 21 marzo 2000, cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa e altri) le quali nel sistema comunitario Iva, rappresentano delle specifiche eccezioni. 

Difatti, la detrazione consente la neutralità in senso soggettivo ovvero garantisce che l’imposizione non gravi sull’operatore economico, essendo diretta a gravare sul consumo. Tale accezione del significato di neutralità è stata sottolineata dalla giurisprudenza comunitaria, difatti, la Corte di Giustizia europea, con la sentenza 14 febbraio 1985, pronunciata sulla causa 268/83, Rompelman, ha messo in luce “gli elementi e le caratteristiche del sistema dell'Iva, e precisamente il suo principio informatore, il meccanismo delle detrazioni e la nozione di soggetto passivo”: secondo il principio informatore del tributo, in ciascuna fase della produzione e della distribuzione, “l'iva è dovuta solo previa detrazione dell'ammontare dell'imposta che ha gravato direttamente sul costo dei vari elementi costitutivi del prezzo dei beni e dei servizi” ed in tale contesto il meccanismo delle detrazioni prevede “che solo i soggetti passivi sono autorizzati a detrarre dall'iva di cui sono debitori l'imposta cui i beni e i servizi sono già stati assoggettati a monte”.

La detrazione è dunque finalizzata “ad esonerare interamente l'imprenditore dall'Iva dovuta o pagata nell'ambito di tutte le sue attività economiche” (escludendo, in linea di principio, che egli sia consumatore finale).

Il principio di neutralità fiscale è stato definito e delineato in numerose occasioni da parte della Corte di Giustizia Europea, sia in relazione agli scambi internazionali, sia in relazione agli scambi domestici ed è stato inquadrato quale specificazione del principio di non discriminazione contenuto nel Trattato di Roma, difatti, secondo la giurisprudenza comunitaria, “il principio di neutralità fiscale, ed in particolare il diritto di detrazione, costituisce, in quanto parte integrale del meccanismo dell'IVA, un principio fondamentale inerente al sistema comune di tale imposta istituito dalla normativa comunitaria” (Causa C-25/07, Sosnowska (2008) e C- 74/08 PARAT Automotive Cabrio (2009)). 

Più in particolare, “il suddetto principio di neutralità fiscale costituisce la traduzione, operata dal legislatore comunitario in materia di IVA, del principio generale di parità di trattamento” (Corte di Giustizia Cee, sentenza del 29 ottobre 2009 in NCC Construction Denmark, causa c- 174/08, par. 41 ). 

2. Sulle limitazioni all’esercizio della detrazione nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto

Risulta ulteriormente necessario e centrale alla valutazione della tematica in esame svolgere un’ulteriore riflessione in merito alle limitazioni che possono essere imposte alla detrazione nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto.

Difatti, accertato come la neutralità sia il principio cardine dell’IVA e la detrazione rappresenta la sua diretta attuazione, anche in riferimento al principio di non discriminazione, le limitazioni alla detrazione rappresentano eccezioni che, in quanto tali, sono soggette al principio di interpretazione restrittiva nonché risultano soggette al principio di proporzionalità (altro principio cardine dell’attuazione dell’imposta in ambito eurounitario).

Difatti, dalla costante giurisprudenza della Corte emerge il richiamo al principio di proporzionalità dettato dall’art. 22, n. 8, della Sesta direttiva. 

Secondo la norma in esame, rubricata “Obblighi nel regime interno”, “fatte salve le disposizioni da adottare ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 4, gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e ad evitare le frodi”. 

Secondo la Corte, i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (sentenza 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e a., punto 52, e ordinanza 3 marzo 2004, causa C-395/02, Transport Service, punto 29). 

Pertanto, è evidente che il principio di proporzionalità entra in gioco con particolare enfasi in relazione alle limitazioni del diritto di detrazione e la sua operatività in materia tributaria è stata ribadita dalla Corte, la quale, in relazione all’art. 18, n. 4 della VI direttiva, ha affermato che tale disposizione non osta, in linea di principio, alla previsione da parte degli Stati membri di norme che, in ipotesi di frodi fiscali, o di atti di accertamento comportanti una maggiore imposta, consentano all’amministrazione finanziaria l’adozione di provvedimenti con i quali sospendere, a titolo cautelativo, la restituzione al soggetto passivo dell’eccedenza del credito Iva dal medesimo chiesta a rimborso, limitazioni queste che, tuttavia, non possono “eccedere quanto necessario a tal fine”, proprio in applicazione del citato principio di proporzionalità, al quale sono soggetti gli Stati membri e che costituisce un limite “quantitativo” al legittimo intento di preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’Erario.

In applicazione del predetto principio, gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere tale obiettivo, arrechino il minor pregiudizio possibile agli scopi e ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria ed, in particolare, non rimettano sistematicamente in discussione il diritto alla detrazione del tributo che ne costituisce un elemento essenziale. Secondo la giurisprudenza comunitaria compete al giudice nazionale la valutazione, in concreto, della compatibilità delle disposizioni del diritto interno con il diritto comunitario, sotto il profilo del rispetto del richiamato principio di proporzionalità, che impone al giudice nazionale di disattendere, in applicazione del diritto comunitario, le disposizioni nazionali che vi contrastino.

Sul punto, dunque, si può sintetizzare che le limitazioni al diritto di detrazione dell’imposta sono ammissibili qualora sia provata:

  • la sussistenza di un comportamento fraudolento del cedente diretto all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; 
  • la contestuale consapevolezza del cessionario di tale comportamento.

L’Amministrazione Finanziaria, nei casi in commento, intende assumere la tesi per cui la limitazione del diritto alla detrazione IVA sarebbe possibile anche nella sola ipotesi di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente/prestatore.

Dunque, essa intende come riconducibili alle limitazioni alla detrazione comportamenti, quali l’omesso versamento dell’imposta da parte del cedente, che, a proprio dire, sarebbero riconducibili alla nozione di “frode”.

Tale ricostruzione è espressamente rigettata dalla Corte di giustizia tributaria Potentina che, richiamando l’orientamento consolidatosi in seno alla Corte di Giustizia dell’Unione, ribadisce che sono ammissibili limitazioni alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto unicamente nelle ipotesi di  “frode conclamata” (in particolare v. Corte di Giustizia, 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C- 147/98, Gabalfrisa e A., § 43, cit., la quale sul punto rinvia alla sentenza 6 luglio 1995, C- 62/93, BP Soupergaz, § 18, in Raccolta della giurisprudenza, 199, I, 1883; Id., 19 settembre 2000, cause riunite C-177/99 e C-181/99, Amplafrance SA e Sanofi Synthelabo, § 34, in Giur. imp., 2000, 5). 

Nel caso che interessa, il tentativo di individuare una fattispecie di limitazione della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, non poteva esimersi dalla qualificazione, dalla motivazione e dalla prova della riconducibilità del comportamento del cedente ad un meccanismo di frode diretto all’evasione dell’imposta.

La prova di tale meccanismo non poteva esimersi dall’elemento psicologico (dolo) del medesimo cedente.

Nel caso in esame, il dolo del cedente non risulta integrato.

Difatti, non vi è prova di un comportamento qualificabile come “frode” da parte del Cedente qualora l’imposta a debito sia stata oggetto di dichiarazione (pur in costanza dell’omesso versamento).

Tale assunto, come sopra motivato, risulta coerente con la più recente giurisprudenza unionale che intende escludere rilevanza fraudolenta al mancato versamento dell’imposta a debito da parte del cedente.

In tal senso, da ultimo, si veda la Sentenza della Corte di Giustizia UE del 15 settembre 2022 nella causa C-227/21che statuisce:

26 A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA pagata a monte, stabilire se il fornitore dei beni abbia versato o meno l’IVA dovuta su operazioni di vendita all’erario (sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14, EU:C:2015:719, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). Subordinare il diritto a detrazione dell’IVA all’effettivo previo pagamento della stessa IVA da parte del fornitore di beni comporterebbe che il soggetto passivo sarebbe soggetto ad un’imposizione economica cui non è tenuto e che il sistema delle detrazioni mira appunto ad evitare (v., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2012, Véleclair, C-414/10, EU:C:2012:183, punto 30)”. 

3.  Sul riparto dell’onere della prova nelle limitazioni all’esercizio della detrazione nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto

Risulta necessario e centrale alla valutazione della tematica in esame svolgere un’ulteriore riflessione in merito al corretto riparto dell’onere della prova in merito alle limitazioni che possono essere imposte alla detrazione nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto.

Sul punto, si richiama la Corte di Giustizia, sentenze del 31 gennaio 2013 relative alle cause C-642/11 e C-643/11 che, nel confermare gli orientamenti relativi all’affermazione dell’onere della prova gravante in capo all’Amministrazione Finanziaria, ha affermato che “se, tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse da tale emittente o a monte dell’operazione, tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione fiscale deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche alle quali non è tenuto, che lo stesso sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’IVA, circostanza, questa, che spetta al giudice del rinvio verificare”. 

Ugualmente si richiama Corte di Giustizia UE, 13 febbraio 2014, causa C-18/13, Maks Pen EOOD, per cui la normativa dell’Unione Europea in materia di IVA va interpretata nel senso che in ipotesi di evasioni o irregolarità commesse a monte di un’operazione soggetta al tributo, la detrazione dell’IVA assolta dal cessionario in relazione a prestazioni rese da un soggetto diverso dal fatturante può essergli negata solo se l’amministrazione finanziaria dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una combinazione negoziale fraudolenta, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

Tale orientamento in merito al riparto dell’onere della prova è ribadito dal giudice di legittimità in ambito interno, per cui si rinvia a Corte di Cassazione, sentenza n. 6229 del 13 marzo 2013. 

Secondo la Cassazione, l'onere di provare la connivenza del cessionario nella frode del cedente, grava sull'Amministrazione finanziaria che può fornire tale prova anche mediante presunzioni semplici, purché dotati del requisito di gravità, precisione e concordanza, le quali possono derivare pure dalle medesime risultanze di fatto attinenti al cedente. Trattasi di elementi obiettivi tali da porre sull'avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sulla inesistenza sostanziale del contraente (o dell’operazione), il quale non può non rilevarla e, peraltro, deve coglierla, per il dovere di accortezza e diligenza insito nell'esercizio di una attività imprenditoriale e commerciale qualificata”. 

Tuttavia, inserendosi in tale consolidato orientamento inteso a ricostruire l’onere della prova individuando l’Amministrazione Finanziaria come soggetto gravato a fornire la detta prova, i giudici Potentini precisano che, anteriormente alla prova dell’elemento soggettivo del cessionario, l’Amministrazione Finanziaria è tenuta a fornire la prova della riconducibilità ad uno schema fraudolento del comportamento del cedente.

Sul punto, il Collegio accoglie le doglianze della società cessionaria, rilevando che la mera mancata liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto da parte del cedente non rappresenta uno schema fraudolento e, pertanto, non risulta provata la condizione oggettiva idonea a postulare la limitazione alla detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto.

Pertanto, i giudici territoriali, in forza dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia intesi a limitare la detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, ribadiscono che i presupposti su cui può fondarsi la contestazione afferente il disconoscimento del credito IVA sono: 

  • la sussistenza di un comportamento fraudolento del cedente diretto all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; 
  • la contestuale consapevolezza del cessionario di tale comportamento.

Sulla scorta della sopra menzionata ricostruzione della fattispecie astratta (ritratta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea diffusamente richiamata), i giudici territoriali pervengono alla constatazione, nel merito:

  • della insussistenza di un comportamento fraudolento del cedente diretto all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; 
  • della contestuale inconsapevolezza del cessionario di tale comportamento.

Pertanto, risulta applicata correttamente la regola di giudizio fondata sul riparto dell’onere della prova che, per il disconoscimento della detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, i giudici territoriali rinvengono come gravante in capo all’Amministrazione Finanziaria.

Nel merito, i giudici territoriali ritengono che la prova non sia stata fornita dall’Ufficio, né in ordine alla sussistenza di un comportamento fraudolento del cedente diretto all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto – che non può essere individuato nel mero mancato versamento dell’imposta da parte del cedente - , né tantomeno in ordine alla contestuale consapevolezza del cessionario di tale comportamento.

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